Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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Castrovillari / Casarano

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2012

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Castrovillari, in composizione monocratica, nella persona della dotta Di Maio Maria Francesca, ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 746 del 19 dicembre 2012

nella causa civile iscritta al numero 732 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2006, vertente

TRA

A. B. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Tanza Antonio ed Aurelio Leonardo, elettivamente domiciliata presso lo studio del procuratore Aurelio in Albidona alla via Principe Umberto, 51

ATTRICE

E

Intesa San Paolo S.p.A. in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Misasi Giorgio elettivamente domiciliata presso lo studio del procuratore in Cosenza alla via A. De Filippis, 26

CONVENUTA


Preliminarmente occorre svolgere una premessa metodologica.
Esigenze di sintesi nella motivazione dei provvedimenti, ormai insite nel nostro sistema processuale, impongono una esposizione delle ragioni della decisione che sia esaustiva e, tuttavia, circoscritta dalla necessità di coniugare le molteplici finalità e i principi fondamentali dell'ordinamento, nel rispetto quindi del diritto di difesa e del principio del contraddittorio.
L'esame va così limitato ai profili strettamente connessi ai temi devoluti, senza estensione ad argomenti e censure che non risultino "funzionali" all'ottenimento di una risposta processuale utile rispetto all'interesse ad agire e contraddire, alla causa petendi e al petitum come emergenti dalla peculiarità del procedimento.
Ai fini di un ordinato iter argomentativo va esaminata e disattesa l'eccezione formulata in via preliminare dal convenuto ed esternatasi nella nullità dell'atto di citazione per difetto dei requisiti di cui all'art. 163 n, 3 e 4 c.p.c.
All'uopo si osserva che la disciplina dei vizi dell'atto di citazione relativi alla parte della editio actionis, ossia alla parte dell'atto in cui sono contenuti gli elementi identificativi della pretesa fatta valere in giudizio, attinenti cioè alla formulazione della domanda, è contenuta nel 4° comma dell'art. 164 c.p.c., in relazione al contenuto dell'atto fissato dall'art. 163 3° comma nn. 3 e 4, ossia omissione o assoluta incertezza della determinazione della cosa oggetto della domanda (petitum) e/o omissione o assoluta incertezza dell'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda (causa petendi).
Il requisito di cui al n. 3 dell'art. 163 c.p.c., ossia l'indicazione della cosa oggetto della domanda è generalmente inteso come relativo sia al petitum mediato, quale concreta utilità che la parte intende ottenere attraverso il ricorso alla giustizia, cioè il bene della vita che intende conseguire, sia al petitum immediato quale è il provvedimento giudiziale, strumentale rispetto a tale scopo.
Con riguardo alle modalità dell'indicazione del petitum, la giurisprudenza ritiene che non occorrano formule sacramentali, essendo sufficiente che la domanda risulti, anche implicitamente, dalle difese della parte e che il suo oggetto possa essere chiaramente individuato nella parte espositiva dell'atto e tale principio risalta in linea con quello in base al quale il giudice deve interpretare la domanda secondo il suo contenuto effettivo e non secondo la terminologia usata dalla parte.
I requisiti di cui al n. 4 dell'art. 163 c.p.c. attengono, invece, all'individuazione del titolo della domanda: è, infatti, pacifico che l'esposizione dei fatti consista nell'affermazione o allegazione di quei fatti che, in quanto riconducibili in astratto ad una o più norme, costituiscono la causa petendi, indicata dal legislatore a volte come "ragione della domanda" , altre volte come "titolo della domanda". E' necessario sottolineare che la omessa esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda comporta vizio della citazione, per mancata individuazione del diritto fatto valere, solo per i diritti cosiddetti eterodeterminati, ossia per i diritti che sono individuati soprattutto dall'indicazione del loro fatto generatore per i quali, perciò, la fattispecie costitutiva è elemento necessario per la loro identificazione.
Nel caso per cui è processo, risultano sufficientemente individuati ab origine fatti e gli elementi di diritto costituenti la ragione della domanda. La domanda proposta in giudizio è nella fattispecie sufficientemente specifica sia in relazione al petitum, sia in relazione alla causa petendi: tanto ha permesso alla parte convenuta di formulare in via immediata ed esauriente le proprie difese.
Sempre preliminarmente è necessario pronunciarsi sulle eccezioni dì decadenza e prescrizione avanzate dall'Istituto di Credito convenuto.
Sotto il primo aspetto deve rammentarsi che la mancata tempestiva contestazione dell'estratto conto bancario rende non più contestabile l'iscrizione delle singole partite, ma non la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori da cui queste derivano.

