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Capri/Imperia

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2010

Tribunale di Napoli, Sez. dist. di Capri, Dott. Antonio QUARANTA, Sent. n. 106 del 5 novembre 2010;

TRIBUNALE DI NAPOLI
SEZIONE DISTACCATA DI CAPRI

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il GIUDICE UNICO presso la Sezione Distaccata di Capri, Dott. ANTONIO QUARANTA, ha pronunciato, ai sensi dell'art. 281 sexies C.P.C., la seguente:

SENTENZA

nella causa iscritta al n°31 del Ruolo Generale Civile dell'anno 2006, avente ad oggetto: nullità del contratto di apertura di credito, risarcimento danni, anatocismo e ripetizione di indebito oggettivo, vertente

TRA:

F. C., nato a Capri il 29.6.31, ivi residente ed elettivamente domiciliato in Capri,. alla Via P. Cimino n°13, presso Io studio dell'Avv. Carmine. Ruotolo, dal quale è rappresentato e difeso, in sostituzione dell'originario difensore, Avv. Andrea dello Russo, unitamente e disgiuntamente all'Avv. Antonio Tanza del Foro di Lecce, come da mandato a margine dell'atto di citazione;

ATTORE

E: SANPAOLO BANCO DI NAPOLI S.p.A., in persona del suo legale rappresentante p.t., Avv. Roberto Rusciano, in virtù dei poteri conferitigli dal Direttore Generale del Sanpaolo Banco di Napoli S.p.A., con procura speciale 30.11.05, autenticata nella firma dal notaio Mario Mazzocca di Napoli, (rep. n.51286, Racc. 8019), elettivamente domiciliato in Napoli, alla Piazza Santa Maria degli Angeli a Pizzofalcone n°1, presso lo studio dell'Avv. Nicola Rocco di Torrepadula in virtù di procura in calce alla copia notificata dell'atto di citazione;

