Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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Bozza Danni

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2009

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI PESCARA



(…)

verificata la regolarità del contraddittorio;
esaminati l'atto introduttivo, gli scritti difensivi ed i verbali;
lette le conclusioni istruttorie e di merito;
sentiti all'odierna udienza i procuratori delle parti a seguito di discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c.;
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

La società di persone ha chiesto: 1) con atto di citazione notificato il 31.12.1998 nei confronti della Banca Caripe S.p.a., Banco di Napoli S.p.a., Cariplo S.p.a. ed Unicredito Italiano e successive integrazioni, a) dichiararsi la nullità ed inesistenza di una serie di clausole delle condizioni generali dei contratti di conto corrente con affidamento intrattenuti dalla suddetta società con le diverse banche convenute, b) con, previe compensazioni, condanna alla restituzione di quanto indebitamente percepito (alla data del 4.9.1999 per la CARIPE e il Credito Italiano, al 23.2.1998 per la CARIPLO, al 23.9.1999. per il Banco ci Napoli, al risarcimento dei danni patiti da quantificarsi in corso di causa (determinato in sede di prime conclusioni e poi ribadito in euro 2.612.885,14 e vittoria delle spese di lite, 2) con atto di citazione in opposizione notificato il 5.2.1999, la (…)
proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 337/96 del 22.12.1995 dell'importo di lire 120.296.747 quale saldo negativo di conto corrente sino al 23.11.1998, emesso su istanza del Banco di Napoli S.p.a. ora Banca Intesa S.p.a., già San Paolo IMI S.p.a., chiedendo la invalidità/nullità/inefficacia del suddetto decreto.
Le Banche convenute con il primo giudizio ed il Banco di Napoli opposto nel secondo giudizio riunito, hanno contestato quanto ex adverso dedotto, a loro volta sollevando diverse eccezioni di rito e di merito. Va aggiunto che la Caripe ha proposto domanda riconvenzionale di condanna della società attrice al pagamento della somma di lire 160.336.346 per scoperto di conto corrente sino la 31.12.1998 oltre interessi.
Il decidente ha già reso nel presente processo due sentenze parziali in data 29.1.2008 e 3.6.2008 risolvendo con la prima le questioni preliminari di rito e di merito sollevate dalle parti nonché, con la seconda, accertando il rapporto dare-avare tra le parti e condannando gli istituti di credito convenuti al pagamento in favore dell'attrice dei saldi attivi di ciascun conto corrente; si è poi rigettata la domanda riconvenzionale proposta dalla Caripe s.p.a. ed, infine, revocato il decreto ingiuntivo opposto.
Sulla base dell'ultima sentenza non definitiva si è proceduto, infine, a nuovo accertamento contabile per stabilire, avuto riguardo all'andamento dei conti corrente di cui è causa ed agli utili, dichiarati dalla società attrice se ed in quale misura detta società abbia avuto a subire perdite di guadagni lordi e netti a seguito del drenaggio di liquidità conseguente al versamento indebito agli istituti di Credito convenuti delle somme non dovute, alla stregua di quanto statuito dalla sentenza di questo Giudice del 3.6.2008, specificando poi che l'indagine del ctu doveva attestarsi sui principi espressi dalla Cassazione con la sentenza n. 19499 resa a Sezioni Unite il 15.7.2008.

Premesso che in questa sede
il decidente deve affrontare la questione del risarcimento del danno come richiesto da parte attrice, va anche detto che, come noto è il giudice del merito che, sulla base delle deduzioni e delle richieste avanzate da Parte attrice nei propri scritti difensivi, deve qualificare la domanda. Ed invero la domanda giudiziale, ai fini della sua interpretazione, deve essere considerata non solo nella sua formulazione letterale, ma soprattutto nel suo contenuto sostanziale, con riguardo soprattutto alla finalità che le parte intenda perseguire, dovendosi a tal fine considerare l'insieme delle deduzioni e delle tesi svolte nonché le corrispondenti offerte di prove e tenendosi conto, altresì,delle manifestazioni di volontà come specificatamente formulate ed espresse anche nelle conclusioni ed in tutti gli scritti di parte versati nel giudizio.
