Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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La bravata ...

Anatocismo e Usura

Sull'irrilevanza dell'art. 2 quinquies, comma 9, del disegno di Legge n. 2518 ovvero il c.d. maxiemendamento al decreto Milleproroghe (D.L. 29 dicembre 2010 n. 225) nelle cause di ripetizione dell'indebito pagamento per anatocismo, interessi ultralegali, cms, valute fittizie e spese forfettarie.

(dell'Avv. Antonio TANZA adusbef@studiotanza.it )


Il disegno di Legge n. 2518, ovvero il c.d.
maxiemendamento al decreto Milleproroghe (D.L. 29 dicembre 2010 n. 225, provocatoriamente denominato Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), approvato al Senato, con il ricorso alla "fiducia", in data 16 febbraio 2011, approvato dalla Camera (sempre con il ricorso alla "fiducia"), in 25 febbraio 2011, e nuovamente dal Senato in data 25 febbraio 2011 (a causa di insignificanti modifiche apportate a seguito del richiamo del Presidente della Repubblica in data 22 febbario 2011) contiene, tra l'altro, una norma estremamente criptica: l'art. 2 quinquies, comma 9.
Il testo così recita:
"In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di mporti già versati. Alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge".
Non ci vuole molto per capire che anche questo Governo si è dilettato in un ennesimo
"salva banche" (in verità il potere bancario non ha colori e gli utenti delle banche ricordano benissimo il "Salva Banche 1" sull'anatocismo, varato dal Governo D'Alema, ed il "Salva Banche 2" sui mutui usurari, varato dal Governo Amato): infatti, non sono trascorsi neppure tre mesi da quando l'espressione più alta della Magistratura Italiana, le S.U. della Cassazione, hanno definitivamente statuito in materia di prescrizione dell'azione di ripetizione dell'indebito, relativa alle apercredito bancarie, che il Governo ha inteso interpretare l'art. 2935 c.c. sulla prescrizione, relativamente alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, con tre righe aggiunte frettolosamente nella tarda serata di lunedì 15 febbraio da un noto Senatore del PdL.
Il tutto, in una normativa, che dovrebbe per lo più contenere interventi urgenti in materia di sostegno alle imprese e alle famiglie: in verità si è assistito in un ennesimo tentativo di regalare denari alle banche, togliendoli alle famiglie.
Si parla di
tentativo, poichè probabilmente la fretta e l'assenza di lavori preparatori hanno fatto sì che alla norma introdotta debba riconoscersi uno spazio ed una portata ben ridotta con effetti estremamente differenti da quelli sperati dai filobancari: in verità, l'interpretazione sulla portata della prescrizione, relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto, può solo completare la normativa già esistente in materia di decadenza dalla contestazione della singola appostazione in conto corrente.
Sgombriamo subito il campo da probabili equivoci.
La prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può farsi valere (art. 2935 c.c.) e, in particolar modo, nelle operazioni bancarie regolate in conto corrente la prescrizione dei diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa (cfr. art. 2 quinquies, comma 9 del maxiemendamento).
A tal proposito giova rammentare preliminarmente che, mentre
l'azione promossa dal cliente verso la banca, per far valere la nullità della clausola che prevede, ad esempio l'anatocismo, è imprescrittibile ai sensi dell'art. 1422 c.c., quella proposta dallo stesso cliente nei confronti della banca, ai fini di conseguire la ripetizione delle somme che assume di avere versato a titolo di capitalizzazione trimestrale degli interessi, è soggetta ai medesimi principi che regolano la domanda di ripetizione di indebito.
Imprescrittibilità dell'azione di nullità significa che la prescrizione dei diritti derivanti l'annotazione non potrà mai intaccare il diritto dell'utente ad un'azione giudiziaria volta a far dichiarare la nullità delle clausole contrattuali originariamente nulle, quali quella dell'anatocismo (cfr. art. 1283 c.c.), degli interessi ultralegali "uso piazza" o dei giorni di valuta "fittizi" (art. 1284 c.c.), ecc.
E' altresì evidente come la domanda di ripetizione dell'indebito (indebito in quanto derivante da un negozio nullo) ha un presupposto imprescindibile: il pagamento.
Se non si ha un pagamento non si potrà certo ripetere ciò che non si è mai pagato.
Pertanto, punto di partenza del diritto di ripetizione dell'indebito è l'individuazione del momento in cui, nelle operazioni regolate in conto corrente bancario, si verifica il pagamento, ovvero vengono pagati indebiti interessi anatocistici ed ultralegali, indebite commissioni di massimo scoperto trimestrale, indebite valute fittizie e spese forfettarie.
A questa domanda hanno risposto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010.
"Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati".
Pertanto le S.U. hanno ineccepibilmente individuato nell'estinzione del saldo di chiusura il momento in cui si verifica il pagamento dell'indebito e dal quale nasce il diritto di ripetizione e, dunque, il momento dal quale decorre il termine prescrizionale, così come previsto dall'art. 2935 del c.c., anche con l'interpretazione imposta dall'art. 2 quinquies, comma 9, del DDL n. 2518/2011, per la ripetizione dell'indebito.
La singola annotazione in conto , in se e per sé considerata, influisce sul rapporto solo a livello quantitativo, ma non fa sorgere alcun diritto di ripetizione in capo all'utente, in quanto non potrà mai costituire un pagamento.