CONVENUTA

Sentenza emessa e letta nel corso dell'udienza odierna ed allegata al verbale di causa quale parte integrante di esso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con citazione del 26.4.06 Farella Ciro, premesso di aver intrattenuto con il Banco di Napoli S.p.A., Filiale di Capri, un rapporto bancario strutturato in un'apertura di credito, con affidamento mediante scopertura sul conto corrente ordinario n°27/1693, originariamente finalizzata, secondo la natura tipica del contratto, a soddisfare te temporanee esigenze di elasticità di cassa, rapporto bancario di affidamento insorto nella metà degli anni '70, e con ultimo presunto saldo attivo al 16 febbraio '96, stando all'ultimo estratto conto pervenuto, di £. 170.068, ha convenuto in giudizio l'istituto di credito per sentir dichiarare l'invalidità e/o la nullità parziale del contratto di apertura di credito e/o di conto corrente oggetto del rapporto in relazione alle clausole di pattuizione dell'interesse anatocistico trimestrale, e/o la nullità della clausola di applicazione degli interessi in misura ultralegale e/o l'illegittimità dell'applicazione delle "valute" non conformi alla normativa dettata dalla Banca d'Italia, e/o l'illegittimità di tutte le maggiorazioni di tasso non espressamente accettate e giudicate comunque contra legem; dichiarare ancora non dovuta la commissione di massimo scoperto ed i maggiori interessi previsti per il finanziamento oltre il fido, dovendo gli accrediti essere effettuati trimestralmente e/o annualmente come gli addebiti, e la data di accredito di tutti i versamenti effettuati dall'inizio del rapporto corrispondere a quella del giorno stesso del versamento o, in caso di assegni, a quella recata dal timbro e, in ogni caso, a quella reale; per sentire quindi condannare lo stesso istituto alla restituzione in proprio favore di tutte le somme indebitamente percepite, maggiorate degli interessi legali decorrenti dalla data di maturazione del credito, ovvero dalla costituzione in mora, nella- misura da determinarsi in corso di causa anche a mezzo C.T.U., o in via equitativa; al risarcimento inoltre di tutti i danni subiti, rimessi alla prudente quantificazione giudiziale, in conseguenza della illegittima segnalazione alla Centrale rischi presso la Banca d'Italia a motivo del rischio falsamente quantificato, il tutto maggiorato di rivalutazione monetaria ed interessi legali con vittoria di spese, diritti ed onorari da distrarsi a beneficio degli anticipatari.
Ha assunto in particolare l'attore la nullità della clausola di determinazione dell'interesse ultralegale mediante rinvio al c.d. "uso piazza", la illegittimità della pattuizione ed applicazione della capitalizzazione trimestrale dell'interesse composto, la inammissibilità della provvigione di massimo scoperto, la errata determinazione della valuta, nulla essendo previsto in contratto circa l'antergazione e/o postergazione dei cc.dd. "giorni di valuta", la mancata previsione in contratto di spese addebitate dalla banca, la necessità di applicare il T.E.G., (Tasso Effettivo Globale), anche attraverso invocata C.T.U. contabile, la illegittima segnalazione alla Centrale dei Rischi.
Nel costituirsi l'istituto di credito, dedotta in via preliminare la nullità dell'atto introduttivo per insufficiente esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, (artt. 163, n°4, e 164 C.P.C.), ha eccepito la inammissibilità della domanda stessa per intervenuta prescrizione e, nel merito, la sua pretestuosità evidenziando, quanto agli interessi ultralegali, come la normativa richiamata dall'attrice non potesse applicarsi a contratti, come quello in questione, sorti anteriormente, e come la corresponsione di somme a titolo di interessi ultralegali e/o capitalizzati integrasse l'adempimento di una obbligazione naturale, con conseguente irripetibilità della prestazione. Pertanto, oppostosi alle istanze istruttorie di controparte, ordine di esibizione ex art. 210 C.P.C. e C.T.U. contabile, in assenza dei presupposti che ne legittimassero l'ingresso, ha concluso per la pronuncia di nullità dell'atto introduttivo, per la declaratoria di inammissibilità della domanda in ragione della intervenuta prescrizione del diritto azionato e, in subordine, per il suo rigetto nel merito, compensando, in via riconvenzionale, l'eventuale, accertato credito dell'attore con quello vantato dall'istituto per risarcimento dei danni da violazione dei principi di cui agli artt. 1175 e 1375 C.C., accertata, ancora in via subordinata, la legittimità della capitalizzazione semestrale o annuale degli interessi passivi, con vittoria di spese processuali.
La domanda è fondata e, per quanto di ragione, può trovare accoglimento.
Preliminarmente va sgombrato il campo dalla