Sotto il secondo aspetto va precisato che come affermato dalla Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 22418 del 2 dicembre 2010 l'azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardd0 ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, é soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell'anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del "solvens" con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell' "accipiens".
Sarebbe stato quindi preciso onere della parte convenuta quello di allegare ed indicare i pagamenti che eventualmente detta finalità ripristinatoria non abbiano avuto, onere che per contro non può ritenersi essere stato assolto.
Non vale, per sostenere la applicazione della prescrizione quinquennale richiamare il disposto dell'art. 2948 n. 4 cod. civ. riguardo agli interessi e agli altri debiti che debbono essere soddisfatti periodicamente ad anno o in termini più brevi. Invero la qualificazione in termini "interessi" attiene alla originaria prestazione, e non a quella dedotta in sede di ripetizione, sede nella quale il solvens agisce non già per il pagamento di interessi, ossia di una prestazione periodica, bensì per la restituzione di una somma indebitamente versata, sì che la prestazione a carico dell'accipiens ha carattere unitario e non attiene al pagamento di interessi bensì semplicemente alla restituzione di indebito. L'eccezione di prescrizione decennale fino all'08 maggio 1995 svolta da parte attrice non è rilevabile d'ufficio indi si appalesa tardiva, trattandosi di eccezione in senso stretto e dunque rilevabile nei tempi e snodi previsti dagli artt. 166 e 167 c.p.c.

Quanto alla capitalizzazione trimestrale degli interessi si osserva.
Devono essere condivise al riguardo le argomentazioni in base alle quali la più recente, ma ormai consolidata, giurisprudenza della Corte di Cassazione ha escluso la esistenza di un uso normativo in materia e la possibilità di fare riferimento in tal senso alle norme ABI e alla disciplina dei conti correnti approvata nel 1929 dalla Confederazione Generale Bancaria, argomentazioni alle quali sembra sufficiente in questa sede fare rinvio, senza pretesa di aggiungere elementi di novità (cfr. Cass. 4 novembre 2004 n. 21095).
Deboli appaiono, a sostegno della tesi contraria, sia i riferimenti all'art. 8 della legge n. 154/1992 e all'art. 116 T.U. n. 385/1993 in ordine agli obblighi di informazione della banca riguardo, tra l'altro, ai criteri di capitalizzazione degli interessi, riferimenti generici e inidonei ad evidenziare di per sé un uso normativo in deroga ai precetti dell'art. 1283 cod. civ.; sia anche il richiamo analogico alla disposizione dell'art. 1831 Cod. civ. in tema di chiusura periodica del conto corrente ordinario, attesa la specificità della disciplina del conto corrente bancario e il mancato inserimento di tale norma tra quelle estese dall'art. 1857 cod. civ., al conto corrente bancario. Non vale richiamare infine la circostanza della mancata impugnazione degli estratti conto periodici, specificanti il meccanismo della capitalizzazione trimestrale degli interessi, essendo principio consolidato che la omessa contestazione degli estratti conto periodici, incide sull'esistenza e modalità di annotazione delle operazioni, ossia sulla realtà materiale rappresentata (poste a credito o a debito), e non già sulla validità del titolo giuridico sottostante dal quale derivano, e non preclude quindi al correntista la facoltà di dedurre o la illegittimità delle clausole contrattuali, o la variazione delle clausole contrattuali o legali, sulla base delle quali le annotazioni sono state eseguite.

