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Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2008

III

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
IL TRIBUNALE DI PESCARA
SENT. n. 187/08


in composizione monocratica in persona del giudice unico dott. Angelo Bozza nella causa civile in primo grado iscritta al n° 2961/05 del R.G.A.C.C. vertente tra:

D. A. C.
rappresentato e difeso dagli Avv.ti Alberto Lorenzi e Antonio Tanza come da procura a margine dell'atto di citazione ed elettivamente domiciliato, presso lo studio del primo legale In Pescara alla Via Elettra n. 50

. - Parte attrice.-

Contro

Banca Intesa S.p.a. in persona dell’Avv.Bruno Palestinese giusta procura in data 7.4.2003, rappresentata e difesa dall'Avv. Antonio Farina come da procura a margine della comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Pescara alla Via Vittoria Colonna n. 23

.-Parte convenuta –

verificata la regolarità del contraddittorio;l’atto introduttivo, gli scritti difensivi ed i verbali;
lette le conclusioni istruttorie e di merito;all’odierna udienza i procuratori delle parti a seguito di discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c.;pronunciato la seguente

SENTENZA

Il D. A. C. ha chiesto, con atto di citazione notificato 1’23.1.2006 nei confronti della Banca Intesa S.p.a., dichiararsi la nullità ed inefficacia di una serie di clausole delle condizioni generali e di quanto non convenuto in relazione al contratto di apertura di credito con affidamento mediante scopertura su conto corrente n. 1932612 01/33 intrattenuto dal D. A. con l’allora Banca Commerciale Italiana, con condanna alla restituzione di quanto indebitamente percepito oltre gli interessi legali e la rivalutazione monetaria; il tutto con condanna della convenuta al risarcimento danni per lite temeraria (sollevata con la memoria ex art. 183 c.p.c) e vittoria delle spese di lite.
La Banca Intesa ha contestato quanto
ex adverso dedotto, a sua volta proponendo domanda riconvenzionale di condanna dell’attore al pagamento del saldo del conto in questione, a suo dire, di euro 6.804,75, sollevando rispetto alla domanda diverse eccezioni di rito e di merito che più avanti saranno partitamente esaminate assieme alle diverse eccezioni contrattuali sollevate con la domanda dall'attore.
Ciò premesso, va innanzitutto osservato che la domanda principale del D.A. si caratterizza, eccependo, a decorrere dal 1974, la nullità/inefficacia di alcune clausole dell’apertura di credito con affidamento mediante scopertura su conto corrente instaurato alla fine di detto anno, come domanda di accertamento del saldo finale del conto corrente, con conseguente domanda di condanna della banca, in caso di saldo attivo, al pagamento del relativo importo. In definitiva dello stesso contenuto è la domanda riconvenzionale dell’istituto di credito.
Di conseguenza le domande di entrambe le parti devono necessariamente passare per la fase dell’accertamento del dovuto alla luce delle eccezioni
e delle richieste delle parti, tenendo presente che non sono oggetto di contestazione in questa sede e non potrebbero esserlo, le movimentazioni ed i calcoli che hanno portato l’istituto di credito alla predisposizione dei diversi estratti conto trimestrali. Deve, infatti, tornarsi a ribadire che l’approvazione del conto ex art.1832 c.c., applicabile al conto corrente bancario in forza del richiamo operato dall’art. 1857 c.c., rende incontestabili le annotazioni in conto, derivanti dalla mancata impugnazione, nella loro realtà effettuale. Ciò non toglie che, per consolidata giurisprudenza, tale incontestabilità non comporta la decadenza da eventuali eccezioni relative alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori, contratto ed altre pattuizioni, da cui dette annotazioni derivano. In questo senso l’eccezione sollevata dall’istituto di credito non è, ovviamente, fondata.
1) In via preliminare va rigettata l’adombrata ma, invero, neppure esplicitata eccezione di nullità della citazione per indeterminatezza della domanda sollevata dalla banca, enunciando l’atto introduttivo con precisione il contratto di conto corrente cui far riferimento, i fatti giuridicamente rilevanti, posti a base della pretesa (rapporto contrattuale e addebito di poste passive non dovute in relazione al calcolo degli interessi, commissione massimo scoperto, giorni valuta etc.), a nulla rilevando l’omessa specifica indicazione dell’importo dell’indebito preteso in restituzione da accertarsi in corso di causa, essendo ciò pacificamente ritenuto ammissibile, se l’attore, come nella specie, abbia indicato i titoli dai quali lo stesso trae fondamento (condizioni generali di contratto, numero di conto corrente, estratti conto), permettendo in tal modo al convenuto di formulare in via immediata ed esauriente le proprie difese (per tutte di recente Cass. 7074/05), tanto più quanto, sempre come nella specie, sussiste una obbiettiva difficoltà nel pervenire a tale determinazione in relazione ad un rapporto di conto corrente protrattosi a lungo nel tempo, con molteplicità di operazioni compiute e diversi profili di nullità di clausole contrattuali dedotte.
