Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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Sentenze Dir. Finanziario della Vicepresidenza

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Atra sconfitta per gli intermediari che violano gli obblighi di correttezza, trasparenza ed adeguata informativa nei confronti dei propri clienti.
(Avv.ti Antonio TANZA e Floriana CASSETTA)


Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto (in provincia di Messina) ha accolto la domanda risarcitoria formulata da un utente nei confronti di una SIM (società di intermediazione mobiliare) per il risarcimento dei danni cagionati dalla violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario nello svolgimento della propria attività.
Tre sono i punti salienti della sentenza:

a) vessatorietà della clausola di arbitrato irrituale, contenuta nel contratto stipulato tra l’investitore e la SIM, con conseguente declaratoria di competenza del Tribunale del luogo di residenza del consumatore, ai sensi dell’art. 1469-
bis, n. 19, del codice civile;
b) violazione dei doveri posti a carico della SIM dall’art. 21 del Testo Unico della Finanza (TUIF);
c) risoluzione per grave inadempimento del contratto stipulato tra il consumatore e la SIM, con conseguente diritto del primo al risarcimento del danno da parte della seconda.
Particolare interesse assume l’affermazione del Tribunale secondo la quale “
il rapporto tra intermediari ed investitori è caratterizzato da strutturali problemi di asimmetria informativa”. Da tale assunto nasce come logica conseguenza che anche in presenza di un investitore mediamente più “esperto” (come quello parte del giudizio che si esamina) gli intermediari hanno l’obbligo di osservare rigorosamente gli obblighi di informazione di cui all’art. 21 del TUIF, non potendo “scaricare” sul cliente l’onere (ed i costi) di una completa ed esaustiva informazione in merito ai servizi di investimento ed ai prodotti finanziari offerti.
L’articolo 21 prevede infatti, tra l’altro, che “
Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano adeguatamente informati”.
Con riferimento all’articolo 21, lettera b) del TUIF, il Giudice precisa altresì come esso individui
“con riferimento all’elemento informativo, due momenti concorrenti e funzionalmente collegati: l’uno preliminare di ascolto del cliente finalizzato alla raccolta delle informazioni necessarie; l’altro attivo di adeguata illustrazione della natura del servizio e dei rischi connessi”. A tale riguardo, si precisa come, se è vero che la legge non specifica quando l’informazione all’investitore possa ritenersi “adeguata”, è altrettanto vero che la stessa deve sostanziarsi in qualcosa di diverso ed ulteriore rispetto agli elementi “la cui elargizione costituisce l’adempimento dell’obbligo della trasparenza” in sede di conclusione dei contratti in generale.
Pertanto, nel caso di specie - e in ciò si sostanzia la violazione dell’art. 21 del TUIF - “
non basta prevedere genericamente in sede di stipula ad es. che il contratto di short selling ove abbia ad oggetto titoli che incorporano cedole di prossimo distacco segua una predeterminata disciplina (art. 5.5 del contratto del 3.10.03), poiché un siffatto onere informativo non sarebbe altro che una delle manifestazioni del generale dovere di trasparenza e di correttezza e buona fede in sede di conclusione del contratto. Il dovere di informazione, come manifestazione di operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente messi al corrente dell'operazione che pongono in essere, richiede evidentemente qualcosa di più. E allora è necessario che l'attenzione del cliente sia richiamata sulle peculiari caratteristiche del titolo e sulle relative conseguenze, onde evitare che il cliente medesimo possa riporre aspettative erronee che possono esporlo a rischio di perdite”.
Tale dovere di informazione, come sopra detto, riguarda tutti gli investitori, anche quelli “esperti”. Il TUIF, d’altro canto, non distingue tra “investitore esperto” e “investitore inesperto”; piuttosto esonera da una più penetrante protezione normativa la categoria dei cd. “operatori qualificati”, che comprende, ai sensi dell’art. 31, comma 2, del Regolamento Consob n. 11522/1998, gli intermediari autorizzati, le SGR, le SICAV, i fondi pensione, le Compagnie di assicurazione, etc., nonché “ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante”.
Ultimo aspetto da rilevare è quello della sanzione applicare all’inadempimento del suddetto obbligo di informazione.
Ritiene il Tribunale di aderire all’indirizzo giurisprudenziale che sanziona tale inadempimento con la risoluzione, e conseguente risarcimento del danno, contro il filone giurisprudenziale che persegue la strada della nullità-restituzione.
Si riportano di seguito i punti salienti della sentenza.



REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
II Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto
Nelle persone dei sigg. magistrati
Dr. A. Lanza Volpe — Presidente
Dr.ssa M. Salvo — Giudice
Dr. A. Zappala – Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio n. 32/05 r.g. vertente tra

C.A., elettivamente domiciliato in Messina presso lo studio dell’Avv. G. Rizzo che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente con l’Avv. A. Tanza - Attore

contro

I.T. S.I.M. S.p.A., in persona del suo amministratore delegato, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Sinibaldo Tino e Roberto Staiti, presso il cui recapito professionale (studio legale D'Amico) è elettivamente domiciliata -Convenuta
Conclusioni
Per l'attore:
1) Accertare e dichiarare la nullità, l'inefficacia e/o l'inopponibilità all'odierno
attore ex art. 1469 bis e ss. c.c., delle seguenti clausole vessatorie: nn. 4, 5, 6,
7, 18, 41, 43, 44 del contratto del 18/12/01; nn. 3, 8 e 12 del "mandato
quadro per la conclusione di operazioni di prestito di strumenti finanziari"; nn. 1, 3, 4, 5,
6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 del contratto del 3.10.03;
2) accertare e dichiarare la responsabilità professionale della I.T. Sim spa per le false e reticenti informazioni fornite all'investitore, in violazione degli artt. 21 e ss. TUIF e relativo Regolamento Consob di attuazione n. 11522, come meglio esposto in narrativa, concretanti un grave inadempimento contrattuale;
3) accertare e dichiarare la nullità e l'inefficacia della clausola di determinazione del tasso ultralegale, in quanto contraria al combinato disposto della normativa di cui alla legge n. 108 del 1996 con gli artt. 1339, 1419 e 1815, comma 2, c.c., con la consequenziale perdita dell'interesse illegittimo;
4) per l'effetto ed in ogni caso, condannare la sim convenuta al risarcimento del
danno patrimoniale subito, quantificato in complessivi € 111.008,11, come
analiticamente esposto al punto 15 dell'atto di citazione, salvo la maggiore o
minore somma che sarà determinata in corso di causa, oltre gli interessi
legali e la rivalutazione monetaria dalla maturazione del diritto fino
all'effettivo soddisfo;
5) condannare infine la convenuta ai pagamento di spese, diritti ed onorati di
causa.
Per la convenuta:
"si chiede che il Tribunale ill.mo, respinta ogni contraria e diversa domanda, eccezione e deduzione anche istruttoria, emesse tutte le più opportune pronunce, condanne e declaratorie del caso
- in principalità e per preliminari ragioni di rito, rigetti le domande tutte
proposte dal signor C., trattandosi di lite riservata alla cognizione arbitrale giusta clausola compromissoria di cui all'art. 44 del contratto 18 dicembre 2001;
- in via subordinata, e sempre per ragioni di rito, nel non creduto caso di
rigetto della precedente eccezione di compromesso, dichiari la propria
incompetenza territoriale, competente essendo il Tribunale di Milano in forza
degli artt. 19 e 20 c.p.c.;
- nel merito, respinga le domande tutte formulate dal signor A.C. contro I.T. SIM spa, assolvendola nel miglior modo da ogni avversaria domanda;
- in ogni caso, condanni l'attore nelle spese di causa, di sentenza e successive
tutte occorrendo maggiorate di contributo forfetario alle spese generali, iva
ed oneri previdenziali "
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
C.A., con citazione notificata il 24.7.2004, conveniva dinanzi al Tribunale di Barcellona P.G. la I.T. SIM spa. Esponeva che il 18.12.2001 aveva concluso un contratto di intermediazione finanziaria con servizio di internet banking e che il 3.10.03 aveva aderito alla piattaforma T3 che consente, fra l'altro, il compimento di operazioni di vendita di strumenti finanziari allo scoperto (short selling); che il 16.4.04, tra i titoli, che la SIM proponeva come oggetto di short selling, rinveniva azioni SEAT Pagine Gialle e si determinava ad effettuare la vendita allo scoperto per 150.000 pezzi al prezzo complessivo di € 124.050; che in data 19.4.04 la transazione veniva conclusa con l'acquisto dei titoli, con guadagno netto di € 63.750,00 che venivano accreditati sul suo conto; che il 22.4.04 sul suo conto venivano addebitati € 65.047,00 a causa dei dividendi pagati dalla emittente Seat Pagine Gialle sui titoli negoziati; che tale addebito era illegittimo, poiché non previsto nelle condizioni contrattuali (tanto che solo nel maggio del 2004 la Sim provvedeva a modificare l'art. 16 del manuale operativo prevedendo esplicitamente l'addebito al cliente di dividendi pagati su titoli oggetto di vendita allo scoperto); che a seguito delle diffide della Sim di provvedere al pagamento del saldo negativo, era stato costretto a vendere titoli Fiat e Finmeccanica, con grave danno a causa del rialzo dei titoli che di lì a breve si sarebbe verificato; che il 21.6.04 veniva addebitata anche la ritenuta fiscale sui titoli Seat per l'importo complessivo di € 7.960,61; che inoltre la I.T. sim aveva provveduto ad addebitare interessi per € 30.000,00 dall'ottobre 2003; di avere subito un danno patrimoniale di € 118.008,11, per
l'addebito dei dividendi e delle ritenute fiscali, per gli interessi illegittimi, per il
mancato guadagno conseguente alla prematura vendita dei titoli Fiat e Finmeccanica,
oltre al danno subito per la segnalazione del nominativo di esso attore presso la banca
dati della centrale di allarme interbancario.