Ed allora, sulla base della valutazione complessiva del compendio deduttivo di parta attrice (citazione, memoria ex art. 133 c.p.c., verbali di udienza), questo Giudice ritiene che la domanda proposta vada qualificata in termini di
responsabilità extracontrattuale e non già come "maggior danno" risarcibile ai sensi dell' art. 1224, II comma c.c..
Infatti è noto come il maggior danno nelle obbligazioni pecuniarie rientra nel più generale danno da inadempimento contrattuale (mora) che, andando a ricoprire l'area di quella parte di danno che eccede quello soddisfatto dagli interessi legali di mora di cui al primo comma dell'art. 1224 c.c., presuppone necessariamente la lesione di un obbligo nascente dal regolamento contrattuale, (tant'è che è richiesta la costituzione in mora) che abbia altresì determinato direttamente un danno all'altro contraente, danno appunto legato alla mancata disponibilità della somma di denaro durante il periodo della mora.
Parte attrice, invece, ha fatto riferimento nell'ambito delle proprie richieste, non tanto al nocumento patrimoniale derivante dall'illecito contrattuale perpetrato a proprio danno da parte degli istituti di credito, bensì, all'utile che avrebbe potuto ottenere, nell'ambito dell'attività commerciale svolta, qualora non si fosse trovata a subire l'illegittimo drenaggio di liquidità a causa della corresponsione in favore delle abnche suddette di interessi ed oneri non dovuti, così come accertato dalla sentenza non definitiva resa in data 3.6.2008.
Ed invero, in ambito di responsabilità contrattuale, svolgendo il risarcimento del danno funzione sostitutiva della prestazione mancata e permanendo gli effetti della situazione pregiudizievole sino al momento in cui il danno sia risarcito, ossia fino alla data della sentenza se la riparazione sia stata richiesta al Giudice, il pregiudizio derivante dalla mancata acquisizione di un bene deve essere necessariamente risarcito con la prestazione del suo equivalente in denaro, determinato con riferimento al momento in cui avviene la liquidazione e non a quello in cui si realizza la violazione contrattuale.
L'attore, invece, ha qui chiesto non già la sostituzione in denaro della mancata prestazione delle banche nell'esecuzione del programma contrattuale legato ai predetti contratti bancari (ciò sarebbe avvenuto se si fosse dedotto, ad esempio, dovuta in base ai singoli contratti di conto corrente, non avendo questi dedotto alcun comportamento inadempiente delle banche nell'esecuzione del programma contrattuale legato ai predetti contratti bancari (ciò che sarebbe avvenuto se si fosse dedotto, ad esempio, un'illecita chiusura del conto corrente ovvero un recesso ingiustificato da parte degli istituti di credito o, ancora, nel caso di anticipazione bancaria in conto corrente la messa a disposizione di una somma inferiore a quella pattuita) ma, una volta ottenuta, a titolo di indebito oggettivo, la condanna degli istituti convenuti alla restituzione in proprio favore delle somme di denaro illegittimamente trattenute ha poi chiesto di essere risarcito di "tutti i danni" derivanti dal comportamento tenuto dagli istituti di credito, comportamento in sostanza ritenuto lesivo dalal posizione giuridica soggettiva della propria integrità patrimoniale (vedasi in particolare, le pagine 12,13, 17 e 18 dell'atto di citazione.)
Ed infatti, lo stesso evento ben può, allo stesso tempo, ledere un diritto di credito, nell'ambito del contratto, ed una posizione giuridica che esiste, da un punto di vista giuridico, anche fuori o oltre il contratto e che l'ordinamento riconosce come degna dì tutela risarcibile in ambito extracontrattuale.
Nel nostro caso l'attore ha inteso far valere il proprio diritto a non essere leso nelle proprie chance di guadagno a causa delle indebite elargizioni effettuate in favore delle banche in virtù di clausole dichiarate nulle, e non facendo affatto riferimento, sia nella citazione che nella memoria ex art. 183 c.p.c., ed anche nella conclusionale dove si parla alla pag. 42 indistintamente sia di responsabilità contrattuale sia di responsabilità extracontrattuale, né agli interessi di mora di cui all'art. 1224, I comma c.c., ne tanto meno al maggior danno di cui al secondo comma della norma suddetta da inadempimento delle obbligazioni pecuniarie nascenti di volta in volta dai singoli contratti di conto corrente bancari, ciò che presupponeva la allegazione e la prova dell'esistenza della mora.