Inoltre, ad esempio, l'annotazione in conto di una posta di interessi capitalizzati (in violazione dell'art. 1283 c.c.) non potrà mai valere come sanatoria di un negozio originariamente nullo (ai sensi dell'art. 1422 c.c.), come è nulla la clausola contrattuale anatocistica.
Non potranno mai sorgere valide obbligazioni da un negozio nullo.
Le S.U. nella nota sentenza hanno anche chiarito come :
"Qualora, invece, durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (o, come in simili situazioni si preferisce dire "scoperto") cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento".
Ma, a tal punto, una volta affermato che il versamento extra fido costituisce pagamento (sempre se vi sia lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca: il versamento effettuato da un terzo sul c/c evidentemente non avrà mai un fine solutorio), occorre in concreto verificare se esso sia servito a coprire il debito del correntista in linea capitale ovvero se esso abbia coperto dapprima gli interessi e le spese, solo successivamente il capitale.
Se, da un lato, è pacifico che il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore (cfr. art. 1194 c.c.), è altrettanto pacifico che il creditore, con il tacito assenso del debitore, può imputare il pagamento dapprima al capitale e successivamente agli interessi e alle spese.
Detta scelta del creditore è, ovviamente, irrevocabile.
Tuttavia, anche qualora fosse revocabile, ai sensi dell'art. 2 quinquies, comma 9, del DDl n. 2518, il diritto della banca di imputare l'annotazione di versamento del correntista al pagamento di interessi e spese (e non a capitale come, in effetti, avviene in concreto), si prescrive con il decorso di dieci anni dall'imputazione a capitale fatta dalla banca al momento del versamento.
Infatti, è noto, come nel rapporto di conto corrente bancario di corrispondenza è solo la banca a tenere il conto e, pertanto, indipendentemente dall'indicazione del correntista nella distinta di versamento, sarà l'appostazione leggibile in e/c a dettare l'imputazione voluta dal creditore, ovvero dalla banca.
Nella realtà dei fatti, il correntista non effettua mai annotazioni in conto (imputando il versamento ad interessi e spese), mentre la banca registra gli accrediti o addebiti effettuando, solo ed esclusivamente, la variazione dei numeri creditori o debitori attinenti al complessivo dare - avere.
Successivamente, a fine trimestre, con un'operazione affetta da nullità (l'azione di nullità è imprescrittibile, come chiaramente indicato dall'art. 1422 c.c.) la banca capitalizza gli interessi ultralegali, come fittiziamente aumentati con il gioco delle valute, le cms e le spese forfettarie, raggruppandole in una voce di capitale (infatti genera ulteriori competenze nel trimestre successivo, la c.d. "capitalizzazione") che viene appostata o nell'estratto conto del trimestre in esame come ultima appostazione o come prima nell'estratto conto del trimestre successivo.
Detta operazione di appostazione in conto capitale (di interessi, commissioni e spese) è affetta da nullità originaria imprescrittibile, rilevabile persino d'Ufficio (anche nel grado di appello) e, comunque, non costituisce pagamento.
Da detta annotazione non nascono diritti o obbligazioni validi, né scaturisce alcuna conseguenza, se non quella di diminuire in forma assolutamente fittizia la disponibilità del correntista.
Le altre annotazioni in conto, al contrario, hanno un titolo negoziale valido: ad esempio, un versamento in contanti, un versamento di un assegno, oppure l'operazione di prelievo o l'emissione di un assegno in pagamento, ecc.
Nessun diritto soggetto a prescrizione, ai sensi dell'art. 2 quinquies, comma 9, potrà nascere da un'appostazione che ha origine da un negozio originariamente nullo.
Va chiarito, per inciso, come non abbiano certo valore di annotazione in conto i saldi parziali riportati periodicamente dalla banca (ogni mese, trimestre ed a fine anno) negli estratti conto; così come non ha alcun valore di annotazione il saldo riportato, ad esempio, su una ricevuta bancomat alla fine di un'operazione compiuta dal correntista.
Solo il saldo finale, coincidente con la chiusura del conto e con il pagamento, assume valore di annotazione in conto.
Nel corso dell'esame contabile dei c.d. conti extrafido, talora la difesa della banca invoca, per l'incidenza degli accrediti, il disposto dell'art. 1194 c.c., il cui secondo comma stabilisce un criterio legale d'imputazione dei pagamenti, limitativo del potere del debitore, sancendo che il pagamento sia riferito, in primo luogo, agli interessi.
Tuttavia, la norma richiede l'effettuazione di un "pagamento" di un debito che sia esigibile da parte del creditore (ovviamente l'art. 1194 c.c nei conti corrente affidati non è neppure prospettabile, non essendovi pagamenti durante il rapporto).
Ciò porta ad escludere che il criterio legale di imputazione valga per quei versamenti o accrediti, non solutori, affluiti su un conto corrente di corrispondenza, con apertura di credito.
Nel conto corrente bancario i versamenti hanno natura di pagamenti solo quando il conto sia scoperto.
Nell'ipotesi ordinaria del conto corrente affidato la serie successiva di appostazioni (versamenti o prelievi) non danno luogo a singoli rapporti, ma a mere subvariazioni quantitative di un unico rapporto giuridico instaurato dalle parti.
Ne deriva che i vari versamenti costituiscono delle mere operazioni contabili di accredito, dirette a ripristinare la provvista.
Essi non hanno finalità solutoria dato che, finché perdura il rapporto, la banca non vanta un credito che sia esigibile verso il correntista.
Non trattandosi, pertanto, di pagamenti è fuor di luogo invocare l'art. 1194 2° comma.
Ma ciò non basta per applicare "sic et simpliciter" il suddetto criterio legale di imputazione.
Come insegna la Suprema Corte sulle disposizioni del Codice Civile in materia di imputazione dei pagamenti, per il loro carattere suppletivo, prevale la volontà delle parti.
La volontà delle parti, in particolar modo del creditore (la banca), desumibile anche da presunzioni (nel caso in esame le modalità con cui la banca effettua le appostazioni nel contratto di conto corrente), va verificata con riferimento all'epoca del singolo pagamento.
Occorre, quindi, per invocare l'imputazione, che la banca, quando affluisce l'accredito su di un conto che abbia sconfinato, incameri la somma versata per interessi e spese (ovvero la riceva a titolo di pagamento).
Solo in tale caso, può, ineccepibilmente imputare l'importo prima agli interessi e poi al capitale relativo allo "scoperto", differentemente l'importo andrà imputato indistintamente a capitale, interessi e spese.
Abitualmente, infatti, la banca registra gli accrediti con l'indicazione dei diversi numeri creditori e debitori, sulla cui base calcola gli interessi, senza attuare alcuna distinzione.
Anzi, nella maggior parte dei casi, la banca con l'applicazione, almeno nel passato, anche per tali interessi, della lucrosa capitalizzazione periodica, manifesta, in modo in equivoco, la volontà di rinunziare all'applicazione del criterio legale di imputazione e gli effetti di tale rinunzia sono irreversibili, una volta avvenuto il pagamento (cfr Dott. Salvo BARBARA, Presidente Sezione Civile Tribunale di Siracusa, "La Consulenza tecnica in materia di interessi bancari" in "Il Dottore Commercialista", 2005).
Ne deriva che l'imputazione del versamento solutorio (o della parte di detto versamento che supera il saldo ricalcolato, in quanto epurato dalle somme derivanti da obbligazioni nulle) andrà in pagamento non direttamente agli interessi e spese (così come vorrebbe l'art. 1194 c.c.), ma in forma proporzionale al capitale, interessi e spese, come di fatto operato sempre dalla banca durante lo svolgersi del rapporto.
Questa è stata la condotta della banca durante tutto il rapporto che ha così espresso, per facta concludentia, la volontà di rinunziare all'applicazione del criterio legale di imputazione previsto dall'art. 1194 c.c. (lo stesso articolo, fa salva la differente volontà del creditore), imputando i versamenti in conto capitale, ed aggiungendo allo stesso capitale, a fine trimestre, interessi (gonfiati dalle valute fittizie), spese e cms.
Ciò posto, è evidente come la norma sulla prescrizione dei diritti nascenti dall'annotazione in conto (art. 2935 c.c.) vada letta in riferimento alla norma sulla decadenza dei diritti nascenti dalla mancata contestazione delle appostazioni in conto corrente (art. 1832 c.c.).
Consolidata giurisprudenza della S.C. ha chiarito come non vada confuso il contratto costitutivo del relativo rapporto obbligatorio, regolato dagli artt. 1284 e 1283 c.c., con la singola annotazione in conto che, in se e per sé, influisce solo a livello quantitativo sul rapporto: infatti, l'approvazione dell'estratto conto rende incontestabili, solo ed esclusivamente, le registrazioni a debito e credito nella loro realtà contabile, ma non anche l'efficacia e la validità dei rapporti sostanziali.