Quanto alla CTU si osserva: nessuna censura può essere mossa alla sua valenza perimetrica. In linea di principio non può disconoscersi che la C.T.U. non può avere carattere meramente esplorativo e non può supplire all'onus probandi che incombe sul deducente. Tuttavia in talune materie - come nel caso di specie -, l'opera del consulente presenta carattere dirimente della vicenda giudiziale, nel senso che essa non serve solo ad illustrare al giudice nozioni tecniche che non rientrano propriamente nel suo patrimonio culturale, ma anche ad individuare la prova dei fatti, quando essa abbia contenuto tecnico.
In ordine al quantum, il consulente tecnico ha ricostruito, attraverso la analisi degli estratti conto, l'ammontare delle somme pagate in eccesso dal correntista rispetto a quelle effettivamente dovute alla data di chiusura del conto avvenuta in data 22.11.2005. L'importo quantificato in euro 204.998,40 è stato ottenuto procedendo al ricalcolo degli interessi sulla base degli scalari ricostruiti, considerando la capitalizzazione annuale degli stessi, calcolando le commissioni di massimo scoperto una sola volta l'anno sul saldo per valuta più computando le spese addebitate dalla banca senza procedere alla loro capitalizzazione. Qualora invece si fosse proceduto alla determinazione degli interessi alcuna capitalizzazione le somme pagate in eccesso dal correntista ammonterebbero alla data di chiusura del rapporto ad 206.780,28. Rilevato che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione - sentenza n. 24418 del 23.11/02.12.2010 - hanno affermato il principio secondo il quale, nel contratto di conto corrente bancario, dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale per il contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 codice civile (il quale osterebbe anche ad una eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale) gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna. Si deve quindi ritenere che, fino alla data di adeguamento della Banca alla delibera CICR del 09.02.2000, non sia legittima alcuna capitalizzazione degli interessi.

Quanto all'adeguamento del conto corrente alla delibera CICR del 09 febbraio 2000 si osserva. Il 3° comma dell'art. 25 del D.Lgs 342/99, il quale disponeva che "Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità e i tempi dell'adeguamento", è stato dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale con sentenza 17 ottobre 2000, n. 425. Di conseguenza è venuta meno l'applicabilità dell'art. 7 della delibera CICR - 9/2/2000, che si fonda sulla potestà, attribuita a quel Comitato dalla norma abrogata, di stabilire le modalità e i tempi dell'adeguamento delle clausole dei contratti in corso. Ne consegue altresì che, non potendosi far ricorso alle modalità stabilite in via transitoria dalla delibera, l'adeguamento delle predette clausole presuppone un nuovo espresso accordo nelle forme e con le modalità stabilite dalla medesima delibera CICR per i nuovi contratti. In mancanza di tale accordo la capitalizzazione è illegittima anche per il periodo successivo al giugno del 2000. Indi sono radicalmente nulle le clausole che prevedono la capitalizzazione degli interessi passivi in quanto la deroga al principio sancito dall'art. 1283 Cod. Civ. è consentita soltanto in presenza di idonei usi normativi. Il nuovo art. 120 TUB e la delibera CICR del 9 febbraio 2000 (in vigore dal 22 aprile 2000) che stabiliscono la validità dell'anatocismo purché l'addebito e l'accredito degli interessi avvenga a tassi e con periodicità contrattualmente stabiliti e con la medesima periodicità per gli interessi creditori e debitori, non hanno determinato alcuna sanatoria per i contratti stipulati antecedentemente. In ultima analisi non ha alcun rilievo la circostanza che la banca, a far data dal primo trimestre 2000, abbia applicato un meccanismo di capitalizzazione trimestrale anche per gli interessi attivi, poiché tale condizione di reciprocità doveva essere oggetto di specifica rinegoziazione tra le parti e non frutto di unilaterale determinazione della banca. Diversamente, si determinerebbe una illegittima sanatoria, in via unilaterale, di una clausola nulla.
Occorre pertanto, in adeguamento di quanto ut supra rappresentato, modificare l'orientamento sinora seguito dalla scrivente, secondo cui si doveva ritenere implicita nelle condizioni generali del contratto di conto corrente bancario, una regola generale di chiusura contabile annuale del conto corrente. Secondo tale orientamento la capitalizzazione annuale degli interessi, prodotta dalla chiusura contabile annuale del conto corrente bancario, era da ritenere a sua volta illegittima, proprio perché mera conseguenza della chiusura contabile del conto.
Al contrario la clausola che prevedeva la chiusura trimestrale dei soli conti a saldo debitore, non avendo altra finalità che quella di produrre a vantaggio della Banca una capitalizzazione degli interessi (trimestrale) altrimenti non ottenibile, si riteneva nulla per violazione indiretta dell'art. 1283 codice civile.