preliminare eccezione di nullità dell'atto introduttivo per estrema genericità nella esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda. La causa petendi risulta sufficientemente determinata ed è costituita dall'indebito pagamento degli interessi anatocistici contabilizzati sul rapporto di conto corrente individuato in citazione, nell'accertamento e nella dichiarazione della illegittimità del praticato anatocismo e nella condanna dell'istituto al pagamento delle somme oggetto dell'accertamento medesimo. Solo per scrupolo motivazionale può aggiungersi che "la nullità della citazione - ai sensi dell'art. 164, comma 4, c.p.c. - sussiste solo nel caso di totale omissione o assoluta incertezza del "petitum" inteso, sotto il profilo formale, come provvedimento giurisdizionale richiesto e, sotto quello sostanziale, come bene della vita di cui si domanda il riconoscimento. L'accertamento della ricorrenza di detta ipotesi implica una valutazione da compiersi tenendo conto, da un canto, che l'identificazione dell'oggetto della domanda va operata avendo riguardo all'insieme delle indicazioni contenute nell'atto di citazione e dei documenti in esso allegati, dall'altro che l'oggetto deve risultare appunto assolutamente incerto. Quest'ultimo elemento, in particolare, deve essere vagliato alla luce della ragione ispiratrice della norma che risiede nell'esigenza di porre il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate e puntuali difese, prima ancora che di offrire al giudice l'immediata contezza del "thema decidendum"" (Cassazione civile, sez. I, 30 maggio 2008, n. 14552, Guida al diritto 2008, 39 76). Peraltro, "l'onere della determinazione dell'oggetto della domanda, ... deve ritenersi osservato, ..., qualora l'attore indichi i ... titoli, ponendo così il convenuto in condizione di formulare immediatamente ed esaurientemente le proprie difese, mentre resta a tal fine irrilevante la mancanza di un'originaria quantificazione monetaria delle suddette pretese, anche in considerazione della facoltà, dell'attore medesimo, di modificarne l'ammontare in corso di causa, nonché dei poteri spettanti al giudice, pure in ordine alla individuazione dei criteri in base ai quali effettuare la liquidazione dei crediti fatti valere" (Cassazione civile, sez. lav., 24/10/2008, n. 25753, Giust. civ. Mass. 2008, 10, 1516).
La doglianza scaturente dall'
applicazione indebita di interessi ultralegali e/o anatocistici é fondata e suffragata dagli esiti della disposta indagine peritale d'ufficio. Sorvolando sui termini per così dire storici della vexata questio riguardante la legittimità o meno della capitalizzazione trimestrale degli interessi, - e così sull'orientamento giurisprudenziale diffuso ravvisante l'esistenza di tale uso idoneo a legittimare, nei rapporti bancari, l'applicazione di interessi al di là dei limiti sanciti dall'art. 1283 C.C., considerato, del resto, che già prima dell'entrata in vigore del codice civile era in uso, nei rapporti tra banche e clienti, il calcolo trimestrale degli interessi sugli interessi, come attestato dal testo delle norme regolanti i conti correnti di corrispondenza, predisposto dalla Confederazione generale bancaria fascista nel '29, nonché da saggi dottrinali e trattati di tecnica bancaria, documenti militanti in favore di una prassi bancaria a tal punto generalizzata nei campo delle operazioni in conto corrente da sottrarsi ad ogni esigenza di accertamento giudiziale, integrando un tipico fatto notorio ex art. 115 C.P.C., - basti considerare la pronuncia della S. C. che, nell'intento di porre un punto fermo in materia di anatocismo praticato dagli istituti di credito, piuttosto che in quello di risolvere un conflitto di orientamenti, ha statuito: "sono nulle, in quanto riproduttive di un uso negoziale e non normativo, le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi stipulate anteriormente all'entrata in vigore della disciplina di cui all'art. 120 comma 2 del t. u. bancario" (Cassazione civile, sez. un., 04 novembre 2004, n. 21095, Dir. banca e mercato fin. 2004, 645). In linea con l'indirizzo richiamato si è posta anche la successiva, e più recente, giurisprudenza della S. C.. Per essa, "in tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 76 Cost., l'art. 25, comma 3, d. Lgs. n. 342 del 1999, il quale aveva fatto salva la validità e l'efficacia - fino all'entrata in vigore della delibera Cicr di cui al comma 2 del medesimo art. 25 - delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, siffatte clausole, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell'art. 1283 c.c., perché basate su un uso negoziale, anziché su un uso normativo, mancando di quest'ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, a una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme a una norma che già esiste o che si reputa debba fare parte dell'ordinamento giuridico ("opinio iuris ac necessitatis"). Infatti, va escluso che detto requisito soggettivo sia venuto meno soltanto a seguito delle decisioni della Corte di cassazione che, a partire dal 1999, modificando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno ritenuto la nullità delle clausole in esame, perché non fondate su di un uso normativo, dato che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell'esistenza e del contenuto della regola, non già creativa della stessa, e, conseguentemente, in presenza di una. ricognizione anche reiterata nel tempo, rivelatasi poi inesatta nel ritenerne l'esistenza, la ricognizione correttiva ha efficacia retroattiva, poiché, diversamente, si determinerebbe la consolidazione "medio tempore" di una regola che avrebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente presupponendola, l'avrebbero creata" (Cassazione civile, sez. I, 08 maggio 2008, n. 11466, Guida al diritto 2008, 31 74; conf. Cassazione civile, sez. I, 30 novembre 2007, n. 25016, Guida al diritto 2008, 3 60; Cassazione civile, sez. I, 19 marzo 2007, n. 6514, Giust. civ. 2008, 10 2252). Sulla scia della giurisprudenza della S. C. si è posta ovviamente anche la più recente giurisprudenza di merito, evidenziando che "è da considerare nulla, in quanto stipulata in violazione delle norme codicistiche in materia, l'apposizione ad un contratto di conto corrente della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori soprattutto qualora tale apposizione si fondi su un uso negoziale e non su una norma consuetudinaria. Ciò essenzialmente in virtù della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma di salvezza degli effetti delle clausole anatocistiche stipulate in epoca antecedente alla definitiva dichiarazione di inefficacia di tali clausole da parte della Corte costituzionale" [Tribunale Salerno, sez. I, 14 dicembre 2007, n. 8654, Il merito 2008, 6; conf. Tribunale Bari, sez. I, 25 giugno 2007, n. 1651, Giurisprudenzabareseit 2007: "l'addebito periodico degli interessi debitori effettuato da una banca sulla scorta di una clausola di capitalizzazione trimestrale (nel più breve periodo rispetto a quella annuale applicata a favore dei clienti sui saldi di conto corrente attivi per quest' ultimi alla fine di ciascun anno solare) si basa su un uso negoziale e non su una vera e propria norma consuetudinaria (reiterato comportamento connotato dalla "opinio iuris ac necessitatis")"]. Il ragionamento per il quale, in caso di conto con saldo disponibile, inteso come somma che la banca si è obbligata a tenere a disposizione del cliente, (linea di credito accordata dalla banca e non ancora totalmente utilizzata), non si - potrebbe - parlare di anatocismo - perché - quando l'istituto di credito annota a debito del cliente interessi scaduti su di un conto dove esiste un saldo disponibile capiente per potere effettuare l'addebito, la banca opera un annotamento che costituisce di per sé pagamento del credito per interessi vantato dalla stessa, riducendo il saldo disponibile, non persuade; al di là della portata di tale annotamento non può negarsi che contabilmente sia stato considerato e applicato il censurato calcolo degli interessi in misura ultralegale.
Trattandosi del più grave vizio comportante invalidità, "la nullità della clausola anatocistica di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi passivi, inserita nel contratto di conto corrente bancario da cui deriva il credito azionato in giudizio, è rilevabile d'ufficio dal giudice anche in grado di appello, rimanendo irrilevante, a tal fine, l'assenza di una deduzione (o di una tempestiva deduzione) del profilo di invalidità a opera dell'interessato, la quale rappresenta una mera difesa, inidonea a condizionare, in senso positivo o negativo, l'esercizio del potere di rilievo officioso della nullità del contratto" (Cassazione civile, sez. I, 08 maggio 2008, n. 11466, Guida al diritto 2008, 31 75; conf., per la giur. mer., Tribunale Bari, sez. I, 25 giugno 2007, n. 1651 cit.).
Peraltro, "l
'approvazione dell'estratto di conto corrente bancario - ai sensi dell'art. 119 T.U.B. - riguarda solo le annotazioni nella loro consistenza pecuniaria, ma non estende la sua efficacia anche al titolo giuridico in base al quale le annotazioni stesse sono effettuate; (nella specie, è stata giudicata irrilevante la mancata impugnazione di un estratto conto da cui risultava l'applicazione di un tasso di interessi diverso da quello pattuito)" (Tribunale Milano, 27 settembre 2001, Banca borsa tit. cred. 2003, 216).
Assodata la illegittimità della praticata capitalizzazione trimestrale degli interessi, più dibattuto è il problema che concerne la rideterminazione del saldo, dovendo stabilirsi se essa vada fatta secondo
capitalizzazione semestrale, annuale o al netto di ogni capitalizzazione. In proposito sembra più convincente l'indirizzo giurisprudenziale di merito che propende per tale ultima soluzione; [c.f.r., in tal senso, Tribunale Nola, 11 settembre 2008, Giur. merito 2008, 12 3170, che si conforma all'orientamento sancito da Cass., sez. un., 10 dicembre 2004, n. 23077: "la clausola contrattuale che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi su conto corrente bancario è nulla ai sensi dell'art. 1283 c.c.: ciò comporta che il contratto debba dirsi ab origine difettante di una pattuizione sulla capitalizzazione sia essa trimestrale, semestrale o annuale, che non può essere in alcun modo surrogata perché, altrimenti, si forzerebbe il contenuto del contratto, andando ad inserirvi - del tutto arbitrariamente - qualcosa che precedentemente non c'era affatto, violando ogni principio codicistico"; Tribunale Benevento, 18 febbraio 2008, n. 252, Giur. merito 2008, 10 2554: "la clausola contrattuale che prevede, in favore della banca, la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi è da considerare illegittima in quanto in contrasto con la norma imperativa inderogabile ex ad. 1283 c.c., la cui inosservanza