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Cass / App Lecce Errede

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2013

Cassazione civile sez. III, 21 maggio 2013, n. 12394


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRUTI Giuseppe Maria - Presidente -
Dott. AMATUCCI Alfonso - Consigliere -
Dott. SCARANO Luigi Alessandro - rel. Consigliere -
Dott. D'AMICO Paolo - Consigliere -
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

sentenza n. 12394

sul ricorso 19607/2007 proposto da:

CAIROLI FINANCE S.R.L. E PER ESSA PIRELLI RE CREDIT SERVICING S.P.A., in persona dell'Avv. C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 35, presso lo studio dell'avvocato MABRICI SAVERIA, rappresentata e difesa dall'avvocato CAPOGRECO Giuseppe giusta delega in atti;

- ricorrenti -

contro

L.M., S.A., S.T., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DARDANELLI 37, presso lo studio dell'avvocato AVERNI ANGELO, rappresentati e difesi dall'avvocato TANZA Antonio Renato giusta delega in atti;

- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 258/2006 della CORTE D'APPELLO di CATANZARO, depositata il 06/06/2006 R.G.N. 303/1999;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/03/2013 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
udito l'Avvocato SAVERIA MOBRICI per delega;
udito l'Avvocato ANTONIO RENATO TANZA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso in via principale per l'inammissibilità, in subordine il rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 6/6/2006 la Corte d'Appello di Catanzaro, in accoglimento del gravame interposto dai sigg. S.T., S.A. e L.M. e in conseguente riforma della pronunzia Trib. Rossano 24/11/1998, rigettava la domanda in origine monitoriamente azionata dalla società B.N.L. s.p.a. di pagamento della somma di L. 300.961.860, giusta contratto di apertura di credito in conto corrente stipulato con il primo e fideiussione prestata in favore del medesimo dalle seconde.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi, la società Cairoli Finance s.r.l., cessionaria del credito vantato dalla società B.N.L. s.p.a..
Resistono con controricorso i sigg. S.T., S. A. e L.M..


MOTIVI DELLA DECISIONE

Va pregiudizialmente rigettata l'eccezione sollevata dai controricorrenti inammissibilità dell'odierno ricorso proposto dalla società Cairoli Finance s.r.l., cessionaria del credito vantato dalla società B.N.L. s.p.a.- Va al riguardo ribadito il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità in base al quale il successore a titolo particolare nel diritto controverso, qual è il cessionario, che non abbia partecipato alle pregressi fasi di merito, mentre non può intervenire nel giudizio di legittimità (v., da ultimo, Cass., 9/4/2013, n. 8568. Per l'ammissibilità dell'intervento adesivo v. peraltro Cass., 19/5/2005, n. 10598. V. altresì, con riferimento al processo esecutivo, Cass., 11/3/2004, n. 4985. Con riferimento alla diversa ipotesi della morte della parte durante il giudizio di legittimità, v. Cass., 31/3/2011, n. 7441), può ben può viceversa impugnare per cassazione la sentenza di merito, entro i termini di decadenza (v. Cass., 9/4/2013, n. 8568; Cass., 7/4/2011, n. 7986; Cass., 11/5/2010, n. 11375; Cass., 27/5/2005, n. 11322), allegando e producendo il titolo in forza del quale propone il ricorso per cassazione (cfr., con riferimento all'erede, Cass., 23/9/2011, n. 19493; Cass., 25/6/2010, n. 15352). Orbene, nel caso la ricorrente ha prodotto ex art. 372 c.p.c., documentazione giustificativa di propri poteri.
Con il 1 motivo la ricorrente denunzia "contraddittoria motivazione" su punto decisivo della controversia, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Con il 2 motivo denunzia violazione e falsa applicazione egli artt. 1832 e 1857 c.c., D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2 rectius, n. 3.