Fatta tale premessa, il consulente ha accertato - con metodo che si ritiene condivisibile ed immune da vizi logici - che il ricalcolo delle competenze addebitate dalla Banca senza capitalizzazione comporta una differenza di euro 206.780,28 in favore del correntista.
Si evidenzia che le osservazioni e le quantificazioni stilate nella consulenza di parte non possono che essere disattese poiché per giurisprudenza pacifica costituiscono semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico, prive di autentico valore probatorio (cfr: Cass. Civ. Sez. III 14/11/2002 n. 16030. Cass. Civ. sez. I, 28 luglio 1989 n. 3527).


REPUBBLICA ITALIANA
In Nome Del Popolo Italiano
IL TRIBUNALE DI LECCE
- Sezione Distaccata di Casarano

in composizione monocratica nella persona del
Giudice dr. Carlo Errico
ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 349 del 3 ottobre 2012

nella causa civile iscritta sotto il numero d'ordine 365 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell'anno 2001, promossa da:
I. C. s.n.c. di T. G. e N. R. in liquidazione in persona del liquidatore R. N., e N. R., T. G. e T. P., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Antonio Tanza e Antonio Baldari giusto mandato a margine dell'atto di opposizione a D.I. del 18.7.2001,

-opponenti-

contro

Banca Popolare Pugliese, in persona del suo legale rappresentante p.t., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. Anna Flora Della Rocca, suo difensore in virtù di procura generale alle liti per Notar Cascione dell'11.4.1996,

-opposta-

Nel corso del giudizio la BPP ha eccepito l'improcedibilità della proposta opposizione per tardiva costituzione dell'opponente, sulla base dell'orientamento espresso da Cassazione Civile, SSUU n.19246/2010.
L'eccezione è infondata, stante l'entrata in vigore della L.218/2011 che ha superato il principio indicato dalla citata sentenza a sezioni unite ripristinando, ma questa volta a livello normativo, lo scenario delineato dalla precedente giurisprudenza prevalente che considerava la dimidiazione del termine di costituzione dell'opponente solo per il caso che egli avesse assegnato un termine di comparizione inferiore a quello ordinario (le sezioni unite avevano considerato la necessità di dimidiazione del termine di costituzione dell'opponente in ogni caso). La L.218/2011 ha modificato l'art.645 c.p.c., sopprimendo al secondo comma le parole ma i termini di comparizione sono ridotti a metà e prevedendo, all'art.2, che nei procedimenti pendenti la riduzione del termine di costituzione dell'attore ex art.165 c.p.c. si applica, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, solo se l'opponente abbia assegnato all'opposto un termine di comparizione inferiore a quello ordinario. Nella fattispecie in esame la citazione in opposizione risulta notificata il 20.7.2001 con citazione per l'udienza del 15.12.2001, e quindi con il rispetto dei termini di ordinaria comparizione ex art.163 bis c.p.c.. L'opponente ha iscritto a ruolo la causa il 26.7.2001, e quindi il 6° giorno ancora utile dopo la notifica.