Aggiungeva che il comportamento della Sim, che aveva incluso fra i titoli negoziabili con l'operazione di short selling anche azioni con imminente pagamento dei
dividendi, aveva indotto in errore esso attore sul reale prezzo del titolo, dal momento che l'intermediatrice finanziaria non aveva fornito le dovute informazioni, violando
così l'art. 21 lett. a, b e d del d.lvo 58/98 e 32 e 33 Reg. Consob n. 11522/98.
Infine, deduceva la natura usuraria degli interessi praticati sulle operazioni effettuate
riconducibili alla categoria di anticipi, sconti commerciali, crediti personali e altri
finanziamenti effettuati dagli intermediari non bancari superiori a € 5.000,00.
Ciò esposto, chiedeva che fosse dichiarata la responsabilità professionale della Sim,
nonché la nullità della clausola di determinazione del tasso ultralegale, e la condanna
della società convenuta al risarcimento del danno patrimoniale quantificato in €
111 .008,11, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Costituitasi in giudizio, la I.T. SIM spa eccepiva, in via preliminare, la competenza del collegio arbitrale, in forza della clausola di arbitrato irritale (come tale non rientrante nel regime di cui agli artt. 1341, 1342 e 1469 bis c.c.) contenuta nell'art. 44 del contratto del 18.12.2001, e, in subordine, la incompetenza per territorio in applicazione degli artt. 19 e 20 c.p.c., in quanto la società convenuta ha sede in Milano che è anche il luogo di insorgenza ed esecuzione dell'obbligazione.
Nel merito deduceva
1. che nella vendita su scoperto opera un meccanismo secondo cui il pagamento
dei dividendi del titolo viene a configurarsi come fatto neutro, onde evitare
facili speculazioni sulla inevitabile diminuzione del prezzo cui è destinato il
titolo che incorpora anche il dividendo di prossimo pagamento;
2. che il C., esperto conoscitore di strumenti finanziari e sicuramente consapevole del prossimo pagamento del dividendo, era a conoscenza del meccanismo predetto contemplato dall'alt. 5.5 della scrittura dell'ottobre 2003 (cd. piattaforma T3);
3. che comunque il differenziale positivo per il C. fra vendita e acquisto delle azioni pari ad € 63.758,62 (pari alla differenza fra € 124.053,70 ed € 60.295,08) costituisce ad ogni effetto una plusvalenza e come tale soggetta a ritenuta alla fonte;
4. che nessuna norma contrattuale obbligava la I.T. Sim spa ad escludere
dal paniere dei titoli negoziabili quelli con dividendi in scadenza;
5. che nessuna norma imponeva alla SIM di informare il cliente in ordine al
prossimo pagamento del dividendo;
6. che il pagamento dei dividendi delle azioni Seat era fatto facilmente
conoscibile mediante consultazione dei principali quotidiani;
7. che la legge 108/96 non trova applicazione al caso di specie, in quanto le operazioni compiute dal C. non sono riconducibili ad una normale operazione di finanziamento o di anticipo di denaro, in quanto la Sim non anticipava denaro, bensì titoli quotati, con conseguenti costi e spese che il cliente deve corrispondere alla I.T. per il servizio che essa presta, servizio che comprende, oltre ad una percentuale delle spese generali per la creazione della struttura che consente il compimento delle operazioni di volta in volta richieste dai clienti, anche un costo rapportato al margine di rischio che comporta l'acquisizione dei titoli azionari, una adeguata remunerazione del capitale investito ed un utile aziendale.
Concludeva, quindi, chiedendo la declaratoria di incompetenza per la presenza
della menzionata clausola compromissoria nel contratto del 18.12.2001, in
subordine l'incompetenza per territorio, infine, nel merito, il rigetto della
domanda.