Va anche confermato, rimanendo su questione procedurale di ordine probatorio, che l’ammissione di consulenza contabile, trovano pieno fondamento, nelle ampie produzioni di parte attrice costituite dal documento contenente le originarie condizioni generali di contratto di conto corrente non contestato da controparte, estratti di conto dal dicembre 1974, consulenza contabile di parte, tutti dati di rilievo probatorio che escludono in radice il carattere meramente esplorativo della richiesta.
L’istituto di credito in ordine all’espletata CTU ha avuto genericamente a ridire sulla frammentarietà della documentazione utilizzata dal consulente del giudice per svolgere il suo incarico, cosa che però non risponde alle risultanze della stessa e quel che più conta alla documentazione in atti costituita da tutti gli estratti conto dal dicembre 1974 al 30.4.2005. Quanto alla dedotta capitalizzazione annuale degli interessi maturati dal correntista (e non dall’istituto di credito in quanto espressamente esclusa nel quesito), ciò non trova riscontro nella CTU.
2) Va altresì ritenuta infondata l’eccezione di prescrizione del diritto alla restituzione del presunto indebito sollevata da parte convenuta. La tipologia di domanda avanzata (rideterminazione del saldo previa epurazione delle poste addebitate sulla base di clausole nulle) comporta che il momento iniziale del termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme indebitamente addebitate dalla banca su un’apertura di credito accessorio a rapporto di conto corrente, decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità rapporti esecutivi, sicché è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro, con conseguente esigibilità da parte dell’Istituto di credito (giurisprudenza ormai ampiamente consolidata: Cass. Sez. III 14.4.2005 n. 10127, RV. 580805; Cass. 09/04/1984, n.2262; ma anche in tema di diritto di credito nei confronti del fideiussore nell’ambito del rapporto di conto corrente: Cass. Sez. III 23.3.2004, n. 5720, RV. 571397; Cass. Sez. III 14.4.1998, n. 3783, RV. 514479).
E' inutile, poi, soffermarsi oltre il necessario sul tempo di prescrizione del diritto alla restituzione di quanto indebitamente versato che è quello ordinario decennale ex art. 2946 c.c. e non certo quinquennale: non vertendosi nelle particolari materie di cui all'art. 2948, n. 4) c.c. e, nello specifico, in tema di corresponsione di interessi a cadenza periodica visto che qui non viene richiesto il pagamento ma la restituzione di somme non dovute a titolo di interessi, né tanto meno si discute in materia di risarcimento danni da illecito extracontrattuale (art. 2947 c.c.).
In merito alla prescrizione parte convenuta ha anche eccepito che la prescrizione andrebbe esaminata con riguardo alle singole aperture di credito che ancorchè regolate in conto, hanno avuto una propria autonomia genetica e di durata rispetto al conto principale.
L’assunto non può essere condiviso, in quanto le aperture di credito in questione risultano chiaramente inserite e destinate comunque a confluire nel conto corrente di cui si discute, come si desume con assoluta certezza dallo stesso contratto del 1974 che altro non è che una apertura di credito in conto corrente e dalle diciture rinvenibili nelle diverse richieste di fido succedutesi nel tempo che, tra l’altro, espressamente richiamano l’art. 6 delle condizioni generali relative alle aperture di credito ed inoltre nulla riportano in termini di saggi di interessi che sono all’evidenza quelli concordati
con il contratto in questione.
Parte attrice ha dunque diritto a vedersi ricostruire il rapporto di corrente per le ragioni di cui alla domanda sin dal 1974, tenendo presente che:
a) parte convenuta non ha prodotto l’originale del contratto di conto corrente ma non ha contestato le condizioni contrattuali prodotte da controparte poste a base del rapporto, b) non risultano successive pattuizioni contrattuali ed in particolare non è dato rinvenire contratti successivi al giugno 2000 epoca in cui le banche sono spesso addivenute a concludere nuovi contratti con i correntisti in applicazione della nota normativa in tema di interessi anatocistici bilaterali.
3) Venendo alle questioni di diritto sollevate dall’attore, in primo luogo è stata eccepita la nullità della clausola contrattuale di cui all’art. 7, 3° comma delle condizioni generali, secondo cui gli interessi sono calcolati alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza, con corresponsione di interessi ultra legali.
Come ripetutamente ribadito la disposizione è sicuramente nulla.
L’art. 1284, terzo comma, cod. civ. dispone che: “Gli interessi superiori a quelli legali devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale”.
E' di tutta evidenza che la misura di interessi passivi ad un tasso superiore a quello legale debba essere stabilita a pena di nullità per iscritto.
Va evidenziato che
anteriormente alla emanazione della Legge n. 154/92 e al D. Lgs. n. 385/93, che hanno espressamente vietato il rinvio a qualsivoglia uso sulla piazza, le banche utilizzavano usualmente contratti nei quali la determinazione del tasso debitore avveniva con riferimento agli usi vigenti sulla piazza secondo clausole aventi il tenore letterale sopra riportato frutto di convenzione interbancaria.