V'è da dire, sempre in rito, che le prove orali chieste dalla opposta, in un primo momento ammesse, sono state poi revocate dal giudice procedente, e di tale decisione si doleva la BPP, poiché esse prove erano tese a dimostrare la provenienza dagli opponenti della ricognizione di debito 29.12.1998 previa verifica delle risultanze contabili che avevano portato all'entità della somma a debito riconosciuta. Di ciò la BPP ha continuato a dolersi anche in sede di comparsa conclusionale, in una con la inammissibilità dell'ordine di esibizione ex art.210 c.p.c. e della CTU, entrambi secondo l'opposta volti a supplire una carenza probatoria degli opponenti.
L'assunto non è condivisibile. Ferma la adeguata decisione di non dar corso alle prove orali in quanto non posta in discussione la ricognizione del debito, ma la causa ad essa sottesa, anche in punto di ordine di esibizione va rammentato che ai sensi dell'art.119 del Decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), sotto il titolo relativo alla TRASPARENZA DELLE CONDIZIONI CONTRATTUALI e nel capitolo relativo alle OPERAZIONI E SERVIZI BANCARI E FINANZIARI, nell'ambito delle Comunicazioni periodiche alla clientela sono indicati chiaramente gli obblighi informativi della banca nei confronti dei clienti. Da tale norma una condivisibile giurisprudenza di merito ha fatto discendere anzitutto un obbligo di conservazione della banca, per cui il venire meno dell'onere di consegna per effetto del decorso del tempo, quale conseguenza del venir meno dell'obbligo di conservazione, deve essere espressamente eccepito dalla banca (ved.Tribunale Brescia 10.10.2007) e nel caso di specie tale eccezione non è stata formalmente sollevata dalla BPP. Ciò posto, il diritto di parte opponente di ottenere detta documentazione diventa legittimo presupposto dell'emanazione di ordine di esibizione ex art.210 c.p.c., in quanto ordine che rappresenta la trasposizione sul piano processuale della norma sostanziale di cui al citato art.119 testo unico legge bancaria, norma comunque da interpretarsi anche alla luce del principio di buona fede nell'esecuzione del contratto (in tal senso, Tribunale Latina, 19.6.2007; Tribunale Milano 17.10.2006).

Anche il punto del carattere esplorativo della CTU contabile non è condivisibile, perché proprio la necessità di rivedere le condizioni contrattuali alla luce della documentazione acquisita, onde verificarne la conformità al modello legale, l'ha resa indispensabile. Trattasi di orientamento espresso dalla corte di cassazione, nel senso che quando la parte chieda una consulenza contabile sulla base di una produzione documentale, il giudice non può qualificare come esplorativa la consulenza senza, dimostrare che la documentazione esibita sarebbe comunque, irrilevante. Ha natura esplorativa infatti la consulenza finalizzata alla ricerca di fatti, circostanze o elementi non provati dalla parte che li allega (Cass., sez. 1, 5 luglio 2007, n. 15219, m. 598314). E' consentito derogare finanche al limite costituito dal divieto di compiere indagini esplorative, "quando l'accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con l'ausilio di speciali cognizioni tecniche, essendo in questo caso consentito al c.t.u. anche di acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse" (Cass., sez. 3, 14 febbraio 2006, n: 3191, m. 590615. Più di recente, Cass. civ. Sez. I, 14-04-2010, n. 8962).