Con memoria di replica depositata ai sensi dell'art. 6 d.lvo, C.A. deduceva:
a) di avere stipulato il contratto del 18.12.01 e di avere aderito alla piattaforma
T3 in qualità di consumatore, con conseguente applicazione della disciplina di
cui all'art. 1469 bis e ss. c.c.;
b) che, in tale prospettiva, la clausola concernente la competenza del collegio arbitrale, di cui all'art. 44 del contratto, era da considerarsi inefficace in quanto non oggetto di specifica trattativa;
c) che la clausola in questione, predisposta unilateralmente, doveva considerarsi vessatoria - a prescindere dal carattere rituale o irritale dell'arbitrato in essa previsto - perché rendeva senz'altro difficoltoso l'esercizio dei diritti di difesa del consumatore;
d) che il foro competente era quello di residenza, del consumatore;
L'attore inoltre spiegava nuova domanda tendente alla declaratoria di inefficacia, ex
art. 1469 bis e ss. c.c., di tutte le clausole vessatorie contenute nei contratti stipulali
con la SIM, per assenza di prova di puntuale trattativa individuale in ordine alle stesse.
Puntualizzava, inoltre, che la Sim si era resa responsabile di una cattiva informazione,
avendo indicato come prezzo del titolo Seat negoziabile con l'operazione di short
selling, un prezzo fuorviante, essendo imminente lo stacco delle cedole, sicché per
una corretta informazione avrebbe dovuto essere indicato il prezzo al netto del prezzo
della cedola. Inoltre, evidenziava che altri intermediari più diligenti nell'informazione disciplinano in modo puntuale l'ipotesi del distacco di diritti sui titoli in oggetto, prevedendo l'anticipazione della data di scadenza del prestito alla data ultima di quotazione prima dello stacco. Infine, ribadiva l'illegittimità dell'addebito delle ritenute fiscali e dell'applicazione di tassi di interessi esorbitanti i parametri di cui alla L. 108/96.
In via istruttoria chiedeva che fosse ordinato ai sensi dell'ari. 210 c.p.c. alla I.T. SIM spa l'esibizione degli estratti come liquidità e i rendiconti del dossier titoli relativi al periodo ottobre-dicembre 2003: interrogatorio formale del legale rappresentante della società convenuta, prova testimoniale e ctu contabile.
La società convenuta, eccependo la inammissibilità delle domande nuove avanzate con la memoria di replica, chiedeva la designazione del Giudice Istruttore competente alla fissazione dell'udienza di discussione ai sensi del comma 3 dell'art. 12 d.lvo 5/03.
Con decreto emesso in data 18.4.05 veniva fissata l'udienza di discussione dinanzi al
Collegio. Quindi all'udienza del 20.10.05, la causa veniva assegnata in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione relativa alla improponibilità della
domanda, per effetto della clausola compromissoria contenuta nell'art. 44 del contratto stipulato inter partes il 18.12.2001, ove è stabilito che "qualunque controversia insorga tra la I.T. e il cliente, comunque derivante od occasionata dal presente contratto... sarà deferita, ad iniziativa di una delle parti, al giudizio di tre arbitri".
Secondo l'assunto della parte convenuta, la predetta clausola compromissoria è
clausola di arbitrato irrituale e, come tale, esclusa dalla previsione degli artt. 1341,
1342 e 1469 bis c.c.
L'argomento non persuade.
La clausola compromissoria in esame è di natura irrituale, emergendo dal suo contenuto la volontà delle parti di demandare agli arbitri la soluzione di determinate
controversie in via negoziale (vedi in particolare il riferimento alla efficacia negoziale
attribuita alla decisione degli arbitri contenuto nel citato art. 44 del contratto del
18.12.2001). Va osservato, inoltre, che il contratto in esame è riconducibile alla
disciplina dell'art. 1469 bis c.c., in quanto il C. va considerato come consumatore di servizi finanziari (ipotesi esplicitamente prevista dall'articolo in oggetto al comma 5) che ha effettuato le operazioni per esigenze personali che esulano dall'attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta, mentre la I T. ha agito nell'ambito dell'attività imprenditoriale o professionale. In tale prospettiva, la clausola che impone il ricorso all’arbitrato irrituale deve considerarsi vessatoria ai sensi dell'art. 1469 bis n. 18. E’ notorio che dottrina e giurisprudenza hanno ritenuto che il disposto di cui al n. 18, riguardante le deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, vada inteso in maniera diversa rispetto al significato datele dalla giurisprudenza all'interno dell'art. 1341 , comma 2, c.c., e debba essere letto nel senso di ricomprendervi l'arbitrato sia rituale sia irrituale.