In tema di operazioni bancarie in conto corrente, sono qualificabili come estratti-conto le comunicazioni al cliente sulla situazione del conto, queste comunicazioni vengono inviate dalla banca non solo allo scioglimento del rapporto, ma anche alle scadenze periodiche contrattualmente previste, con la riproduzione di tutte le partite contabili - ivi compresi i diritti di commissione, le spese per le operazioni effettuate, gli interessi attivi e passivi maturati, le ritenute fiscali, oltre alla riproduzione di un preciso riferimento alle partite di dare ed avere, mettendo il cliente medesimo in condizione di riscontrare ogni eventuale vizio incidente sul saldo finale.
L'approvazione del conto consegue alla mancata contestazione dell'estratto nel termine contrattualmente previsto, senza necessità che da parte della banca venga sollevata alcuna eccezione di decadenza, e preclude qualsiasi contestazione in ordine alla conformità delle singole annotazioni ai rapporti obbligatori dai quali derivano gli accrediti e gli addebiti iscritti nell'estratto conto (salva l'impugnazione per errori, omissioni e duplicazioni di carattere formale, ai sensi del 2° comma dell'art. 1832 c.c.).
Con la previsione del decorso del termine di prescrizione decennale dei diritti nascenti, sia in capo alla banca che al correntista, sulle singole annotazioni dalle quali derivano gli accrediti e gli addebiti iscritti nell'estratto conto si è, probabilmente, inteso colmare un evidente vuoto che poteva dare adito a di storture.
Ad esempio, dal momento dell'annotazione, il correntista, avvedutosi dell'illegittimità dell'addebito in conto, avrà il diritto di agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso, allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli: detto diritto si prescrive dal giorno dell'appostazione in conto.
Lo stesso correntista, ovviamente, per quanto innanzi detto, non può agire in quel momento per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo (solo con la chiusura del conto si effettua, in via normale, un pagamento).
Prendiamo, altresì, ad esempio l'accredito di anticipi su effetti, di anticipi su fatture interne, su fatture estere, ecc , se per tali operazioni si verifica il ritorno di effetti o ricevute insolute, sorge un diritto per l'Istituto di credito a vedersi restituire le somme anticipate.
Tale diritto viene a configurarsi in un'epoca successiva all'annotazione originaria (oltre il periodo ordinario di contestazione a termine di decadenza dell'estratto conto) con riferimento alla data dell'accredito originario, in quanto viene di fatto annullata la disponibilità dell'importo accreditato sin dal principio.
Interviene, dunque, l'art. 2935 c.c. che, con la nuova interpretazione, intende far decorrere la prescrizione dall'annotazione in conto dell'anticipazione originaria, salvaguardando il diritto dell'Istituto a vedersi riconoscere le somme anticipate.
Dal momento dell'annotazione da parte della banca del versamento del correntista a capitale si prescrive (sempre che tale scelta effettuata dalla banca si possa ritenere modificabile) il diritto della banca ad imputare quel versamento esclusivamente ad interessi e spese.
Ed ancora, la mancata contestazione dell'estratto nel termine contrattualmente previsto preclude qualsiasi contestazione in ordine alla conformità delle singole annotazioni ai rapporti da parte dell'utente, senza necessità che da parte della banca venga sollevata alcuna eccezione di decadenza, mentre non veniva rappresentata, ad esempio, l'ipotesi inversa.
In ogni caso, la banca avvedutasi dell'illegittimità dell'annotazione in conto, nell'ipotesi che non si attivi nei dieci anni a rivendicare giudizialmente questo suo diritto, incorrerà nella prescrizione dell'art. 2 quinquies, comma 9 del maxiemendamento al milleproroghe.
L'interpretazione autentica dell'art 2935 c.c. in tema di operazioni bancarie regolate in conto corrente ha creato una sorta di sbarramento applicabile, ad entrambe le parti, e relativa alla rivendicazione dei diritti nascenti da ogni singola annotazione dalla quale deriva l'accredito o l'addebito iscritto nell'estratto conto, contribuendo alla certezza del diritto.
L'art. 2 quinquies, comma 9, come modificato nella serata del 23 febbraio 2011, fa salvi gli importi già versati alla data di entrata in vigore della normativa.
Per il resto, è noto che l'estratto conto è considerato mero documento contabile, da cui discende che le operazioni bancarie in esso riassunte e menzionate (prelevamenti e versamenti), a differenza del conto corrente ordinario, non danno luogo alla costituzione di autonomi rapporti di credito o debito reciproci tra il cliente e la banca, ma rappresentano l'esecuzione di un unico negozio, da cui deriva il credito o il debito del cliente verso la banca.
Pertanto, la mancata tempestiva contestazione dell'estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo meramente contabile, ma non sotto quello della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano.
Infatti, le contestazioni di cui all'art. 1832 c.c. non possono coinvolgere il titolo contrattuale dell'operazione, che è regolata dalle norme generali sui contratti, ma solo la conformità delle singole concrete operazioni ai patti ed alla realtà del loro andamento.
Una contestazione dell'estratto del conto non è specifica ove riguardi la vincolatività o meno del patto contrattuale che obbliga a corrispondere una certa misura degli interessi, dal momento che per tale contestazione è da ritenersi necessaria l'impugnativa del contratto stesso.
Dunque, la prescrizione dei diritti derivanti dalla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori, dai quali le partite inserite nel conto derivano, ha come punto di riferimento non la mera appostazione contabile, ma il rapporto negoziale.
L'azione di ripetizione ha un necessario presupposto: la chiusura del conto.
Solo con la chiusura del conto si ha un pagamento: prima non si può parlare di azione di ripetizione e non si può parlare di decorso di un diritto che viene a concretizzarsi, magari dopo trent'anni all'appostazione sul conto.
Infatti, non si può validamente sostenere che si sia prescritto il diritto di ripetere un versamento effettuato con un'annotazione in conto risalente agli anni '70 (relativa ad un conto debitorio, non scoperto) e chiuso nel 2009, quando solo nel 2009 si è tecnicamente concretizzato il pagamento.
Alla data dell'annotazione si prescrivono solo ed esclusivamente i diritti derivanti dalla mera appostazione contabile, ma non certo quelli derivanti dalle nullità negoziali originarie.
La prescrizione è la causa di estinzione del diritto derivante dalla inattività del titolare per il tempo determinato dalla legge, ma nel caso in esame il diritto alla restituzione dell'indebito si forma solo ed esclusivamente con la chiusura del conto corrente passivo affidato.
Lecce, 24 febbraio 2010 Avv. Antonio Tanza