Allora è impropriamente richiamata la norma di cui all'art .24, II comma per il "maggior danno" da illegittimo drenaggio di denaro da parte degli istituti di credito ai danni di parte attrice, nel senso che la norma de prendere in considerazione non può essere quella di cui
All'art. 1224 perché le obbligazioni di valore (come quella da illecito extracontrattuale si trasformano in obbligazioni di valuta solo in seguito al passaggio in giudicato della sentenza che decide sulla loro liquidazione. Pertanto, solo de tale momento restano assoggettate alla disciplina dettata dall'art. 1224 c.c. per le obbligazioni di valuta, con la ulteriore conseguenza che con decorrenza da tale momento vanno riconosciuti gli, interessi corrispettivi nonché il risarcimento del danno per la mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro rappresentante la somma equivalente del bene perduto o danneggiato (Casa 8 marzo 2005, n. 5008, Conforme Cass. 12 giugno 1998 n. 5908, Rv 5164451).
Ancora, il richiamo all'articolo suddetto sarebbe stato possibile qualora si fosse chiesto il risarcimento del maggior danno da inadempimento dell'autonoma obbligazione pecuniaria di indebito oggettivo ex. art 2033 c.c. avente ad oggetto l'intera somma indebitamente versata e che, in assenza della mela fede dell'accipiens va corrisposto a decorrere dalla data della domanda giudiziale, ma che parte attrice, non ha inteso prospettare affatto ( vedi per tutte Cass. 10 marzo 2005, n. 5330, GCM, 2005 f. 3)
Va anche detto che, proprio in tema di azione per danno subito, la giurisprudenza di legittimità ritiene che debba reputarsi senz'altro proposta l'azione di responsabilità extracontrattuale tutte le volte che non emerga una scelta precisa del danneggiato in favore di quella contrattuale. Ne deriva che qualora (come è avvenuto nel caso di specie) in cui la domanda di risarcimento sia formulata in modo non specifico e non emerga da essa la scelta operata dall'obbligato, l'azione stessa deve essere interpretata, in base al petitum ed alla causa petendi, come causa di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. (in tal senso Cass. SS. UU., 12 marzo 2001, n. 99)
Parte attrice, in definitiva, ha chiesto il risarcimento del danno patito da perdita di "probabilità di guadagno", ossia da privazione della prospettiva più che plausibile di sviluppi o progressioni nell'attività lavorativa e patrimoniale nell'ambito; esso è risarcibile tutte le volte in cui risulti provato, anche se soltanto per presunzioni, che sussiste un pregiudizio certe (anche se non nel valore) consistente non in un lucro cessante ma nel danno emergente da perdita di una concreta possibilità.
Ne consegue che la chance è essa stessa un'entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora: a) si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità dell'esistenza di detta chance intesa come attitudine attuale; b) il creditore provi, pur se solo in modo presuntivo, la realizzazione in concreto di alcuni presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito proprio dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta. (in tal senso, vedi Casa. 7 luglio 2006 n. 15522).
Invero, questo giudice non ignora che la suddetta giurisprudenza ha avuto origine in tema di perdita di opportunità di lavoro, nell'ambito della partecipazione a pubblici concorsi, ma ritiene che non sussistano, allo stato, ragioni ostative tali da rendere inapplicabili i suddetti principi anche all'ipotesi di lesione del diritto di proprietà o più precisamente della posizione giuridica soggettiva riconosciuta dall'ordinamento e tesa a tutelare l'integrità del patrimonio e dell'attività imprenditoriale svolta.
Ora, a giudizio del decidente, rientra pienamente nel concetto di danno perdita di chance, la lesione da mancata percezione degli utili di esercizio dell'impresa, lesione che, nel caso che ci occupa, è stata causata dall'illegittima corresponsione agli istituti di credito delle somme che si è accertato non essere dovute perché originatesi da clausole nulle. (interessi anatocistici, ultralegali, usurari, ecc..).