è sanzionata da nullità assoluta ai sensi dell'art. 1418 comma 1 c.c., senza che possa essere operata in via sostitutiva la capitalizzazione semestrale o annuale di tali interessi passivi maturati su conto corrente bancario"; Tribunale Monza, 04 dicembre 2007, Giur. merito 2008, 10 2554: "l'obbligazione di interessi presenta una natura speciale rispetto alla generalità delle obbligazioni pecuniarie. Dovendosi, pertanto, escludere che gli interessi scaduti rientrino nella disciplina generale prevista, per le obbligazioni pecuniarie, dagli artt. 1224 e 1282 ss. c.c., e non sussistendo i requisiti richiesti dall'art. 1283 c.c. perché gli stessi possano produrre, a loro volta, interessi, non può ipotizzarsi alcuna sostituzione della clausola anatocistica nulla con una diversa modalità di capitalizzazione degli interessi"; Tribunale Torino, 05 ottobre 2007, Foro it. 2008, 2 646: "ove sia dichiarata la nullità delle clausole, contenute in un contratto di conto corrente bancario stipulato anteriormente al 22 aprile 2000, con cui si prevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, va esclusa l'applicazione di qualsiasi altra forma di capitalizzazione"; Tribunale Roma, 12 gennaio 2007, Foro it. 2007, 6 1947: "in conseguenza della nullità della clausola, contenuta in un contratto di conto corrente bancario, con cui si prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, non sussiste un diritto della banca all'anatocismo semestrale o annuale, non sussistendo alcuna possibilità di sostituzione legale o inserzione automatica di clausole che dispongano una capitalizzazione degli interessi passivi con una diversa periodicità"; Tribunale Roma, 08 gennaio 2007, Giur. it. 2007, 2 379: "alla convenzione di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti alla banca dalla clientela di cui si accerti la nullità in quanto stipulata in violazione di norma imperativa non è applicabile il procedimento di sostituzione automatica della clausola invalida con una disposizione di norma imperativa previsto dall'art. 1419, comma 2, c. c., in assenza nella fattispecie della norma imperativa di riferimento. La nullità comporta pertanto l'obbligo integrale di restituzione degli interessi anatocistici versati senza che tale obbligo possa essere parzialmente ridimensionato con una loro diversa cadenza (semestrale o annuale)"}. Questo perché l'art. 1283 C.C. integra una disposizione inderogabile di legge la cui violazione comporta la radicale nullità delle clausole contrastanti con il divieto da essa imposto. In altri termini, la clausola anatocistica inserita in un contratto di conto corrente bancario, con la quale sia stata convenuta la capitalizzazione degli interessi vietata dalla previsione in esame, deve considerarsi radicalmente nulla ex art. 1418 C.C., e, come tale, essa sarà inficiata da inefficacia assoluta, non limitata a quella parte afferente la periodicità della capitalizzazione, (c.f.r. Trib. Napoli n°1786/06). Nemmeno potrebbe farsi ricorso al fenomeno della integrazione legale del contratto e alla sostituzione della clausola invalida con quella prevedente una capitalizzazione annuale; in verità, nessuna disposizione di legge prevede, quale effetto naturale del conto corrente bancario, la produzione di interessi anatocistici con cadenza annuale o con qualunque altra cadenza, sicché non sussiste la norma di legge che possa integrare, ai sensi dell'art. 1372 ovvero dell'art. 1339 C.C., la previsione negoziale illecita. Una norma simile non può rinvenirsi, del resto, nell'art. 1284 C.C., che sancisce semplicemente un criterio temporale di determinazione del saggio di interessi, nulla precisando circa la loro capitalizzazione. Individuato perciò nell'anno il dato temporale che, correlato ad un valore percentuale, esprime la capacità fruttifera di una somma di denaro, non si è conferita, con ciò solo, validità alla clausola di capitalizzazione di interessi non scaduti, contenuta nel limite annuale. L'art. 1283 cit. vieta, infatti, qualunque tipo di patto anatocistico stipulato ex ante, senza esprimere alcuna salvezza per le clausole che contemplino la cadenza annuale. È ovvio che la nullità della pattuizione contraria alla norma si sottrae ad ogni convalida postulata per l'eventuale decorso del termine di impugnazione degli estratti conto, stante il generale principio di insanabilità delle clausole nulle. Peraltro, anche la conversione della clausola nulla deve escludersi perché essa porterebbe a sostituire una clausola illecita, (quella di capitalizzazione trimestrale), con altra clausola altrettanto illecita, visto che non risulta dimostrata in giudizio, (né il convenuto istituto ha inteso in qualche modo provarla), la sussistenza, nella relazione contrattuale tra banca e cliente, di un valido uso anatocistico con cadenza semestrale o annuale.
Ma il diritto attoreo alla ripetizione degli importi corrisposti in applicazione della illegittima capitalizzazione degli interessi non può essere nemmeno vanificato da una