Giurisprudenza adesiva all'impostazione:
I
La Corte d'Appello di Ancona
Ordinanza Rg 13931/1

Composta come da p. v. del 3 febbraio 2011
Sciogliendo la riserva,
osserva che l'istanza di sospensione avanzata dall'appellante non può trovare accoglimento;
premesso che non risulta contestata, con il prodotto gravame, la qualificazione data in sentenza al rapporto intercorso tra le parti, profilo questo coltivato nella sola istanza tesa alla sospensione, osserva che non si apprezza, nel contesto di sommaria delibazione dei motivi d'appello, il fumus dell'impugnativa;
che, in riferimento prioritario, motivo incentrato sulla, dedotta, erronea esclusione dell'eccepito fatto estintivo, riceve smentita dalla pronuncia resa dalla Corte di Cassazione, sez.,unite, in data 2 dicembre 2010;
senza che possa avvalersi l'appellante del disposto di cui all'art. 2, comma 61, del d.l. 2251 2010, decreto convertito con legge 10 del 2011: pur volendosi superare la palese inammissibilità della tardiva deduzione difensiva, va rilevato che per un verso, detto disposto si riferisce ai "diritti nascenti dall'annotazione", decorrendo dalla medesima annotazione il termine prescrizionale, diritti che deve ritenersi pertanto azionabili immediatamente, pena macroscopico sovvertimento del sistema, anche qualora, ed il dato fattuale depone in tal senso, non si abbia conoscenza dell'annotazione, operazione contabile meramente interna all'istituto di credito; diritti, e tanto assurge ad argomento dirimente, estranei alla fattispecie, qui esaminata, che non attiene a posizione derivante dalla annotazione, bensì dal pagamento quale inteso dalla richiamata sentenza che ha proprio escluso che da detta operazione contabile nasca l'indebito; talché altra connotazione letterale avrebbe dovuto assumere la disposizione qualora avesse voluto ricondursi la decorrenza del termine prescrizionale afferente l'indebito alla sola annotazione, limitandosi invece il legislatore delle "mille proroghe" a statuire sulla decorrenza, ancorandola alla medesima annotazione, che, in difetto di altra, e ben più incisiva novella, non abilita, di per sé sola, alla ripetizione dell'indebito;
il disposto invocato, per altro verso, ha indubbia portata innovativa, al di là della dichiarata natura meramente interpretativa, talché, anche a voler disattendere quanto appena detto, non potrebbe trovare applicazione in relazione alla presente controversia, trattandosi sì di norma sostanziale, ma che non può di certo introdurre, retroattivamente effetto estintivo del diritto azionato dalla società appellata;
né ricorre, sotto altro versante, pregiudizio imputabile alle condizioni finanziarie della società appellata, nessun serio elemento deponendo in tal senso, laddove è congeniale alla peculiare fase liquidatoria che il creditore si sia attivato per ottenere titolo in corso di causa;
va; in conseguenza, revocato il decreto reso in data 23 dicembre 2010;

P. Q. M.

Respinge l'istanza prodotta dall'appellante, revocando l'interinale disposta sospensione.
Ancona, 3 marzo 2011 Il Presidente

TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO
VI SEZIONE CIVILE

In persona del giudice dott. Cecilia Marino
ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nella causa civile iscritta al n. 22290/06 R.G. Cont.
promossa da
___ S.p.a., rappresentati e direha dagli Avv.ti Antonio TANZA e Stefania DF. FRANCESCO, quest'ultima domiciliataria.