Invero l'arbitrato irrituale costituisce una rinuncia all'intervento del Giudice prima
dell'esperimento della procedura arbitrale, e pertanto costituisce una limitazione alla
facoltà di agire. Con l'arbitrato irrituale quindi si pone una limitazione al libero
esercizio dell'azione legale, creandosi un sostanziale squilibrio a carico del
consumatore specie in quelle situazioni in cui il contratto sia stato predisposto
unilateralmente e in cui la sede del collegio arbitrale sia in luogo diverso dal luogo di
residenza o domicilio del consumatore.
La disposizione di cui all'art. 1469 bis c.c. n. 18, va letta alla luce della direttiva CEE 13/93 che indica come clausola vessatoria proprio quella che ha per effetto di “sopprimere o limitare l’esercizio di azioni legali o vie di ricorso del consumatore, in particolare obbligando il consumatore a rivolgersi esclusivamente a una giurisdizione
di arbitralo non disciplinata da disposizioni giuridiche, limitando indebitamente i
mezzi di prova a disposizione del consumatore o imponendogli un onere della prova
che, ai sensi della legislazione applicabile, incomberebbe a un'altra parte del
contratto”.
Trattandosi di clausola vessatoria il professionista (nella specie I.T.) ha l'onere di dimostrare che la clausola è stata oggetto di specifica trattativa. In assenza
di tale prova la clausola va dichiarata inefficace.
Quanto alla eccezione di incompetenza territoriale, si osserva che la competenza in ordine all’odierna controversia appartiene al Tribunale di Barcellona P.G., ex art. 1469 bis c.c. n. 19, nel cui circondario risiede l'attore.
Preliminarmente va esaminata anche la questione della ammissibilità della domanda
proposte dall'attore volte alla declaratoria di inefficacia delle clausole contenute nel
contratto stipulato il 18.12.2001, nel mandato quadro per la conclusione di
operazioni di prestito di strumenti finanziari, e nel contratto del 3.10.03. La
domanda, fatta eccezione per quella concernente la previsione dell'art. 44 del contratto
stipulato il 18.12.2001, che si pone in stretta correlazione alle eccezioni del
convenuto, è inammissibile, in quanto non emerge, né l'attore ha sul punto svolto
alcuna deduzione, il rapporto di consequenzialità fra le eccezioni e le difese del convenuto e la domanda proposta.
Venendo al merito della controversia, va evidenziato che parte attrice si lamenta della violazione dei doveri informativi gravanti sulla SIM che avendo inserito nell'ambito
dei titoli suscettibili di negoziazione con operazioni di short selling aveva omesso di
informare il consumatore dell'imminente pagamento dei titoli e, quindi, del reale
valore del titolo.
Va premesso che il contratto di short selling è una operazione finanziaria, con la
quale il cliente ordina alla intermediaria la vendita, al prezzo di borsa del momento,
del titolo di cui non dispone. La sim corrisponde così il controvalore del titolo, mentre
una somma di uguale importo è trasferita dal conto del cliente ad uno specifico conto
di garanzia. Di lì a novanta giorni il cliente può ordinare alla intermediaria il
riacquisto dei titoli venduti, e all'atto del riacquisto la intermediaria provvede alla
restituzione della somma che residua in seguito all’acquisto dei titoli. La convenienza dell'operazione dipenderà dalla andamento del titolo: quanto più i titoli diminuiscono
di valore fra il momento della vendita e quello dell'acquisto, tanto più fruttuosa sarà
l'operazione per il cliente.
Parte convenuta ha messo in evidenza che nel contratto di short selling il pagamento
annuale dei dividendi deve ricevere una disciplina particolare, dal momento che il
prezzo di mercato dei titolo incorpora anche il valore della cedola di prossimo
distacco, per poi diminuire di una somma più o meno pari a quella versata ai soci.
Questa sicura diminuzione del titolo comporterebbe un indebito vantaggio del cliente che incamererebbe il dividendo senza alcun corrispondente sacrificio economico, e che potrebbe utilizzare il meccanismo della vendita allo scoperto in modo distorto, per speculare sulla fisiologica diminuzione del prezzo che segue allo stacco della cedola. Pertanto, per far sì che il pagamento dei dividendo rappresenti, per le parti contraenti, un fatto neutro, è necessario che vi sia un meccanismo correttivo per cui il valore del dividendo incorporato nel titolo è addebitato ai cliente sotto forma di importo sostitutivo del dividendo.
Lamenta l'attore che la SIM è venuta meno al suo dovere di informazione non avendo fornito le dovute indicazione sui reale prezzo di vendila del titolo e sull’imminente pagamento dei dividendi, in violazione dell'art. 21 d.lvo 58/98 e 32 Reg. Consob.