Sul punto la giurisprudenza è concorde nel ritenere che
1a convenzione relativa alla determinazione degli interessi è validamente stipulata in ossequio al disposto di cui all’art. 1284, terzo comma, c.c., quando il relativo tasso risulti determinabile e controllabile in base a criteri in essa oggettivamente indicati e richiamati. Una clausola contenente un generico riferimento “alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza” può, pertanto, ritenersi univoca se coordinata alla esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi di cartello, ma non anche quando tali accordi contengano riferimenti a diverse tipologie di tassi e non consentono, per la loro genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso fare concreto riferimento (v. Cass. 10.11.1997 n. 11042; Cass. 8.5.1998 n. 4696; Cass. 19.7.2000 11. 9465; Cass. 2.12.2003 n. 14684; Case. 2005/10127 già richiamata; Cass. 4095/05; 4092/05; da ultimo Cass. 31.1.2006, n. 2140, RV. 588055).
In definitiva il requisito della forma scritta di cui all’art. 1284 cod. civ. si intende soddisfatto solo quando vi è l’indicazione numerico percentuale del tasso debitore. Ne consegue, che sempre in virtù dell’art. 1284 c.c., per i contratti stipulati in precedenza la nullità della relativa clausola comporta l’applicazione di interessi passivi al tasso legale, con conseguente ricalcolo del saldo debitore. aggiunto che con l’entrato in vigore il 9.7.1992 della legge 154/92 in ogni caso le clausole in questione,come quella di cui è causa, sono divenute inoperanti perché espressamente ritenute effette da nullità.
E', peraltro, da escutere che in merito alla determinazione dal tasso degli interessi da applicare possa trovare retroattivamente applicazioni, per i rapporti in corso alla data di entrata in vigore su indicata, quanto previsto da detta legge e poi dall’art. 117 L. 385/93, in quanto la clausola degli usi su piazza era già da ritenersi espunta con l’applicazione dell'art. 1284 c.c.
Pertanto dal 1974, epoca di stipula del contratto e sino alla data del marzo 2005, gli interessi passivi vanno calcolati al tasso legale dell’epoca.
4) Quanto alla nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi, la questione è pacificamente fondata.
Il decidente in proposito non può che tornare a ribadire quello che è ormai indirizzo univoco di Questo Tribunale e della giurisprudenza di legittimità, ormai consolidata con la decisione delle S.U. della Cassazione n. 21095 del 7.10/4.11.2004, che ha statuito l’illegittimità del fenomeno della capitalizzazione trimestrale degli interessi in materia bancaria, in quanto prassi contraria alla norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. e non trasfusa in un uso normativo, con conseguente nullità
ex tunc, ai sensi degli artt. 1283, 1284 e 1419 c.c. delle clausole negoziali di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, anche in relazione ai periodi anteriori al noto mutamento giurisprudenziale avvenuto nel 1999 (cfr. oltre alle S.U. sopra richiamate: Cass. 10127/05; Cass. 3805/2004; Cass. 12868/2004; Cass. 5155/2004; Cass. 2593/2003; Cass. 17813/2002; Cass. 8442/2002;Cass.di 4490/2002; C.Cost. 425/2000; per la giurisprudenza di merito cfr. Trib Torino 7.1.2003; Trib. Napoli 27.11.2002; Trib Roma 8.11.2002; Corte App. L'Aquila 11.6.2002). E' inutile dire che tale conclusione appare pienamente legittima proprio ed innanzitutto con riferimento al contratto di conto corrente bancario, non condividendosi le argomentazioni talvolta utilizzate da una giurisprudenza minoritaria (cfr. Trib. Roma 27.1.2003; Trib. Palermo 6.9.2002; per la indiscutibile applicazione della disciplina di cui all'art.1283 c.c. anche ai contratti bancari in c/c si veda la sentenza delle S.U. 21095/04 citata ed anche: Cass. 6558/1997, C. App. Lecce 598/2001).
La capitalizzazione trimestrale che, per stesse sostanziali ammissioni della banca convenuta, sarebbe stata applicata al rapporto di conto corrente in questione deve pertanto essere dichiarata illegittima.
Si pone a questo punto il problema se vada comunque riconosciuta all’istituto (ed in generale anche al correntista) una diversa temporalità nella capitalizzazione degli interessi.
Ebbene, sino alla data di effettiva entrata in vigore della Delibera del C.I.C.R. 9 febbraio 2000 (Gazz. Uff. 22 febbraio 2000, n. 43) avvenuta il 10.7.2000 (la data di entrata in vigore della delibera è del 24.4.2000, ma, ai sensi dell’art. 7, che detta la disciplina della fase transitoria, le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente delibera dovevano essere adeguate alle disposizioni della delibera entro il 30.6.2000 e i relativi effetti si producevano a decorrere dal successivo 10 luglio) deve escludersi una qualsiasi capitalizzazione degli interessi.
Al riguardo, nel sostenere una capitalizzazione annuale si è osservato che sarebbe possibile individuare nell’art. 1284, 1° comma c.c. la fonte di un fenomeno legale di anatocismo annuale (ovvero di risarcimento forfettario, con cadenza annuale, del danno da inadempimento dell’obbligazione pecuniaria di interessi); poiché, prevedendo tale disposizione che