- attore -

contro
INTESA SANPAOLO S.p.a., rappresentata e difesa dall'Avv. Marcello BOSSI,

- convenuto -

ritenuto quanto alle eccezioni delle parti che:
- la consulenza tecnica è stata correttamente conferita, in quanto avente oggetto la ricostruzione di dati rilevabili dalla documentazione bancaria e i relativi conteggi:
- l'eccezione di prescrizione proposta da parte convenuta é tardiva, in quanto la stessa si e costituita nel corso della prima udienza. Intesa San Paolo in memoria di replica eccepisce a sua volta la tardività dell'eccezione sollevata da ___ in quanto effettuata per la prima volta in comparsa conclusionale. L'eccezione della banca deve essere respinta il quanto, qualora il convenuto non sollevi le proprie eccezioni entro venti giorni dalla prima udienza, la stesso deve essere dichiarato decaduto dal relativo diritto. Il calcolo utile ai tini della ripetizione di indebito deve quindi essere effettuato con decorrenza dall'inizio del rapporto;
-la capitalizzazione degli interessi sia trimestrale che annuale è nulla sulla base di costante giurisprudenza sino al contratto dell' 11.7.2000;
-quanto al tasso degli interessi, è corretto fare riferimento alla pattuizione intercorsa tra le parti nei periodi in cui la stessa risulta pattuita. Ora risultano prodotte concessioni di fido in cui sono pattuiti tali interessi. Peraltro la banca afferma che per i periodi precedenti alla concessione dei fidi il tasso di interesse debitore è irrilevante in quanto non sussistente. Invero risulta dalla lettera 22.4.87 prodotta da parte convenuta che esistevano già in precedenza aperture di credito. Occorrerà chiarire il punto in contraddittorio con le parti e il ctu all'udienza infra fissata;
-non è applicabile l'art. 1194 c.c., in quanto norma riferita all'imputazione di pagamento da parte del debitore e non del creditore, la cui applicazione determinerebbe un risultato in contrasto con il contenuto della giurisprudenza in materia di interessi anatocistici;
-il pagamento di interessi non dovuti non può essere ricondotto all'obbligazione naturale;
-la commissione massimo scoperto è nulla per mancanza di causa;
ritenuto necessario a fronte delle contestazioni alla ctu convocare il ctu a chiarimenti, al fine anche di conferire eventuale supplemento di ctu;
ritenuto che nel corso dell'udienza dovranno altresì essere chiariti in contraddittorio con le parti tutti i profili non oggetto della presente;

P.Q.M.

rimette la causa in istruttoria;
convoca le parti e il ctu per l'udienza del 13.4.2011 ore 12,15;
convoca altresì le parti personalmente per tentativo di conciliazione;
si comunichi alle parti e al CTU a mezzo fax
Torino, 14 marzo 2011

Il Giudice
Dott. Cecilia MARINO



Interpellanza Senato del 26 febbraio 2011


LANNUTTI, BELISARIO, GIAMBRONE, MASCITELLI, CARLINO, PEDICA -
Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri dell'economia e delle finanze e della giustizia -


Premesso che:

il cosiddetto decreto-legge Milleproroghe (decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, "Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie", con un titolo a giudizio degli interpellanti provocatorio), approvato, con modificazioni, al Senato (disegno di legge n. 2518-B) con il ricorso alla fiducia in data 16 febbraio 2011, successivamente approvato anche dalla Camera, sempre con il ricorso alla fiducia, il 25 febbraio 2011, e nuovamente in corso di approvazione al Senato in data 26 febbraio 2011 (chiamato ad esaminare le modifiche, a giudizio degli interpellanti insignificanti, introdotte alla Camera a seguito del richiamo del Presidente della Repubblica in data 22 febbraio 2011), contiene, tra l'altro, una norma estremamente criptica: il comma 61 dell'articolo 2. Il testo così recita: «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». A giudizio degli interpellanti, non ci vuole molto per capire che anche questo Governo si è dilettato in un ennesimo intervento "salva banche" (in verità il potere bancario non ha colori e gli utenti delle banche ricordano benissimo il "Salva Banche 1" sull'anatocismo, varato dal Governo D'Alema, ed il "Salva Banche 2" sui mutui usurari, varato dal Governo Amato): infatti, non sono trascorsi neppure tre mesi da quando le Sezioni unite della Corte di cassazione, l'espressione più alta della magistratura italiana, hanno definitivamente statuito in materia di prescrizione dell'azione di ripetizione dell'indebito, relativa alle aperture di credito bancarie, che il Governo ha inteso interpretare l'art. 2935 del codice civile sulla prescrizione, relativamente alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, con tre righe aggiunte a giudizio degli interpellanti frettolosamente. Il tutto in una normativa che dovrebbe per lo più contenere interventi urgenti in materia di sostegno alle imprese e alle famiglie; in verità si è assistito ad un ennesimo tentativo di regalare denari alle banche, togliendoli alle famiglie;

si parla di tentativo, poiché probabilmente la fretta e l'assenza di lavori preparatori hanno fatto sì che alla norma introdotta debba riconoscersi uno spazio ed una portata ben ridotta con effetti estremamente differenti da quelli sperati da un Governo filo-bancario: in verità, l'interpretazione sulla portata della prescrizione, relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto, può solo completare la normativa già esistente in materia di decadenza dalla contestazione della singola appostazione in conto corrente. Gli interpellanti intendono sgombrare il campo da probabili equivoci. La prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può farsi valere (art. 2935 del codice civile) e, in particolar modo, nelle operazioni bancarie regolate in conto corrente la prescrizione dei diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa (si veda l'art. 2, comma 61, dell'Atto Senato 2518-B). A tal proposito giova rammentare preliminarmente che, mentre l'azione promossa dal cliente verso la banca, per far valere la nullità della clausola che prevede, ad esempio, l'anatocismo, è imprescrittibile ai sensi dell'art. 1422 del codice civile, quella proposta dallo stesso cliente nei confronti della banca, ai fini di conseguire la ripetizione delle somme che assume di avere versato a titolo di capitalizzazione trimestrale degli interessi, è soggetta ai medesimi principi che regolano la domanda di ripetizione di indebito. Imprescrittibilità dell'azione di nullità significa che la prescrizione dei diritti derivanti dall'annotazione non potrà mai intaccare il diritto dell'utente ad un'azione giudiziaria volta a far dichiarare la nullità delle clausole contrattuali originariamente nulle, quali quella dell'anatocismo (si veda l'art. 1283 del codice civile), degli interessi ultralegali "uso piazza" o dei giorni di valuta "fittizi" (art. 1284 del codice civile), eccetera. È altresì evidente come la domanda di ripetizione dell'indebito (indebito in quanto derivante da un negozio nullo) ha un presupposto imprescindibile: il pagamento;