Occorre perciò stabilire se nella specie si può ravvisare tale violazione.
II rapporto fra intermediari finanziari e investitori è caratterizzato da strutturali problemi di asimmetria. Per tale ragione il momento informativo costituisce un elemento centrale nel sistema normativo. Così nello spirito della normativa comunitaria (art. 11 direttiva 93/22), l'articolo 21 del d.lvo 58/98 attribuisce all'impresa di investimento oneri di informazione, che non si esauriscono alla fase precontrattuale ma proseguono durante tutta la durata del peculiare rapporto che si instaura fra intermediari e cliente.
L'ari. 21 lettera b) del T.U individua, con riferimento all'elemento informativo,
due
momenti concorrenti e funzionalmente collegati:
l’uno preliminare di ascolto del
cliente finalizzato alla raccolta delle informazioni necessarie; l’altro attivo di
adeguata illustrazione della natura del servizio e dei rischi connessi.
La legge non dice ovviamente quando l'informazione debba ritenersi adeguata. Il
dovere di fornire informazione adeguata durante tutta la durata del rapporto (si badi che la norma impone agli intermediari di operare in modo che i clienti siano sempre
adeguatamente informati) induce a ritenere che le notizie da fornire devono ritenersi
aggiuntive rispetto a quelle la cui elargizione costituisce l'adempimento dell'obbligo
della trasparenza e devono accompagnare tutte le operazioni negoziali. Se così è, non basta prevedere genericamente in sede di stipula ad es. che il contratto di short selling ove abbia ad oggetto titoli che incorporano cedole di prossimo distacco segua una predeterminata disciplina (art. 5.5 del contratto del 3.10.03), poiché un siffatto onere informativo non sarebbe altro che una delle manifestazioni del generale dovere di trasparenza e di correttezza e buona fede in sede di conclusione del contratto. Il dovere di informazione, come manifestazione di operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente messi al corrente dell'operazione che pongono in essere, richiede evidentemente qualcosa di più. E allora è necessario che l'attenzione del cliente sia richiamata sulle peculiari caratteristiche del titolo e sulle relative conseguenze, onde evitare che il cliente medesimo possa riporre aspettative erronee che possono esporlo a rischio di perdite.
Alla luce dell'art. 21 predetto, il comportamento della SIM appare non improntato al
dovere di informazione illustrato, non avendo essa indicato al C. la circostanza che i titoli Seat Pagine Gialle incorporavano dividendi di imminente pagamento che sarebbero stati riconosciuti agli acquirenti, mentre il relativo importo sarebbe stato a lui addebitato. Circostanza questa non irrilevante come vuole la società convenuta, proprio perché il differenziale fra la vendita ed acquisto di azioni (determinato senza tener conto dell'addebito dei dividendi) costituisce plusvalenza e come tale soggetta a ritenuta alla fonte. L'acquisto di titoli con dividendi in prossima scadenza perciò costituisce per il cliente già un fatto pregiudizievole essendo fonte di applicazione delle ritenute fiscali sul prezzo dei dividendi di cui, di fatto, questi non è il beneficiario. Per cui, a prescindere dalla vessatorietà della clausola di cui al punto 5.5 del contratto del 3.10.03 (che detta una disciplina analoga a quanto previsto dall'art. 1531 c.c. nel caso di vendita a termine di titoli di credito), la I.T. è venuta meno al dovere di informazione impostogli dall'art. 21 e non ha fornito prova di essersi conformata a quanto la disposizione imponeva nel caso di specie.
Ne la società può assumere a propria difesa il fatto che il C. abbia dimostrato dimestichezza nell'uso degli strumenti finanziari. L'attore pur sempre riveste la
qualifica di consumatore ed il fatto che egli abbia aderito alla piattaforma T3 non esimeva la SIM dal dovere di informazione. Diversamente opinando si arriverebbe
alla conseguenza di ritenere che la società convenuta, con la sola raccolta dei dati per delineare il profilo de! consumatore, fosse del tutto esonerata da qualsiasi successivo
dovere informativo. Ma così ragionando verrebbe di fatto svuotato del suo contenuto
precettivo il disposto di cui all'art. 21 d.lvo citato laddove impone all'intermediario
finanziario un dovere di informazione durante tutta la durata del rapporto.
Problema da risolvere è quello relativo alle conseguenze. Ritiene questo collegio che
nella specie si possa parlare di inadempimento piuttosto che di nullità. Non pare
infatti che si possa parlare di vizio genetico, relativo alla conclusione del contratto,
bensì di vizio funzionale che attiene alla esecuzione del contratto e che riguarda le
prestazioni. Al riguardo la posizione della SIM appare simile a quella di un
professionista che, ricevuto un incarico di una prestazione professionale, non fornisce
al cliente quelle informazioni necessarie perché lo stesso possa operare una scelta consapevole.