“il saggio degli interessi legali è determinato [...] in ragione di anno” verrebbe così individuato, oltre ad un criterio di determinazione del tasso degli interessi dovuti, anche un principio generale di naturale scadenza ed esigibilità annuale degli interessi. Da tale scadenza conseguirebbe anche l’effetto, proprio della scadenza di ogni obbligazione, del risarcimento del danno da inadempimento, regolato, per le obbligazioni pecuniarie come quella di interessi, dall’art. 1224 c.c.
Ebbene, reputa il decidente, sempre in conformità
della giurisprudenza assunta da questo ufficio giudiziario (i precedenti di questo stesso ufficio di segno diverso riguardano pronunce isolate anteriori all’assunzione di una posizione comune), che tale tesi non sia condivisibile in quanto non tiene conto sia della natura imperativa e non derogabile della disciplina generale dettata dall’art. 1283 c.c. per regolare il fenomeno dell’anatocismo, sia della “specialità” dell’obbligazione di interessi rispetto al “genus” delle obbligazioni pecuniarie.
D’altra parte è in proposito significativa la decisione delle Sezioni Unite n. 9653 del 17.7.2001. Chiamate a dirimere un contrasto giurisprudenziale sorto sulla questione della configurabilità o meno dell’obbligazione di interessi come una qualsiasi obbligazione pecuniaria dalla quale derivi quindi anche il diritto agli ulteriori interessi. di mora nonché al risarcimento del maggior danno (ex art. 1224 comma II c.c.) ovvero come una obbligazione
sui generis soggetta soltanto alla regola dell’anatocismo, le S.U. sono pervenute alla conclusione che, il debito per interessi (anche quando sia stata adempiuta l’obbligazione principale) resti soggetto alla regola dell’anatocismo di cui all’art. 1283 cod. civ., derogabile soltanto dagli usi contrari ed applicabile a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento di una somma di denaro sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura. La giurisprudenza successiva della Suprema Corte ha seguito la stessa scia (cfr. Cass n. 2439/2002; Cass. 2771/2002; Cass. 4133/2003; Cass. 4830/2004; idem, tra l'altro in tema di mutuo bancario: Cass_ 2593/2003; Cass. 1724/1977; Cass. 3479/1971).
In definitiva la norma cardine dell’art. 1283 c.c., espressamente dettata dal legislatore per disciplinare il fenomeno dell’anatocismo, è norma imperativa e di natura eccezionale che ammette la capitalizzazione degli interessi soltanto a determinate condizioni, prevedendo che gli interessi scaduti possono produrre a loro volta interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di una convenzione fra le parti successiva alla scadenza degli stessi, e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno un semestre, salvo usi contrari intesi quali usi normativi, inesistenti nella specifica materia bancaria di cui si tratta.
La clausola di capitalizzazione è dunque nulla per contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c., per cui il contratto, verbale prima e scritto poi è da ritenere
ab origine privo di qualsivoglia pattuizione di capitalizzazione, trimestrale come annuale come di diversa periodicità.
Si sostiene da parte degli istituti di credito che il pagamento delle somme dovute comportava la irripetibilità delle somme addebitate per i titoli oggi contestati, configurando il pagamento stesso una obbligazione naturale ex art. 2034 cod. civ. ( in senso conforme Cass Sez. I 9.4.1984, n. 2262).
Il decidente non condivide tale assunto, non ravvisando nella corresponsione di interessi anatocistici da parte del cliente di un istituto di credito alcuna assolvimento di doveri morali e sociali, ma semplicemente l’adempimento di una clausola contrattuale (ritenuta nulla perchè in contrasto con la legge) che la parte, al momento dei pagamenti, riteneva legittima. Come sia possibile in questo ravvisare una doverosità morale e sociale intesa, alla stregua della coscienza sociale, atto moralmente e socialmente necessario, non è dato comprendere, visto che la sua inosservanza non comporta di per sé, e salvo casi particolari, un giudizio di riprovazione o di disistima nel giudizio della collettività in qualche modo equiparabile ad altri casi di
soluti retentio ben più significativi e ritenuti di regola degni di tutela, come il dovere di assistenza nei confronti del convivente, l’esecuzione di disposizione fiduciaria o quelli più particolari e legati a doveri sociali imposti dal senso dell'onore, come i debiti di gioco e scommessa. Dunque nessun interesse anatocistico ed il rapporto di conto corrente è da ritenere ab origine privo di qualsivoglia pattuizione di capitalizzazione, trimestrale, annuale, come di diversa periodicità.
5) L’attore ha poi eccepito l’illegittimità degli interessi percepiti al di sopra del tasso effettivo globale stabilito dalla legge 108/96.
In merito, il decidente deve anche qui richiamare la giurisprudenza di Questo Tribunale e di parte della giurisprudenza della Suprema Corte, giurisprudenza che non ha ragione di disattendere che ha in linea di principio escluso tutte le ipotesi di cosiddetta usura sopravvenuta e cioè di quei casi in cui al momento della pattuizione non