se non si ha un pagamento non si potrà certo ripetere ciò che non si è mai pagato. Pertanto, punto di partenza del diritto di ripetizione dell'indebito è l'individuazione del momento in cui, nelle operazioni regolate in conto corrente bancario, si verifica il pagamento, ovvero vengono pagati indebiti interessi anatocistici ed ultralegali, indebite commissioni di massimo scoperto trimestrale, indebite valute fittizie e spese forfettarie. A questa domanda hanno risposto le Sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010. "Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati". Pertanto le Sezioni unite hanno ineccepibilmente individuato nell'estinzione del saldo di chiusura il momento in cui si verifica il pagamento dell'indebito e dal quale nasce il diritto di ripetizione e, dunque, il momento dal quale decorre il termine prescrizionale, così come previsto dall'art. 2935 del codice civile, anche con l'interpretazione imposta dall'art. 2, comma 61, del disegno di legge n. 2518-B, per la ripetizione dell'indebito. La singola annotazione in conto, in sé e per sé considerata, influisce sul rapporto solo a livello quantitativo, ma non fa sorgere alcun diritto di ripetizione in capo all'utente, in quanto non potrà mai costituire un pagamento. Inoltre, ad esempio, l'annotazione in conto di una posta di interessi capitalizzati (in violazione dell'art. 1283 del codice civile) non potrà mai valere come sanatoria di un negozio originariamente nullo (ai sensi dell'art. 1422 del codice civile), come è nulla la clausola contrattuale anatocistica. Non potranno mai sorgere valide obbligazioni da un negozio nullo;

le Sezioni unite della Cassazione, nella sentenza, hanno anche chiarito come: "Qualora, invece, durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (o, come in simili situazioni si preferisce dire "scoperto") cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento". Ma, a tal punto, una volta affermato che il versamento extra fido costituisce pagamento (sempre se vi sia lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca: il versamento effettuato da un terzo sul conto corrente evidentemente non avrà mai un fine solutorio), occorre in concreto verificare se esso sia servito a coprire il debito del correntista in linea capitale ovvero se esso abbia coperto dapprima gli interessi e le spese, solo successivamente il capitale. Se, da un lato, è pacifico che il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore (si veda l'art. 1194 del codice civile), è altrettanto pacifico che il creditore, con il tacito assenso del debitore, può imputare il pagamento dapprima al capitale e successivamente agli interessi e alle spese. Detta scelta del creditore è, ovviamente, irrevocabile. Tuttavia, anche qualora fosse revocabile, ai sensi dell'art. 2, comma 61, del disegno di legge n. 2518-B, il diritto della banca di imputare l'annotazione di versamento del correntista al pagamento di interessi e spese (e non a capitale come, in effetti, avviene in concreto), si prescrive con il decorso di dieci anni dall'imputazione a capitale fatta dalla banca al momento del versamento. Infatti, è noto come nel rapporto di conto corrente bancario di corrispondenza è solo la banca a tenere il conto e, pertanto, indipendentemente dall'indicazione del correntista nella distinta di versamento, sarà l'appostazione leggibile in conto corrente a dettare l'imputazione voluta dal creditore, ovvero dalla banca;

nella realtà dei fatti, il correntista non effettua mai annotazioni in conto (imputando il versamento ad interessi e spese), mentre la banca registra gli accrediti o addebiti effettuando, solo ed esclusivamente, la variazione dei numeri creditori o debitori attinenti al complessivo dare - avere. Successivamente, a fine trimestre, con un'operazione affetta da nullità (l'azione di nullità è imprescrittibile, come chiaramente indicato dall'art. 1422 del codice civile) la banca capitalizza gli interessi ultralegali, come fittiziamente aumentati con il gioco delle valute, le commissioni di massimo scoperto e le spese forfettarie, raggruppandole in una voce di capitale (infatti genera ulteriori competenze nel trimestre successivo, la cosiddetta capitalizzazione) che viene appostata o nell'estratto conto del trimestre in esame come ultima appostazione o come prima nell'estratto conto del trimestre successivo. Detta operazione di appostazione in conto capitale (di interessi, commissioni e spese) è affetta da nullità originaria imprescrittibile, rilevabile persino d'ufficio (anche nel grado di appello) e, comunque, non costituisce pagamento. Da detta annotazione non nascono diritti o obbligazioni validi, né scaturisce alcuna conseguenza, se non quella di diminuire in forma assolutamente fittizia la disponibilità del correntista. Le altre annotazioni in conto, al contrario, hanno un titolo negoziale valido: ad esempio, un versamento in contanti, un versamento di un assegno, oppure l'operazione di prelievo o l'emissione di un assegno in pagamento, eccetera. Nessun diritto soggetto a prescrizione, ai sensi dell'art. 2, comma 61, potrà nascere da un'appostazione che ha origine da un negozio originariamente nullo;

va chiarito, per inciso, come non abbiano certo valore di annotazione in conto i saldi parziali riportati periodicamente dalla banca (ogni mese, trimestre ed a fine anno) negli estratti conto; così come non ha alcun valore di annotazione il saldo riportato, ad esempio, su una ricevuta bancomat alla fine di un'operazione compiuta dal correntista. Solo il saldo finale, coincidente con la chiusura del conto e con il pagamento, assume valore di annotazione in conto. Nel corso dell'esame contabile dei cosiddetti conti extrafido, talora la difesa della banca invoca, per l'incidenza degli accrediti, il disposto dell'art. 1194 del codice civile, il cui secondo comma stabilisce un criterio legale d'imputazione dei pagamenti, limitativo del potere del debitore, sancendo che il pagamento sia riferito, in primo luogo, agli interessi. Tuttavia, la norma richiede l'effettuazione di un "pagamento" di un debito che sia esigibile da parte del creditore (ovviamente l'art. 1194 del codice civile nei conti correnti affidati non è neppure prospettabile, non essendovi pagamenti durante il rapporto). Ciò porta ad escludere che il criterio legale di imputazione valga per quei versamenti o accrediti, non solutori, affluiti su un conto corrente di corrispondenza, con apertura di credito;