Venendo al merito della proposta opposizione, occorre anzitutto delibare la questione del valore da attribuire al documento 29.12.1998. Secondo la BPP esso integra gli estremi della confessione stragiudiziale, con gli effetti stabiliti dall'art.2735 c.c.. Secondo gli opponenti, essa scrittura non può avere alcun valore vincolante tra le parti perché il rapporto su cui trovano fondamento le pretese obbligazioni è invalido, e rimane sempre per la parte che ha sottoscritto il diritto di provare tale nullità.
Va condiviso l'assunto degli opponenti. Invero, secondo condivisibile giurisprudenza, la ricognizione di debito non costituisce autonoma fonte di obbligazione, in quanto si limita a confermare un preesistente rapporto fondamentale, la cui esistenza può dunque presumersi fino a prova contraria ex art.1988 c.c.. Nella fattispecie concreta gli opponenti hanno contestato la validità del rapporto fondamentale, sicchè correttamente, pur in presenza del documento ricognitivo, è stata disposta CTU al fine di ricondurre il rapporto sostanziale di c/c, alla base dell'atto ricognitivo, al modello legalmente idoneo a determinare la giusta pretesa della banca.
Sul punto è sufficiente in richiamo a Cassazione civile sez. III, 11 novembre 2005 n. 22898, non registrandosi pronunce di senso contrario. Quanto testè affermato riguardo alla scrittura di riconoscimento del debito va, poi, esteso alla regolazione cambiaria che altro non è stata se non la trasposizione cartolare del debito riconosciuto, e tuttavia oggetto di necessaria revisione attesa la diretta riferibilità al rapporto di c/c sottostante.

Venendo al merito dell'opposizione, va considerata la necessità di operare nell'ottica di una riduzione a liceità delle obbligazioni assunte dal cliente nei confronti della banca unitariamente considerate. Premessa generale di tale affermazione discende dalla ormai nota sentenza a SSUU della Corte di Cassazione n.21095 del 4.11.2004 che ha affermato la nullità della clausola contrattuale che prevede, nei rapporti di conto corrente bancario, la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi mediante rimando ad un uso normativo o di mercato (principio più di recente ribadito da Cass.Civ., Sez. I, 30.11.2007 n.25016), dovendosi considerare la norma dell'art.1283 c.c. di carattere imperativo a tutela del soggetto debole del rapporto contrattuale.
Ancora, quanto all'ipotesi di legittimità della capitalizzazione trimestrale ai sensi del D.Lgs. 385/93 TULB o, quanto meno, per l'esistenza di un uso normativo o per la clausola di rinvio agli usi di piazza per la determinazione degli interessi, va ribadito l'oramai consolidato orientamento secondo cui le clausole contenute nei contratti bancari stipulati prima della modifica dell'art. 120 t.u.L.B. apportata con l'art. 25 d. lg. 4 agosto 1999, n. 342 e dalla successiva adozione della delibera C.I.C.R. 9 febbraio 2000, debbono ritenersi affette da nullità, in quanto contrastanti con il disposto di cui all'art. 1283 c.c. e non giustificate dall'esistenza di alcun uso normativo anteriore. Dalla nullità di tale clausola consegue che le somme corrisposte durante il rapporto sono prive di causa e quindi costituiscono indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. e non è ravvisabile nella loro corresponsione l'ottemperanza ad alcuna obbligazione naturale.
Richiamando la citata sentenza a SSUU della Corte di Cassazione n.21095 del 4.11.2004 che ha affermato la nullità della clausola contrattuale che prevede, nei rapporti di conto corrente bancario, la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi mediante rimando ad un uso normativo o di mercato, va ribadito come in base a tale sentenza, ed a quelle successive che ad essa si sono in prevalenza adeguate, nonché a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n.425 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art.76 della Costituzione, il D. Lgs.n.342 del 1999, art.25 comma 3, con il quale era stata fatta salva la validità ed efficacia - fino all'entrata in vigore della delibera CICR di cui all'art.25 comma 2 - delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, siffatte clausole, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell'art.1283 c.c. (in tal senso anche Cass. Civ., sez. I, 30.11.2007 n.25016). Da ultimo, per la nullità anche della capitalizzazione annuale degli interessi in favore della banca, Cass. SS.UU. n.24418/2010.
Delle due ipotesi elaborate dal CTU, non dovendosi considerare quella che ha tenuto conto della prescrizione, i cui termini non risultano maturati rispetto alla data di chiusura del conto, occorre dunque considerare il calcolo che, applicando per tutta la durata del rapporto i soli interessi al tasso legale, con eliminazione degli interessi, delle c.m.s. e dei giorni di valuta, oltre che di tutte le spese non convenute, eliminando ogni capitalizzazione degli interessi, il saldo a debito da considerare è pari ad €10.639,99.

(...)


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