A ben vedere l'elaborato peritale, impostato dal consulente sul presupposto che il danno da risarcire fosse stato richiesto in virtù del disposto di cui all'1224, II comma, c.c., ha utilizzato come criteri di riferimento i principi che, a tal riguardo, sono stati più di recente posti dalle Sezioni Unite della Cassazione; tra questi vi è quello che prescrive per l'attore l'onere di allegare e provare il maggior danno e ciò sia che si deduca che il danno corrisponde al costo sopportato per il ricorso al credito, sia che si rilevi che questo sia dovuto ai mancati utili correlati all'utilità marginale netta (come dedotto in particolare dall'attore). In particolare la consulenza, al fine di poter quantificare proprio i margini aggiuntivi di "guadagni" che la C. snc, avrebbe potuto ottenere dal reinvestimento nell'impresa delle somme indebitamente sottratte, e quindi illecitamente trattenute dalle banche, ha analizzato i bilanci prodotti dalla stessa società con la memoria ex art. 184 c.p.c.. Si è poi proceduto, con metodo del tutto convincente, involgendo esso regole e criteri della scienza economico-aziendalistica, ad estrapolare i dati necessari per calcolare i c.d. "Indici di bilancio" per accertare guanti "guadagni" o perdite la C. snc avrebbe potuto realizzare nella più che probabile ipotesi che tutte le somme sottratte dalle banche convenute nonché i conseguenti mancati guadagni annuali sarebbero stati tutti reinvestiti nell'acquisto della stessa tipologia di merci e queste, a loro volta, vendute e pagate dai clienti; il consulente, e ragione ha altresì ipotizzato che, al crescere degli acquisti e delle vendite sarebbero cresciuti anche i costi dell'attività.
In sostanza, il consulente con ragionamento congruo ed immune da vizi logici non ha fatto altro che quantificare il quantum degli utili ulteriori che la C. snc avrebbe potuto realizzare se soltanto avesse impiegato la liquidità, indebitamente sottrattale dalle banche; e a giudizio del decidente, si è fatto non già in linea meramente ipotetica e di semplice possibilità ma in rapporto ai risultati realmente ottenuti negli anni, come risultanti dai dati contabili afferenti le gestione dell'attività d'impresa della C. snc quindi, partendo da dati economici aziendali concreti e riscontrabili dalla documentazione prodotta in atti.
Per quanto sin ora detto, non può che ritenersi come, nel caso di specie, sussistano non soltanto i presupposti astrattamente necessari per poter ravvisare un danno definibile come perdita della ragionevole probabilità di poter ottenere maggiori guadagni, ma altresì la prova, sia pur in via presuntiva, che guadagni ben più ampi si sarebbero ottenuti se soltanto parte attrice avesse avuto a disposizione . la somma indebitamente percepita dalle banche.
Non può infatti utilmente sostenersi, come invece fa taluno dagli istituti convenuti, che non vi sarebbe la prova in concreto della circostanza che la C. snc avrebbe reinvestito gli utili conseguiti nell'attività di impresa; e invece emerso, dagli stessi dati di bilancio, che l'attrice nonostante abbia sopportato l'illecito drenaggio di liquidità sin dall'anno 1986 (vedasi in proposito il bilancio allegato alla consulenza in cui ,mc mano elevatissimi costi per interessi ed onere bancari), ha continuato per oltre 14 anni ad esercitare l'attività di rivendita di motociclette ed auto di lusso, segno evidente questo che ferma doveva essere l'intenzione dei soci di continuare a tenere in piedi la compagine sociale, nonostante gli elevati costi bancari sopportati.
Nemmeno può dirsi che sarebbe stato più logico dedurre quanto società di persone, la C. avrebbe semmai distribuito gli utili ora i soci reinvestirli nella società
Dalla documentazione in atti è invece risultato che ogni anno, nonostante la presenza di utili "decimati" dai forti costi sopportati per gli interessi bancari corrisposti agli istituti di credito, questi venivano pur sempre reinvestiti per la realizzazione degli scopi sociali.
Applicando allora il criterio dell'analisi marginale di contribuzione il CTU ha certamente adottato non già il criterio della mera possibilità di conseguimento del maggior utile, bensì quello della vera e propria probabilità di riuscita (che poi è la chance risarcibile, rappresentata dal c.d. "mancato utile o guadagno", vedi pag. 9 della CTU).
In breve ciò che conta non è tanto l'utile di esercizio ma, una volta che sia stato calcolato da parte del consulente 'iindice di redditività, ossia il fattore moltiplicatore sui dati di bilancio, il vero e proprio mancato guadagno.
Va da sé che, adottando tale ultimo criterio, il CTU si è tenuto vicinissimo ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Cassazione in tema di derivazione causale nel danno da perdita di chance, dando prova della sicura sussistenza del nesso di causalità tra evento dannoso e danno conseguente (ossia analizzando proprio il grado di successione tra azione ed evento).