nel conto corrente bancario i versamenti hanno natura di pagamenti solo quando il conto sia scoperto. Nell'ipotesi ordinaria del conto corrente affidato la serie successiva di appostazioni (versamenti o prelievi) non danno luogo a singoli rapporti, ma a mere subvariazioni quantitative di un unico rapporto giuridico instaurato dalle parti. Ne deriva che i vari versamenti costituiscono delle mere operazioni contabili di accredito, dirette a ripristinare la provvista. Essi non hanno finalità solutoria dato che, finché perdura il rapporto, la banca non vanta un credito che sia esigibile verso il correntista. Non trattandosi, pertanto, di pagamenti è fuor di luogo invocare l'art. 1194, comma 2, del codice civile. Ma ciò non basta per applicare sic et simpliciter il suddetto criterio legale di imputazione. Come insegna la Suprema Corte sulle disposizioni del codice civile in materia di imputazione dei pagamenti, per il loro carattere suppletivo, prevale la volontà delle parti. La volontà delle parti, in particolar modo del creditore (la banca), desumibile anche da presunzioni (nel caso in esame le modalità con cui la banca effettua le appostazioni nel contratto di conto corrente), va verificata con riferimento all'epoca del singolo pagamento;

occorre, quindi, per invocare l'imputazione, che la banca, quando affluisce l'accredito su di un conto che abbia sconfinato, incameri la somma versata per interessi e spese (ovvero la riceva a titolo di pagamento). Solo in tale caso, può, ineccepibilmente imputare l'importo prima agli interessi e poi al capitale relativo allo scoperto, differentemente l'importo andrà imputato indistintamente a capitale, interessi e spese. Abitualmente, infatti, la banca registra gli accrediti con l'indicazione dei diversi numeri creditori e debitori, sulla cui base calcola gli interessi, senza attuare alcuna distinzione. Anzi, nella maggior parte dei casi, la banca con l'applicazione, almeno nel passato, anche per tali interessi della lucrosa capitalizzazione periodica manifesta, in modo inequivoco, la volontà di rinunziare all'applicazione del criterio legale di imputazione e gli effetti di tale rinunzia sono irreversibili, una volta avvenuto il pagamento (si veda quanto scritto dal dottor Salvo Barbara, Presidente della Sezione civile del Tribunale di Siracusa, nell'articolo intitolato "La Consulenza tecnica in materia di interessi bancari" in "Il Dottore Commercialista", 2005). Ne deriva che l'imputazione del versamento solutorio (o della parte di detto versamento che supera il saldo ricalcolato, in quanto epurato dalle somme derivanti da obbligazioni nulle) andrà in pagamento non direttamente agli interessi e spese (così come vorrebbe l'art. 1194 del codice civile), ma in forma proporzionale al capitale, interessi e spese, come di fatto operato sempre dalla banca durante lo svolgersi del rapporto. Questa è stata la condotta della banca durante tutto il rapporto che ha così espresso, per facta concludentia, la volontà di rinunziare all'applicazione del criterio legale di imputazione previsto dall'art. 1194 del codice civile (lo stesso articolo, fa salva la differente volontà del creditore), imputando i versamenti in conto capitale, ed aggiungendo allo stesso capitale, a fine trimestre, interessi (gonfiati dalle valute fittizie), spese e commissione di massimo scoperto. Ciò posto, è evidente come la norma sulla prescrizione dei diritti nascenti dall'annotazione in conto (art. 2935 del codice civile) vada letta in riferimento alla norma sulla decadenza dei diritti nascenti dalla mancata contestazione delle appostazioni in conto corrente (art. 1832 del codice civile);

consolidata giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito come non vada confuso il contratto costitutivo del relativo rapporto obbligatorio, regolato dagli artt. 1284 e 1283 del codice civile, con la singola annotazione in conto che, in sé e per sé, influisce solo a livello quantitativo sul rapporto: infatti, l'approvazione dell'estratto conto rende incontestabili, solo ed esclusivamente, le registrazioni a debito e credito nella loro realtà contabile, ma non anche l'efficacia e la validità dei rapporti sostanziali;

in tema di operazioni bancarie in conto corrente, sono qualificabili come estratti-conto le comunicazioni al cliente sulla situazione del conto; queste comunicazioni vengono inviate dalla banca non solo allo scioglimento del rapporto, ma anche alle scadenze periodiche contrattualmente previste, con la riproduzione di tutte le partite contabili - ivi compresi i diritti di commissione, le spese per le operazioni effettuate, gli interessi attivi e passivi maturati, le ritenute fiscali, oltre alla riproduzione di un preciso riferimento alle partite di dare ed avere, mettendo il cliente medesimo in condizione di riscontrare ogni eventuale vizio incidente sul saldo finale. L'approvazione del conto consegue alla mancata contestazione dell'estratto nel termine contrattualmente previsto, senza necessità che da parte della banca venga sollevata alcuna eccezione di decadenza, e preclude qualsiasi contestazione in ordine alla conformità delle singole annotazioni ai rapporti obbligatori dai quali derivano gli accrediti e gli addebiti iscritti nell'estratto conto (salva l'impugnazione per errori, omissioni e duplicazioni di carattere formale, ai sensi del comma 2 dell'art. 1832 del codice civile);