si abbia superamento dei tassi soglia, ma ciò si verifica solo successivamente alla promessa o convenzione o perché trattasi di contratto stipulato prima dell'entrata in vigore della legge 7.03.1996, n. 108 o perché trattasi di contratto stipulato dopo in cui il superamento si determina per effetto delle modifiche intervenute nella rilevazione dei tassi soglia). Secondo questa indirizzo interpretativo. Con la norma di interpretazione autentica contenuta nell’ art. 1, primo comma, D.L. 29 dicembre 2000, n. 394 convertita, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2001, n. 24 il legislatore ha, infatti, chiarito, con interpretazione vincolante, che debbono intendersi come usurari “gli interessi che superano il limite della legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente del momento del loro pagamento”. Siano così venuti meno i presupposti per paralizzare l’operatività delle clausole, stipulate prima dell’entrata in vigore dell’art. 1 della citata legge 108/96, che abbiano determinato il saggio degli interessi in misura da qualificarsi "usuraria", alla stregua dei criteri stabiliti da detta disposizione, tanto più che la conformità di tale norma al dettato costituzionale è stata di recente riconosciuta dal Giudice delle leggi (cent. 29/2002).
In definitiva il tasso degli interessi si considera usurario non con riferimento al tempo in cui sono dovuti, ma in riferimento a quello in cui sono stati promessi o convenuti. Di conseguenza anche dopo l’entrata in vigore della normativa anti-usura, se non sopravviene una nuova convenzione tra le parti in merito al saggio di interesse, il precedente saggio pattuito rimane valido tra le stesse (Cass. Sez. 122.7.2005, n. 15497, in CED CASS RV. 583086; Sez. 1, n. 13868 del 24/09/2002,
in CED Cass. Rv. 557538; Sez. 3, n. 17813 del 13/12/2002,Rv.559217; Sez. 3, n. 4380 del25/03/2003, Rv. 561409; va segnalato che quella giurisprudenza che sembra andare di contrario avviso, in realtà non contiene alcun riferimento al D.L. 394/2000 e si richiama a decisioni della Suprema Corte anteriori alla suddetta legge di interpretazione autentica: Cass. n. 8442 del 13.6.2002; Cass. Sez. II1, sentenza n. 11706 del 5.8.2002, Rv 556652 non pubblicata; conforme a Cass. N. 14899/2000; Cass. N. 5324 del 4.4.2003; Cass. Sez. 3, Sentenza n.10032 del 2004).
Va anche ricordato, in relazione a quella giurisprudenza di merito che estende l’applicazione della normativa antiusura anche anteriormente alla sua entrata in vigore facendo leva sulla natura imperativa delle disposizioni in esame, che la disposizione che regola il tasso soglia non è in sé una norma imperativa, posto che sono norme imperative relative all’usura soltanto l’art. 644 c.p. e l’art. 1815, comma II, c.c. (le uniche norme cui si riferisce la legge
n. 108/96 ed alle quali soltanto la stessa ha riferito i tassi soglia), onde ai rapporti a cui non possono applicarsi tali due norme (ex D. L. n. 394/2000: “Ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p. e dell'art. 1815 comma ST c.c., si Intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunquetitolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”) non sono di conseguenza soggetti a tasso soglia. Nella specie il contratto è anteriore alla legge sull’usura e dunque nessun accertamento di impone. Del resto la verifica operata dal CTU ha escluso in ogni caso il superamento del tasso soglia.
6)
Il D.A. ha poi eccepito la illegittimità dell'addebito dei cosiddetti giorni valuta e cioè un allungamento apparente dei giorni solari nel conteggio dei prestiti operati, che va di conseguenza ad incidere sugli interessi passivi dovuti dal cliente. In merito nulla prevedevano le condizioni generali della Banca Commerciale che non ha contestato il loro avvenuto conteggio ed il CTU ha provveduto alla loro elisione.
Del tutto generica e per giunta tardivamente sollevata in comparsa conclusionale (e non nei termini dati dal giudice per deduzioni e chiarimenti al CTU), è la contestazione delle modalità di calcolo dei giorni valuta, visto che il consulente del giudice ha dovuto semplicemente scomputarli, attenendosi alle date delle operazioni risultanti dagli estratti.
7) Quanto alla clausola relativa alla commissione di massimo scoperto, si reputa in linea di principio che tale competenza bancaria rappresenta comunque un elemento retributivo per la banca, aggiuntivo agli interessi praticati, che non ha fonte legale e quindi richiede la necessità di specifica pattuizione. Di conseguenza, se si è assolto all’onere di forma, non può essere messo in dubbio, nell’ambito del principio dell’autonomia contrattuale, che la clausola assolva per l’istituto di credito ad una specifica funzione e sia fornita di causa giustificativa. Nella specie, peraltro, nessuna previsione risulta contrattualmente stabilita in base alle condizioni generali, per cui, il prelievo di dette somme da parte dell'istituto di credito per tale causale è da ritenere indebito.
8) Con riguardo, infine, alle spese del conto corrente, non emergono pattuizioni al riguardo, per cui tali spese non sono dovute alla banca.