Analogamente a qualsiasi altro professionista, l'intermediario finanziario che, richiesto di curare un investimento mobiliare, ometta di avvertire, in modo specifico, il cliente dei rischi cui va incontro con l'investimento prospettato. La società di intermediazione mobiliare, quindi, non può che rispondere dell'operato dei suoi dipendenti, non risultando dimostrato, nella specie, che costoro abbiano correttamente informato l'investitore dei notevoli rischi cui andava incontro con l'acquisto delle azioni in questione.
Inoltre, va tenuto conto, nella ricostruzione della fattispecie in termini di
inadempimento, del fatto che l'art. 23 del d.lvo 58/98, dopo aver previsto,
con
riferimento ai contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento e accessori,
due ipotesi di nullità (per inosservanza della forma prescritta e per il rinvio agli usi
per la determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e ogni altro onere a suo
carico), prevede al comma 6 che “nei giudizi di risarcimento danni cagionati al cliente nello svolgimento del servizio di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l'onere della prova di avere agito con la specifica diligenza richiesta". Con tale previsione si evidenzia che l’avere agito con la specifica diligenza (di cui il dovere di informazione è una specificazione) è oggetto di azione risarcitoria che è tipicamente connessa nell'ambito contrattuale all'inadempimento di un contratto perfezionato.
La domanda risarcitoria è dunque da accogliere.
Il danno va commisurato alla perdita subita in conseguenza dell'operazione. Tale perdita è pari al saldo negativo dell'operazione che è di € 1.288,08, somma questa che si ottiene sottraendo all'importo di € 124.053,70 (che è il ricavato della vendita delle azioni) la somma di € 65.047,50 (valore dei dividendi) ed € 60.295,08 (prezzo di
acquisto delle azioni). A ciò va aggiunta la somma di € 7.960,61 per le ritenute fiscali
sui titoli Seat negoziati. Non può accogliersi la richiesta di risarcimento nella misura pari all'importo dei dividendi, in quanto il risarcimento del danno deve porre il cliente nella stessa condizione in cui si sarebbe trovato se l'inadempimento non si fosse verificato. Se correttamente la Sim avesse provveduto ad informare il C. dei rischi dell'operazione, questi probabilmente non l'avrebbe conclusa o l'avrebbe posta in essere accettandone i rischi, in essi compreso quello dell'addebito dei dividendi.
La previsione di cui all'art. 5.5 della piattaforma T3 non sembra al collegio avere il
carattere di vessarorietà secondo il disposto dell'art. 1469 bis c.c. Il meccanismo di addebito del dividendo appare consequenziale alla natura dell'operazione, come sopra
illustrato, per evitare che il pagamento imminente dei dividendi si presti a facili
speculazioni, ed appare inoltre in linea con la disciplina codicistica di cui all'art.
1531 c.c. dettata per analoga situazione del compratore a termine di titoli di credito.
L'attore ha anche chiesto il risarcimento, a titolo di lucro cessante che avrebbe
maturato se avesse potuto vendere a tempo opportuno le azioni Fiat e Finmeccanica,
che viceversa ha negoziato prematuramente per il bisogno urgente di liquidità, onde
coprire il saldo negativo dovuto all'addebito dei dividendi e delle ritenute fiscali.
La richiesta non può essere accolla poiché non è dimostrato che l'attore avrebbe
venduto i titoli nel momento in cui il prezzo delle azioni FIAT e Finmeccanica era
maggiore rispetto al loro valore al momento della negoziazione. Inoltre l'attore non ha provato che la vendita dei titoli costituiva l'unico rimedio per potere ripianare la
passività determinatasi a seguito della negoziazione dei titoli Seat Pagine Gialle.
In conclusione la società convenuta va condannata al pagamento della somma di €
9.248,69. Su tale somma vanno calcolati la rivalutazione monetaria e gli interessi,
secondo le puntualizzazione che seguono.
L'obbligo di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale è, infatti, un
debito di valore. La rivalutazione monetaria e gli interessi sulla somma liquidata
assolvono funzioni diverse, poiché la prima mira a ripristinare la situazione
patrimoniale del danneggiato quale era anteriormente al fatto generatore del danno ed
a porlo nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se l'evento non si fosse verificato,
mentre i secondi hanno natura compensativa, con la conseguenza che le due misure
sono giuridicamente compatibili.