soluti retentio, cosa che si verificherebbe nella ipotesi in cui si accedesse all'argomentazione della convenuta difesa che inquadra nell'adempimento di una obbligazione naturale la corresponsione delle somme pagate a titolo di interessi ultralegali e/o capitalizzati. La illiceità della pattuizione di interessi anatocistici, animata dal fine di evitare l'usura, contrasta con la socialità e moralità del dovere che radica l'obbligazione naturale. Per giunta, l'addebito di interessi in conto corrente ad opera della banca non può assimilarsi tout court al pagamento previsto dall'ad. 2034 C.C., considerato che in esso non può ravvisarsi un atto spontaneo di adempimento da parte del debitore. Vero è che, in linea di massima, "il pagamento spontaneo di interessi in misura ultralegale, pattuita invalidamente, costituisce adempimento di obbligazione naturale e determina l'irripetibilità della somma così pagata. Tale principio, che fa riferimento agli interessi convenzionali non validamente pattuiti per iscritto in conformità al disposto del comma 3 dell'art. 1284 c.c., non è tuttavia applicabile agli interessi anatocistici. Mentre, infatti, è legittima, purché redatta in forma scritta, la pattuizione di interessi superiori al tasso legale, per cui la violazione della predetta norma si risolve in un mero vizio di forma, con l'ulteriore conseguenza che lo spontaneo adempimento dell'obbligazione assunta dal correntista può considerarsi assolvimento di un dovere morale o sociale, la pattuizione di interessi anatocistici è di per sé illegittima perché vietata dalla legge, salvo l'esistenza di usi contrari. Lo spontaneo pagamento di interessi pattuiti in violazione di una norma di legge difficilmente può considerarsi adempimento di un dovere morale o sociale" (Tribunale Genova, 04 gennaio 2008, Guida al diritto 2008, 27 82; conf. Tribunale Monza, 07 aprile 2006, Redazione Giuffrè 2006: "acclarata la nullità di tale clausola, ne consegue che le somme corrisposte durante il rapporto sono prive di causa e quindi costituiscono indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., nella specifica ipotesi di "condictio ob causam finitam", non essendo ravvisabile nella loro corresponsione l'ottemperanza ad alcuna obbligazione naturale"; Tribunale Monza, 06 febbraio 2006, Obbligazioni e contratti 2006, 6 557: "il pagamento di interessi anatocistici non costituisce adempimento di un'obbligazione naturale per insussistenza di entrambi i presupposti richiesti dall'art. 2034 c.c.. Il termine di prescrizione per l'azione di restituzione di quanto indebitamente percepito dalla banca è quello ordinario decennale e non il termine breve di cui all'art. 2948, n. 4, c.c."; Tribunale Vibo Valentia, 16 gennaio 2006, Giur. merito 2006, 10 2179: "il pagamento spontaneo di interessi in misura ultralegale, pattuito invalidamente, costituisce adempimento di obbligazione naturale e determina l'irripetibilità della, somma così pagata, ma l'indicato presupposto non ricorre nel caso di una banca che abbia proceduto all'addebito degli interessi ultralegali sul conto corrente del cliente per sua esclusiva iniziativa e senza autorizzazione alcuna da parte del cliente medesimo"; Tribunale Monza, 12 dicembre 2005, Banca borsa tit. cred. 2007, 2 204: "non sussiste l'adempimento di obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. per la corresponsione da parte del correntista di interessi ultralegali in assenza di trattativa tra le parti, in quanto perché si abbia obbligazione naturale occorre che il debitore abbia spontaneamente adempiuto in esecuzione di doveri morali o sociali ed il pagamento di interessi anatocistici non può essere ritenuto un dovere sociale o morale"; Cassazione civile, sez. I, 09 aprile 1984, n. 2262, Giust. civ. Mass. 1984, fasc. 3-4: "il pagamento spontaneo di interessi in misura ultralegale, pattuita invalidamente, costituisce adempimento di obbligazione naturale e determina l'irripetibilità della somma così pagata, ma l'indicato presupposto non ricorre nel caso di una banca che abbia proceduto all'addebito degli interessi ultralegali sul conto corrente del cliente per sua esclusiva iniziativa e senza autorizzazione alcuna da parte del cliente medesimo").
Tanto premesso, la
eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa dell'istituto di credito appare, secondo quanto già rilevato in prima approssimazione dal giudice investito della trattazione della causa, (c.f.r. ord. emessa fuori udienza in data 2.2.07), comunque superabile. Innanzitutto va detto, riprendendo le condivisibili osservazioni della difesa attorea, che in data 15.6.94 vi è stata la revoca della linea di credito a suo tempo concessa e non certo l'estinzione del contatto di conto corrente regolante la predetta linea, avvenuta, per stessa ammissione dell'istituto convenuto, soltanto in data 16.10.97, (c.f.r., in prod. att., copie estratti conto allegati alla citaz.). E ciò anche prescindendo dalla raccomandata del 1°.7.05, riscontrata dall'istituto convenuto, (c.f.r., in prod. cit., doc. 2), quindi prima del decorso del decennio prescrizionale, atto senz'altro idoneo a produrre la interruzione del termine di prescrizione, avendo l'attore contestato gli addebiti ritenuti illegittimi e costituito in mora il debitore. "L'azione di ripetizione di indebito proposta dal correntista nei confronti della banca che abbia preteso, sulla base di una clausola nulla di