Pertanto, alla luce delle considerazioni su esposte, rigettata la domanda riconvenzionale, la Banca Intesa va condannata, quale saldo positivo per il D.A. del conto corrente n. 1932612 01/33, al pagamento della somma di
euro 80.939.02, oltre gli interessi legali dalla data della domanda. Non è dovuta la svalutazione monetaria in quanto non comprovato l’ulteriore danno subito.ricorrono le condizioni per l’applicazione dell'art. 96 c.p.c.
Le spese, a favore dei difensori distrattari, seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, comprese le spese di CTU parzialmente anticipate dall'attore.

P.Q.M.


Il Tribunale di Pescara, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa promossa da
D.A. nei confronti della Banca Intesa S.p.a. con atto di citazione notificato in data 23.1.2006 così provvede in accoglimento delle domande:
-
dichiara la nullità delle clausole contrattuali che prevedono il calcolo degli interessi passivi secondo gli usi di piazza;
- dichiara la nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi per contrasto con la norma imperativa di cui all'art. 1283 c.c., per cui il rapporto è da ritenere ab origine privo di qualsivoglia pattuizione di capitalizzazione, trimestrale, annuale come di diversa periodicità;
-
dichiara la illegittimità della corresponsione della commissione di massimo scoperto mai pattuita e dunque non dovuta;
-
dichiara la illegittimità della corresponsione dei cosiddetti giorni valuta, perché non pattuiti;
-
dichiara non dovute le spese del conto corrente;
condanna la Banca Intesa S.p.a. quale saldo del contratto di apertura di credito con affidamento mediante scopertura su conto corrente n. 1932612 01/33, al pagamento a favore del D.A. della somma di euro 80.939.02, oltre gli interessi legali dalla data della domanda;
- rigetta
la domanda riconvenzionale;
- condanna
la Banca Intesa al pagamento in favore dei difensori distrattari delle spese di giudizio che liquida, in complessivi Euro 11.162,50 oltre spese di CTU anticipate dall’attore, di cui Euro 7,50 per spese imponibili, Euro 355,00 per spese esenti (oltre spese di CTU), Euro 3.800,00 per diritti ed Euro 7.000,00 per onorari di avvocato, oltre il 12,50% ex art. 14 T.F. CPA 2% e IVA 20% su diritti e onorari come per legge.
Così deciso nella camera di consiglio del Tribunale di Pescara il 7.2.2008;

Il Giudice Unico
Dott. Angelo Bozza


IV

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI VIGEVANO

N. 386/06 R.G.


Costituito nella persona del GIUDICE UNICO – Dr. Fabrizio SCARZELLA – nella qualità di GIUDICE con funzioni istruttorie e decisorie nella causa di cognizione infra specificata, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile n. 386/06 R.G., promossa da:
C. O. e S. M. E. entrambi rappresentati e difesi per delega a margine dell'atto di citazione dall'Avv. Antonio TANZA unitamente e disgiuntamente all'Avv. Salvatore PANELLA, e presso lo studio di quest'ultimo in Vigevano Via De Amicis 33, elettivamente domiciliati.

ATTORI

contro

BANCA INTESA, rappresentata e difesa per delega a margine della comparsa di costituzione e risposta dall'Avv. Enrico BRUGNATELLI del Foro di Milano unitamente all'Avv. Vincenzo ALESSIO e, presso lo studio di quest'ultimo in Vigevano Via Santa Croce 10, elettivamente domiciliata.

CONVENUTA

OGGETTO: BANCARI (deposito bancario)


All'udienza del 12/02/08 i procuratori delle parti hanno così concluso:

Gli Avv.ti Antonio TANZA e Salvatore PANELLA per gli attori:

"Voglia l'On.le Tribunale adito, respinta ogni altra istanza, in accoglimento dei motivi su esposti:
1. ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1284, 1346, 2697 e 1418 2° comma c.c., nonché dell'art. 8 della legge n. 64 del 1986, dell'art. 7 comma 3, delle condizioni generali del contratto apertura di credito e di conto corrente n. 2720124 intestato a C. O. e S. M. E., oggetto del rapporto tra le parti del presente giudizio, relativa alla determinazione degli interessi debitori con riferimento alle condizioni usualmente praticate dalle Aziende di credito sulla piazza e, per l'effetto, DICHIARARE la inefficacia degli addebiti in c/c per interessi ultralegali applicati nel corso dell'intero rapporto e l'applicazione in via dispositiva, ai sensi dell'art. 1284, comma 3 c.c., degli interessi al saggio legale tempo per tempo vigente;
2. ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1283, 2697 e 1418 2° comma c.c., dell' art. 7, corrimi 2 e 3, delle condizioni generali di contratto apertura credito e di conto corrente n. 2720124 intestato a C. O. e S. M. E. oggetto del rapporto tra le parti del presente giudizio, relativa alla capitalizzazione trimestrale di interessi, competenze, spese ed oneri applicata nel corso dell'intero rapporto e, per l'effetto, DICHIARARE la inefficacia di ogni qualsivoglia capitalizzazione di interessi al rapporto in esame;
3. ACCETTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1325 e 1418, degli addebiti in c/c per non convenute commissioni sul massimo scoperto trimestrale; comunque prive di causa negoziale;
4. ACCETTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1284, 1346, 2697 e 1418 2° comma c.c., degli addebiti di interessi ultralegali applicati nel corso dell'intero rapporto sulla differenza in giorni
banca tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta; nonché per mancanza di valida giustificazione causale;
5. ACCETTARE e DICHIARARE, per l'effetto, l'esatto dare
avere tra le parti del rapporto sulla base della riclassificazione contabile del medesimo in regime di saggio legale di interesse, senza capitalizzazioni, con eliminazione di non convenute commissioni di massimo scoperto e di interessi computati sulla differenza in giorni banca tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta;
6. DETERMINARE il Tasso Effettivo Globale (T.E.G.) dell'indicato rapporto bancario;
7. ACCETTARE e DICHIARARE, previo accertamento del Tasso Effettivo Globale, la nullità e l'inefficacia di ogni e qualsivoglia pretesa della convenuta banca per interessi, spese, commissioni, e competenze per contrarietà al disposto di cui alla legge 7 marzo 1996 n. 108, perché eccedente il c.d. tasso soglia nel periodo trimestrale di riferimento, con l'effetto, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 2° comma c.c., dell'applicazione del tasso legale senza capitalizzazione.
8. CONDANNARE la convenuta banca alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre agli, interessi legali creditori e rivalutazione monetaria, in favore degli odierni istanti;
9. CONDANNARE in ogni caso la parte soccombente al pagamento delle spese e competenze di giudizio con distrazione in favore dei sottoscritti procuratori antistatari."
Gli Avv.ti Enrico BRUGNATELLI e Vincenzo ALESSIO per la convenuta:
Voglia il giudice Ill.mo, contrariis reiectis e previe le declatorie del caso:
Respingere le domande formulate dagli attori assolvendo BANCA INTESA S.p.a. da ogni pretesa avversaria, o comunque accogliendo le sue difese ed eccezioni esposte anche in via di subordine;
con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa.