Gli interessi legali vanno calcolati dalla notifica della domanda giudiziale (24.7.04),
sulla sorte capitale via via rivalutata anno per anno.
La rivalutazione secondo gli indici Istat andrà calcolata dalla data del danno fino alla
pubblicazione della presente sentenza, e quindi dal 22.4.04 sulla somma di € 1.288,08
(data in cui si è verificato il saldo negativo dell'operazione) e dal 21.6.04 sulla
somma di € 7.960,61 (data di addebito delle ritenute fiscali).
Parte attrice invoca l'applicazione della L. 108/96 e dei decreti ministeriali che
stabiliscono di volta in volta per i vari trimestri il tasso medio e il tasso soglia per determinate operazioni finanziarie, per farne derivare la nullità delle somme addebitate sul conto del C. a titolo di interessi.
L'assunto è stato contestato da parte convenuta che ha evidenziato che nelle
operazioni compiute dall'attore nessun finanziamento né anticipazione di denaro vi è
stato da parte della I.T. spa.
La prospettatene attorea non persuade.
Ciò che è stato addebitato al C. per le operazioni effettuate non sono interessi su anticipazioni o prestiti di denaro, bensì costi e spese per il servizio reso dalla
intermediaria, che, come evidenziato dalla parte convenuta, comprende una percentuale delle spese generali per la gestione della struttura, un costo rapportato al margine di rischio che comporta la negoziazione di titoli azionari e una remunerazione per il servizio reso. Le operazioni non hanno ad oggetto accredito o addebito di somme di denaro, bensì vendita o acquisto di titoli, il cui controvalore confluisce su un conto o da questo viene detratto. La normativa antiusura può trovare applicazione unicamente nel caso in cui fra chi pretende il pagamento e il debitore si sia instaurato un contratto di finanziamento, in cui l'anticipazione o il prestito di denaro costituisca l'oggetto del contratto, e il corrispettivo venga commisurato solo ed esclusivamente in ragione di tale anticipazione. Nella specie la ragione della pattuizione non va ricercata nell'anticipazione del denaro da parte della SIM, bensì nella prestazione volta a
consentire al cliente l'accesso al mercato finanziario. Il corrispettivo dovuto dal
cliente non rappresenta la remunerazione dei capitale impiegato dalla SIM, ma è il
controvalore della prestazione professionale, che può anche commisurarsi su
parametri che prendono in considerazione l'importo dell'operazione e la sua durata.
La domanda relativa alla declaratoria di nullità e inefficacia della clausola di
determinazione del tasso ultralegale va, quindi, rigettata.
Quanto al regime delle spese processuali, si osserva che l'accoglimento parziale della
domanda giustifica una compensazione parziale delle spese nella misura di 1/3. La
restante quota va posta a carico del convenuto e si liquida in complessivi € 4.571,31, di cui € 288,38 per spese, € 1.083.33 per diritti ed € 3.200.00 per onorario, oltre iva, cpa
e rimborso forfetario nella misura del 12,5% sui diritti ed onorari.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sulla domanda avanzata da C.A. nei confronti della I.T. S.I.M. spa, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, con citazione notificata il 24.7.04, così decide:
1) dichiara l'inefficacia della clausola contenuta all'art. 44 del contratto stipulato
inter partes il 18.12.2001;
2) accoglie parzialmente la domanda risarcitoria avanzata dall'attore in relazione
alla dedotta violazione dell'art. 21 d.lvo 58/98 da parte della società
convenuta, e, per l'effetto, condanna la I.T. S.I.M. spa al pagamento in favore del C. della somma di € 9.248,69, da rivalutarsi quanto ad € 1.288,08, dal 22.4.04 alla data di pubblicazione della presente sentenza, e quanto ad € 7960,61 dal 21.6.04 alla data di pubblicazione della presente sentenza, oltre interessi legali dal 24.7.04 al soddisfo da calcolarsi sulla sorte capitale rivalutata anno per anno;
3) rigetta la domanda tendente alla declaratoria di nullità e inefficacia della
clausola di determinazione degli interessi ultralegali;
4) dichiara inammissibili le ulteriori domande avanzate con la memoria
depositata il 7.12.2004;
5) compensa nella misura di 1/3 le spese processuali fra le parti e condanna la I.T. S.I.M. spa al rimborso della restante quota che liquida in complessivi € 4.571,31, di cui € 288,38 per spese, € 1.083,33 per diritti ed € 3.200,00 per onorario, oltre iva, cpa e rimborso forfetario nella misura del 12,5% sui diritti ed onorari.
Cosi deciso in Barcellona P.G. il 17.11.2005
Il Giudice Relatore
Il Presidente


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