Né può sottacersi che nei fatti di causa sussista la prova della negligenza e imperizie degli organi bancari dimostrata nell'applicare al cliente, così come è stato accertato dalla sentenza non definitiva del 3.6.2008, tassi di intesse oggetto di clausole dichiarate nulle perché contrarie a norme imperative, in quanto di natura usuraria, anatocistica ovvero ultralegale.
Ed invero il Giudice del merito, nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, deve formulare il giudizio sulla colpevolezza affermandola tutte le volte in cui la violazione risulti non soltanto grave, ma altresì commessa in un contesto di circostanza di fatto tale da palesarne la consapevolezza di tutto il sistema bancario, e quindi anche delle banche convenute, all'epoca in cui sono svolti i rapporti di conto corrente de quibus.
Né si dica che il mutato orientamento della giurisprudenza, soprattutto in tema di nullità di clausole anatocistiche, abbia potuto incidere nel senso di escludere una vera e propria colpa nell'apparato bancario, almeno per il periodo antecedente a tale cambiamento di orientamento da parte della Cassazione.
Ed infatti, da un lato la colpa puoi essere dedotta anche in via del tutte indiziaria dal Giudice il quale ha a disposizioni parametri come la gravità della violazione la permanenza dell'illecito, dall'altro si ritiene che proprio gli orientamenti formatisi in punto di clausole anatocistiche ed usurarie - ma il discorso può valere, a maggior ragione, per le questioni afferenti il divieto di rinvio agli usi su piazza, alle commissioni di massimo scoperto, nelle quali con la sentenza del 31.1.2008 si è anche addivenuti alla dichiarazione di illegittimità, ma questa volta sulla base di norme già operanti all'epoca dei fatti per cui è causa (art. 1264 cc) ed indipendentemente dall'entrata in vigore il 9.7.1992 della Legge 154/92 la quale non ha fatto altro che prevedere l'ipotesi di nullità testuale di clausole di rinvio agli usi su piazza (vedasi la sentenza non definitiva del 31.1.2009 pag. 11)- non facciano altro che ribadire la gravità delle violazioni, al punto tale da ravvisare la sanzione della nullità per contrarietà a norme imperative. In breve il sistema bancario in genere pur potendo o dovendo conoscere l'esistenza della violazione, stando all'elevato grado di professionalità raggiunto nell'ambito della materia trattata, professionalità di certo non acquisibile alla stessa stregua del cliente che "utilizza il sistema bancario" per necessità, ha tenuto per anni un comportamento non soltanto ingiusto perché contra legem ma altresì colpevole.
Va anche detto che il CTU non soltanto ha calcolato il "maggior guadagno" conseguibile dalla C. snc in relazione al perceptum bancario non dovuto muovendo proprio dalle statuizioni contenute nella sentenza de qua ed in base a quanto lì affermato, ma, nell'effettuare il calcolo dell'utile mancato in base al criterio del margine di contribuzione netto, ha giustamente preso in considerazione la somma complessiva di cui era creditrice la C. snc ossia le competenze stornate dal primo CTU, al netto degli interessi debitori, oltre gli interessi creditori, secondo quanto affermato dalla suddetta prima consulenza richiamata dalla sentenza del 3.6.2008 (base di calcolo lett. B); tale base di calcolo, invero, tiene conto del principio della naturale fecondità del danaro e quindi della giusta corresponsione sul non dovuto degli interessi cosiddetti "compensativi".
Ora, va premesso che, come già rilevato sopra, parte attrice sembra aver assolto il proprio onere probatorio (anche in via presuntiva) quanto alla sussistenza ed alla entità materiale del danno lamentato e che, qualora la peculiare natura del pregiudizio sofferto renda impossibile la prova concreta del sue preciso ammontare, è legittimo e doveroso per il giudice ricorrere in via integrativa e correttiva a principi di equità nella determinazione del quantum sofferto (in tal senso per tutte Cass. 16 settembre 2002, n. 13469).
Ebbene, bisogna rilevare come il danno calcolato dal consulente, che altro non sarebbe se non guadagno o utilità perduta dalla C. snc per non aver potuto, con alto grado di probabilità, investire nell'attività impresa quanto illegittimamente sottrattole dalle banche convenute, se ragionevolmente tiene conto della presunzione legittima che gli utili realizzati di anno in anno sarebbero stati reinvestiti nell'attività d'impresa, trascura però di prendere in considerazione l'incidenza di fattori aleatori che in genere sono insiti in un'attività commerciale del genere di cui si discute.