capitalizzazione di interessi passivi con cadenza trimestrale, interessi anatocistici è soggetta al termine di prescrizione decennale che decorre dalla chiusura del conto corrente, momento nel quale soltanto si definiscono i rapporti di credito o debito tra le partì' (Tribunale Bergamo, 29 maggio 2006, Corriere del merito 2006, 8-9 981; conf. Tribunale Monza, 07 aprile 2006, Redazione Giuffrè 2006; c.f.r. anche Tribunale Genova, 04 gennaio 2008, Guida al diritto 2008, 18 83, secondo cui: "quando il conto è in attivo, - la - percezione - degli interessi - avviene al momento della liquidazione e imputazione sul conto, sì che deve escludersi che il momento iniziale del termine di prescrizione decennale decorra dalla chiusura definitiva del rapporto. Quando invece il conto è in passivo non vi è percezione effettiva di interessi da parte della banca ma un incremento del suo credito, per cui non decorre alcun termine prescrizionale. La prescrizione, infatti, ... opera allorché il correntista agisca per la ripetizione di un indebito e quindi presuppone un pagamento effettivo. (Esemplificando, ... può osservarsi che l'azione di ripetizione, e di conseguenza la relativa prescrizione, è ipotizzabile - oltre che nel momento in cui un conto corrente sia stato estinto con il pagamento delle relative passività - quando, nel corso del rapporto, il saldo, a seguito di versamenti eseguiti dal correntista, sia divenuto anche temporaneamente attivo, essendo stati in quel momento pagati tutti i pregressi interessi, anche anatocistici e le spese legittimamente o illegittimamente addebitate dalla banca. Poiché nella fattispecie il saldo dei conti è sempre stato passivo, si è affermato, conclusivamente, che il termine di prescrizione ha cominciato a decorrere dopo la chiusura e non è decorso alla data di instaurazione della causa)". Nel caso giudicato, per quanto si è chiarito, la definitiva chiusura del rapporto di conto corrente deve farsi risalire alla data del 16.10.97 e non a quella, (15.6.94), individuata da parte convenuta e coincidente con la intervenuta revoca della concessa linea di credito.
Quanto alle
commissioni di massimo scoperto "le clausole contrattuali che - le - prevedono ... sono valide solo se costituenti corrispettivo per l'utilizzo, da parte del cliente, di importi superiori al credito a sua disposizione, dovendosi concludere altrimenti per l'illegittimità della clausola contrattuale che ponga a carico del cliente il pagamento di una somma, a tale titolo, da calcolarsi anche su importi entro il limite del fido, in quanto priva di causa. Anche per la commissione di massimo scoperto vale la questione della determinatezza o determinabilità dell'oggetto, per cui in assenza di univoci criteri di determinazione del suo importo, la relativa pattuizione va ritenuta nulla, con diritto del correntista alla ripetizione di quanto indebitamente versato" (Tribunale Teramo, 18 gennaio 2010, n. 84, Giurisprudenza locale - Teramo 2010). Perciò, "posto che la clausola del contratto di conto corrente bancario, con cui si prevede l'esistenza di commissioni non meglio specificate, senza alcuna indicazione circa la misura, il valore, la periodicità, la soglia di costo e il meccanismo di calcolo, è nulla per assoluta indeterminatezza e indeterminabilità, il correntista ha diritto ad ottenere la ripetizione di quanto indebitamente corrisposto a titolo di commissione di massimo scoperto" (Tribunale Busto Arsizio, 09 dicembre 2009, Foro it. 2010, 2 672). Nella fattispecie non può dirsi che l'istituto di credito convenuto abbia dimostrato, o abbia dimostrato sufficientemente, a confutazione dell'assunto di controparte, la validità, sotto il profilo evidenziato, della pattuizione in forza della quale ha fatto applicazione delle contestate commissioni di massimo scoperto.
Per la determinazione del quantum debeatur le risultanze della C.T.U., per quanto deficitarie, appaiono in ogni caso utilizzabili.
(…)
Sulla somma indicata, di €. 26.729,86, sono ancora dovuti gli interessi legali decorrenti dalla domanda al saldo. Ed invero, "nell'ipotesi d'azione di ripetizione d'indebito oggettivo, ex ad. 2033 c.c., il debito dell'accipiens, a meno che egli non sia in mala fede, produce interessi solo a seguito della proposizione di un'apposita domanda giudiziale, non essendo sufficiente un qualsiasi atto di costituzione in mora del debitore, atteso che all'indebito si applica la tutela prevista per il possessore in buona fede - in senso soggettivo - dall'art. 1148 c.c., a norma del quale questi è obbligato a restituire i frutti soltanto dalla domanda giudiziale, secondo il principio per il quale gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della proposizione della domanda. Sicché l'art. 2033 c.c., applicabile anche nel caso in cui sia sopravvenuta la causa che renda indebito il pagamento, esclude che la decorrenza degli interessi possa essere anticipata rispetto al momento della proposizione della domanda giudiziale" (Cassazione civile, sez. un., 25 giugno 2009, n. 14886, Diritto & Giustizia 2009).
(…)
Le spese di giudizio seguono inevitabilmente la soccombenza e sono liquidate d'ufficio in dispositivo con attribuzione ai difensori anticipatari.