CONTESTUALE E CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

L'opposizione avanzata C. O. e S. M. E. è fondata.

In via preliminare va innanzitutto rigettata l'eccezione di
decadenza derivante dal presunto invio degli estratti conto visto che, per giurisprudenza consolidata, l'eventuale approvazione di estratti conto, ex. art. 1832 c.c., pur rendendo incontestabili le annotazioni in conto non comporta per ciò solo la decadenza da eventuali eccezioni relative alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori da cui dette annotazioni derivano (v. Cass. N. 11961/2003; 13823/2002).

Appare parimenti infondata l'eccezione di
prescrizione sollevata dalla resistente opposta visto che "il momento iniziale del termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi su un'apertura di credito in conto corrente (nella specie, perché calcolati in misura superiore a quella legale senza pattuizione scritta), decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità dì Atti esecutivi, sicché è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro" (v. Cass. 14.5.2005; n. 2262/1984); nel caso di specie parte opponente non è pertanto incorsa in alcuna prescrizione di legge visto che i rapporti bancari per cui è causa sono stati chiusi nel maggio 2001 e che la stessa ha notificato l'atto di citazione in oggetto nel febbraio 2006, entro cioè il termine prescrizionale decennale di legge.

Sempre in via preliminare appare parimenti infondata l'eccezione di
irripetibilità sollevata dalla convenuta tenuto conto di quanto di seguito esposto circa la contrarietà all'ordine pubblico e/o a norme imperative - e, quindi, la nullità - delle clausole di volta in volta applicate dalla prima agli attori nei rapporti bancari per cui è causa. Va in ogni caso a tal fine evidenziato che pacificamente, e tipologia di rapporti negoziali, stante l'atteggiamento psicologico del cliente in genere costretto a sottoscrivere le clausole di volta in volta predisposte dalla banca a causa della sua necessità di usufruire del relativo credito, non sono configurabili i presupposti necessari per la configurabilità di un cd obbligazione naturale, quale l’ "opino iuris ac necessitatis" (v. Cass. 4.11.2004).