Si intende dire che il calcolo del CTU se ha considerato tutti i parametri economico-aziendali per computare l'utile mancato in base all'indice di redditività calcolato, non tiene conto però del rischio di impresa, della distribuzione di parte degli utili di impresa tra i soci - trattandosi di società di persone- e comunque di ogni altre fattore che nell'arco di 14 anni avrebbe ben potuto determinare situazioni di perdita o comunque di difficoltà ( si pensi ad esempio all'altalenante andamento del mercato nel periodo considerato ed, in genere, delle borse, indici finanziari di cui non può non tenersi conto nel medio periodo).
Si aggiunga che in ogni caso i redditi prodotti anno per anno dalla società attrice a partite dal 1986, pur tenuto conto del drenaggio finanziario subito, non sono stati certo particolarmente elevati.
Infine il Giudicante, non ritiene altrettanto provato l'esistenza del danno da mancata vendita del terreno sito in Torre de Passeri, nel senso che non è emerso in atti un compendio presuntivo tale da far ritenere che siano stati proprio gli illegittimi esborsi di denaro ad impedire all'attrice di costruire l'immobile progettato; si intende dire, in sostanza, che se numerosi appaiono al decidente ali ulteriori fattori (seguendo sempre il ragionamento probabilistico di cui detto) che avrebbero potuto determinare la decisione di non costruire, sia pur a progetto approvato, d'altro canto parte attrice non ha fornito nessun altra documentazione attestante l'effettiva e concreta probabilità di "realizzo del bene" (ad esempio contratti preliminari con i futuri acquirenti del bene ecc,.)
Concludendo, l'import complessivo di cui alla pag. 5 della consulenza tecnica del 20.5.2009 calcolato al punto 4) deve, per quanto attiene a ciascun istituto bancario convenuto essere equitativamente decurtato del 50% rispetto al valore ivi calcolato. La natura di debito di valore del quatum da risarcire fa si che esso sia comprensivo interessi e rivalutazione.
Le spese di lite che si liquidano come da dispositivo, vanno compensate nella misura del 10% in ragione della soccombenza su alcune delle questioni affrontate con le precedenti. sentenze non definitive, rimanendo le restanti a carico degli istituti di credito in solido, compreso il 90% delle spese delle diverse CTU.
P.Q.M.
Il Tribunale di Pescara, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nelle cause promosse dalla società nei confronti della Cassa di Risparmio di Pescara e Loreto Aprutino - Caripe S.p.a, Banca Intesa S.p.a., già San Paolo IMI S.p.a., già Banco di Napoli, Unicredito Italiano S.p.a. e Banca Intesa S.p.a. già Cariplo con atto di citazione notificato il 31.12,199S nonché, in opposizione a decreto ingiuntivo, da (…) nei confronti di Banca Intesa S.p.a., già San Paolo IMI S.p.a., già Banco di Napoli S.p.a. con atto di citazione notificato il 3.2.1999, così provvede in relazione ai conti corrente aperti dalla (…) presso detti istituti di credito:
- condanna, a titolo di risarcimento del danno: 1) Caripe S.p.a. a rifondere alla parte attrice la somma di € 554.995,65; 2) Banca Intesa già San Paolo IMI, già Banco di Napoli s.p.a. al pagamento in favore di parte attrice di € 363.834,08; 3) Banca intesa S.p.a. già Cariplo al pagamento in favore dell'attrice di € 172.108,75; 4) Unicredit già Credito Italiano al pagamento in favore di parte attrice di € 187.160,63;
- dichiara compensate nella misura del 10% le spese tra le parti, con condanna delle convenute in solido tra loro a rifondere alla parte attrice le restanti spese del presente procedimento, spese che si liquidano per l'intero, salvo quanto da compensare in complessivi € 4.334,04, di cui € 3.045,00 per onorari, € 1.020,09 per diritti ed € 26,95 per spese; spese di CTU al 90% a carico delle banche convenute in solido tra loro.
Così deciso, in Pescara, 13 luglio 2009

Il Giudice Unico
Dott. Angelo Bozza



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