P. Q. M.

Il Giudice Unico presso la Sezione Distaccata di Capri, definitivamente pronunciando, ex art. 281 sexies C.P.C., sulla domanda proposta da F. C. nei confronti del Sanpaolo Banco di Napoli S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., con citazione del 26.4.06, in accoglimento della domanda, per quanto di ragione, così provvede:
1°) Accertata nei sensi e nei limiti di cui in motivazione la illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi applicata con riferimento al rapporto di conto corrente di cui è causa, condanna il convenuto Istituto di Credito alla restituzione in favore dell'attore delle somme indebitamente incamerate a tale titolo, come complessivamente determinate dal C.T.U. con capitalizzazione annuale, in €. 26.729,86, oltre interessi legali decorrenti dalla domanda al saldo;
2°) Condanna il medesimo Istituto alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla controparte, liquidate d'ufficio, in mancanza di nota, in complessivi €. 5.250,00, di cui €. 1.720,00 per spese, (comprese quelle di C.T.U., liquidate in complessivi €. 1.396,73, oltre I.V.A. e Cassa di previdenza, poste provvisoriamente a carico dell'attore), €. 1.480,00 per diritti ed €. 2.050,00 per onorari, oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge ed oltre rimborso forfetario spese generali su diritti e onorari con attribuzione agli anticipatari.

Così deciso in Capri, addì 5.11.10.

IL GIUDICE UNICO
Dott. Antonio QUARANTA

Tribunale di Imperia, Dott. M. AICARDI, Sent. n. 1565 del 10 novembre 2010;


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