Nel merito va innanzitutto evidenziato che la clausola, contenuta nel contratto di conto corrente in oggetto, relativa alla determinazione degli interessi in base alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla
piazza, è nulla per indeterminatezza. In tema di contratti bancari, "la convenzione relativa agli interessi è infatti validamente stipulata, in ossequio al disposto dell'art. 1284 c.c., solo quando il relativo tasso risulti determinabile e controllabile in base a criteri oggettivamente indicati" e non già attraverso un generico riferimento alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza (v. Cass. 13823/2002); "la clausola che, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è infatti priva del carattere della sufficiente univocità e non può quindi giustificare la pretesa della banca al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale; né rileva a tal fine la presenza di accordi di cartello interbancari, diretti a fissare i tassi di interesse attivi e passivi in modo vincolante in ambito nazionale, atteso che tali accordi, se garantiscono l'obiettività del criterio di determinazione del tasso di interesse, debbono tuttavia ritenersi nulli in applicazione dell'art. 2 L. n. 287/1990-applicabile nei confronti delle aziende e degli istituti di credito ai sensi del successivo art. 20- che vieta le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente la concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, ricomprendendo espressamente fra tali intese quelle che detto risultato perseguano o determinino attraverso attività consistenti nel fissare, direttamente o indirettamente, prezzi di acquisto o di vendita dei rispettivi prodotti" (v. Cass. n. 4490/2002).
Appare altresì nulla, per contrarietà a norma imperativa, la clausola relativa alla capitalizzazione degli interessi trimestrali visto che,ai sensi dell'art.
1283 c.c., "in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi."La capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte di una banca sui saldi di conto corrente passivi per il cliente non costituisce un uso normativo ma un uso negoziale, essendo stata tale diversa periodicità della capitalizzazione (più breve di quella annuale) adottata per la prima volta in via generale su iniziativa dell'Abi del 1952 e non essendo connotata la reiterazione del comportamento della opinio iuris ac necessitatis" (v. Cass. 3096/1999); la configurabilità di un uso. normativo richiede in particolare due requisiti, uno di natura oggettiva- e cioè la costante e uniforme ripetizione di un dato comportamento- l'altro di natura soggettiva- e cioè la consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, di modo che venga a configurarsi una norma sia pure di rango terziario avente i caratteri della generalità e astrattezza. Tali aspetti sono inconfigurabili nelle norme bancarie uniformi emanate dall'Abi in quanto imposte al cliente in base ad una prassi, sia pure ineludibile in quanto richiesta dall'istituto di credito mediante clausole uniformi e predisposte; soltanto a seguito dell'emanazione dell'art. 25 D. Lgs 342/1999- che ha delegato al comitato interministeriale per il credito e il risparmio il compito di "stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria- e della delibera del CICR del 9.2.2000, divenuta efficace il 22.4.2000, è stata riconosciuta la legittimità dell'anatocismo bancario con conseguente necessità, nei rapporti di conto corrente, a partire dal 1.7.2000, che l'accredito e l'addebito degli interessi avvenga sulla base di tassi e con la periodicità contrattualmente stabilita e che il saldo periodico produca interessi secondo le medesime modalità, a condizione che vi sia la stessa periodicità del conteggio degli interessi creditori e debitori (art. 2 della delibera). Nel caso di specie appare pertanto nulla, per contrarietà all'art. 1283 c.c, la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi effettuata sul conto corrente in questione con conseguente capitalizzazione annuale degli stessi, in conformità a quanto previsto per l'eventuale capitalizzazione degli interessi attivi.
In assenza di un fido o di un contratto di finanziamento bancario idonei a giustificarne la valida sussistenza e previsione appaiono poi nulle le
commissioni di massimo scoperto eventualmente previste per assenza di causa e, comunque, in caso di loro mancata esplicita previsione - avuto anche riguardo al metodo di calcolo di volta in volta applicato per difetto di forma.
Parimenti nulle, per difetto di forma, appaiono i cd
giorni di valuta eventualmente previsti nel rapporto bancario visto che le pattuizioni relative alla decorrenza della valuta sottostanno all'obbligo di forma previsto dall'art. 1284 3 comma c.c., risolvendosi dette pattuizioni in una modifica del saggio di interesse applicato sui saldi attivi e passivi.
Appare infine nulla per difetto di specifica previsione e, quindi, di forma, l'eventuale applicazione di
spese a carico dei correntisti trattandosi oltretutto di somme remunerative entrando per legge a concorrere alla determinazione del tasso di interesse usurario, al pari delle altre voci di volta in volta previste dalla legge.
Fatte queste doverose premesse in fatto e in diritto va innanzitutto rilevato come, dalla svolta ctu contabile, siano emerse la mancata puntuale e specifica indicazione, nel contratto in oggetto, dei tassi di interesse creditori, dell'aliquota delle commissioni di massimo scoperto e delle spese e come nel 2, 3,4 trimestre del 1999, nel 1 e 4 trimestre del 2000 e nel primo trimestre del 2001 il teg aggregato di interessi e commissioni di massimo scoperto abbia comunque superato il tasso -di usura previsto dalla L. n. 108/1996. Da quanto fin qui esposto e dai conteggi agli atti- le cui modalità operative non sono state specificamente contestate dalle parti- risulta in specifico comprovato, a favore degli attori, alla data del 18.5.2001, un credito di euro 27621,68 tenuto comunque conto della accertata nullità, per i motivi sopra indicati, delle clausole relative alle commissioni di massimo scoperto e alla previsione di eventuali spese e della mancata applicabilità, al caso di specie, della normativa prevista dal TUB a causa della mancata specifica indicazione e deduzione, nei termini di legge, da parte degli attori, a titolo di "causa pretendi", di tale normativa e a causa della successiva entrata in vigore di tale testo normativo rispetto al contratto per cui è causa. Le spese di lite vanno liquidate a favore di parte opponente, secondo il principio di soccombenza, nella misura indicata in dispositivo, tenuto conto del valore della causa e della esigua attività processuale svolta.

P.Q.M.

Il Tribunale di Vigevano, definitivamente pronunciando,
1) dichiara la nullità delle condizioni generali del contratto di riapertura di credito e di conto corrente n. 2720124 intestato a C. O. e S. M. E. relative alla determinazione degli interessi debitori con riferimento alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza; alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, competenze, spese ed oneri; agli addebiti per commissioni di massimo scoperto; agli addebiti di interessi ultralegali applicati sulla differenza in giorni tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta;
2) dichiara la inefficacia degli addebiti nel contratto in oggetto operati per i titoli di cui al capo 1 del dispositivo;
3) dichiara che il credito di C. O. e S. M. E., per le causali di cui ai capi 1 e 2 del presente dispositivo, ammonta a complessivi euro 27621,68;
4 ) condanna Banca Intesa spa, in persona del legale rappresentante pro-tempore, a restituire a C. O. e Silvia Maria Elena complessivi euro 27621,68, oltre interessi legali semplici dal dovuto al saldo.
5) condanna Banca Intesa spa, in persona del legale rappresentante pro-tempore, a rimborsare a C. O. e S. M. E. le spese di lite liquidate in complessivi euro 3000,00, oltre accessori di legge.
Vigevano, 12 febbraio 2008 Dr. Fabrizio SCARZELLA



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