con la previsione del decorso del termine di prescrizione decennale dei diritti nascenti, sia in capo alla banca che al correntista, sulle singole annotazioni dalle quali derivano gli accrediti e gli addebiti iscritti nell'estratto conto si è, probabilmente, inteso colmare un evidente vuoto che poteva dare adito a storture. Ad esempio, dal momento dell'annotazione, il correntista, avvedutosi dell'illegittimità dell'addebito in conto, avrà il diritto di agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso, allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli: detto diritto si prescrive dal giorno dell'appostazione in conto. Lo stesso correntista, ovviamente, per quanto innanzi detto, non può agire in quel momento per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo (solo con la chiusura del conto si effettua, in via normale, un pagamento). Si consideri, altresì, ad esempio l'accredito di anticipi su effetti, di anticipi su fatture interne, su fatture estere, eccetera: se per tali operazioni si verifica il ritorno di effetti o ricevute insolute, sorge un diritto per l'istituto di credito a vedersi restituire le somme anticipate. Tale diritto viene a configurarsi in un'epoca successiva all'annotazione originaria (oltre il periodo ordinario di contestazione a termine di decadenza dell'estratto conto) con riferimento alla data dell'accredito originario, in quanto viene di fatto annullata la disponibilità dell'importo accreditato sin dal principio;

interviene, dunque, l'art. 2935 del codice civile che, con la nuova interpretazione, intende far decorrere la prescrizione dall'annotazione in conto dell'anticipazione originaria, salvaguardando il diritto dell'istituto a vedersi riconoscere le somme anticipate. Dal momento dell'annotazione da parte della banca del versamento del correntista a capitale si prescrive (sempre che tale scelta effettuata dalla banca si possa ritenere modificabile) il diritto della banca ad imputare quel versamento esclusivamente ad interessi e spese. Ed ancora, la mancata contestazione dell'estratto nel termine contrattualmente previsto preclude qualsiasi contestazione in ordine alla conformità delle singole annotazioni ai rapporti da parte dell'utente, senza necessità che da parte della banca venga sollevata alcuna eccezione di decadenza, mentre non veniva rappresentata, ad esempio, l'ipotesi inversa. In ogni caso, la banca avvedutasi dell'illegittimità dell'annotazione in conto, nell'ipotesi che non si attivi nei dieci anni a rivendicare giudizialmente questo suo diritto, incorrerà nella prescrizione dell'art. 2, comma 61, del maxiemendamento al cosiddetto Milleproroghe;

l'interpretazione autentica dell'art. 2935 del codice civile in tema di operazioni bancarie regolate in conto corrente ha creato una sorta di sbarramento applicabile, ad entrambe le parti, e relativa alla rivendicazione dei diritti nascenti da ogni singola annotazione dalla quale deriva l'accredito o l'addebito iscritto nell'estratto conto, contribuendo alla certezza del diritto. L'art. 2, comma 61, come modificato il 23 febbraio 2011, fa salvi gli importi già versati alla data di entrata in vigore della normativa. Per il resto, è noto che l'estratto conto è considerato mero documento contabile, da cui discende che le operazioni bancarie in esso riassunte e menzionate (prelevamenti e versamenti), a differenza del conto corrente ordinario, non danno luogo alla costituzione di autonomi rapporti di credito o debito reciproci tra il cliente e la banca, ma rappresentano l'esecuzione di un unico negozio, da cui deriva il credito o il debito del cliente verso la banca. Pertanto, la mancata tempestiva contestazione dell'estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo meramente contabile, ma non sotto quello della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano;

infatti, le contestazioni di cui all'art. 1832 del codice civile non possono coinvolgere il titolo contrattuale dell'operazione, che è regolata dalle norme generali sui contratti, ma solo la conformità delle singole concrete operazioni ai patti ed alla realtà del loro andamento. Una contestazione dell'estratto del conto non è specifica ove riguardi la vincolatività o meno del patto contrattuale che obbliga a corrispondere una certa misura degli interessi, dal momento che per tale contestazione è da ritenersi necessaria l'impugnativa del contratto stesso;

dunque, la prescrizione dei diritti derivanti dalla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori, dai quali derivano le partite inserite nel conto, ha come punto di riferimento non la mera appostazione contabile, ma il rapporto negoziale. L'azione di ripetizione ha un necessario presupposto: la chiusura del conto. Solo con la chiusura del conto si ha un pagamento: prima non si può parlare di azione di ripetizione e non si può parlare di decorso di un diritto che viene a concretizzarsi, magari dopo 30 anni dall'appostazione sul conto. Infatti, non si può validamente sostenere che si sia prescritto il diritto di ripetere un versamento effettuato con un'annotazione in conto risalente agli anni '70 (relativa ad un conto debitorio, non scoperto) e chiuso nel 2009, quando solo nel 2009 si è tecnicamente concretizzato il pagamento. Alla data dell'annotazione si prescrivono solo ed esclusivamente i diritti derivanti dalla mera appostazione contabile, ma non certo quelli derivanti dalle nullità negoziali originarie. La prescrizione è la causa di estinzione del diritto derivante dalla inattività del titolare per il tempo determinato dalla legge, ma nel caso in esame il diritto alla restituzione dell'indebito si forma solo ed esclusivamente con la chiusura del conto corrente passivo affidato,

si chiede di sapere:

se, alla luce di quanto riportato, il Governo non ritenga di intervenire, con iniziative legislative di propria competenza, al fine di modificare quanto stabilito con l'articolo 2, comma 61, del decreto-legge n. 225 del 2010, come modificato in sede di conversione, atteso che si tratta di una disposizione che rappresenta l'ennesimo colpo di spugna ai diritti dei consumatori e delle imprese, conquistati con fatica con l'ultima sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione, la n. 24418 del 2 dicembre 2010, al fine di specificare con chiarezza l'irrilevanza della norma stessa nelle cause di ripetizione dell'indebito pagamento per anatocismo, interessi ultralegali, commissioni di massimo scoperto, valute fittizie e spese forfettarie;

se non ritenga necessario, al fine di tutelare gli interessi dei consumatori contro le diffuse illegalità bancarie in merito all'usura legalizzata, denominata anatocismo, informare il Parlamento, con un'apposita relazione, dell'esatto ammontare dei benefici derivanti agli istituti di credito dall'interpretazione di cui all'articolo 2, comma 61, del decreto-legge n. 225 del 2010, come modificato in sede di conversione.

(2-00313)



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