I motivi sono inammissibili, in applicazione dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.
Il 2 motivo reca un quesito di diritto formulato in termini invero difformi dallo schema al riguardo delineato da questa Corte, non recando la riassuntiva ma puntuale indicazione degli aspetti di fatto rilevanti, del modo in cui i giudici del merito li hanno rispettivamente decisi, delle diverse regole di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione, a tale stregua appalesandosi astratto e generico, privo di riferibilità al caso concreto in esame e di decisività, tale cioè da non consentire, in base alla sua sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che debba richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra loro (cfr. Cass., 23/6/2008, n. 17064), risolvendosi in buona sostanza in una richiesta a questa Corte di vaglio della fondatezza delle proprie tesi difensive.
Tanto più che nel caso risulta formulato in violazione dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che la ricorrente fa richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito es., alla "citazione ritualmente notificata" al "decreto ingiuntivo n. 11/97 emesso dal tribunale di Rossano", alla "clausola riguardante la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi", all'"approvazione da parte del debitore principale degli estratti conto allo stesso volta per volta inviati dalla Banca nazionale del Lavoro S.p.A.", alle "risultanze contabili", di cui lamenta la mancata o erronea valutazione, limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente - per la parte d'interesse in questa sede - riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti, laddove è al riguardo necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l'esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell'esatta collocazione nel fascicolo d'ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 19/9/2011, n. 19069; Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279. E da ultimo, Cass., 3/11/2011, n. 22726; Cass., 6/11/2012, n. 19157).
A tale stregua la ricorrente non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).
Non sono infatti sufficienti affermazioni - come nel caso- apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo essere questa Corte viceversa posta in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).
Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, il 1 motivo non reca la prescritta "chiara indicazione" - secondo lo schema e nei termini delineati da questa Corte - delle relative "ragioni", inammissibilmente rimettendosene l'individuazione all'attività esegetica della medesima, con interpretazione che si risolverebbe nell'abrogazione tacita della norma in questione (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), a fortiori non consentita in presenza di formulazione come detto nella specie altresì violativa dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, essendo stata l'impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.


P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 13.200,00, di cui Euro 13.000,00 per onorari, oltre ad accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 12 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2013


Appello Lecce, Cons. Grazia ERREDE, Sentenza n. 712 dell'8 ottobre 2013

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Lecce, Sezione seconda Civile - composta dai signori:
1) Dott. Giovanni BUQUICCHIO - Presidente
2) Cinzia MONDADORE - Consigliere
3) Grazia ERREDE - Consigliere estensore
ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 712 dell'8 ottobre 2013

Nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 767 del Ruolo Generale delle cause dell'anno 2009, a cui è riunita la causa n. 842/09 Reg. Gen., trattata e passata in decisione all'udienza collegiale del 26 Aprile 2013,
TRA
S., n persona del legale rappresentante pro tempore, P. I. n° 00113470744, elettivamente domiciliata in Lecce alla via Martiri d'Otranto n° 4, nello studio dell'avv. Antonio Tanza, che la rappresenta unitamente e disgiuntamente all'avv. Monica Coniglio, come da procura a margine dell'originale dell'atto di citazione.

- APPELLANTE -

E

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.p.A., con sede in Siena alla piazza Salimbeni n° 3, P.I. n° 00884060526, rappresentata e difesa dall'avv. Tommaso Marrazza con recapito in Lecce al viale De Pietro n. 11, in virtù di comparsa special in calce alla comparsa di costituzione e risposta.

- APPELLATA ED APPELLANTE INCIDENTALE -

(…)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione ritualmente notificata la S convenivano in giudizio la Monte dei Paschi di Siena s.p.a. esponevano che: 1) essa S. aveva intrattenuto con la banca un rapporto di apertura di credito con affidamento mediante scopertura su c/c n. 15419, rivestendo Pomes - all'epoca socio ed amministratore della società - il ruolo di garante del rapporto medesimo; 2) il rapporto aveva avuto inizio il 6.12.1983 ed era stato chiuso il 12.7.96 per volontà della banca, pur presentando un saldo creditore di circa £ 4 milioni; i bonifici in arrivo dopo la chiusura del conto nonché gli assegni emessi venivano accreditati/addebitati su tre conti correnti aperti d'ufficio, chiamati partitati indisponibili. In particolare, in data 23.7.1996 giunsero per il pagamento 3 assegni per complessivi 580 milioni e la S contestualmente effettuava un versamento di lire 186 milioni e in data 24.7.1996 un bonifico di £ 162 milioni, fatto che induceva il direttore della banca a richiamare gli assegni già inviati al notaio per il protesto; analogamente avvenne il 31.07.1996 per un assegno di lire 300.000.000 il successivo 1.8.1996 un bonifico di circa lire 50.000.000 veniva accreditato d'ufficio su uno dei tre conti. Il successivo 8.8.1996 arrivava un ultimo assegno di circa 56.000.000 milioni per il quale la S integrava la provvista. Con lettera del 9.8.96 la banca convenuta comunicava che sul c/c n. 15419 risultava un saldo debitore di circa £ 12 milioni, che la banca aveva proceduto a compensare con la maggiore somma di circa 50 milioni pervenuta su uno dei tre conti transitori e infine inviava a saldo un assegno di oltre £ 38 milioni; l'assegno di £ 56 milioni veniva restituito dalla banca al traente con la dicitura "fuori termine per il protesto", con disdoro commerciale della S; 3) il contratto non statuiva un tasso debitore ultralegale rinviando alle condizioni "uso piazza"; inoltre si prevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori; altresì non erano dovute, in assenza di pattuizioni, le cms che pure erano invece state applicate al rapporto; al pari, illegittime erano le determinazioni delle valute non essendoci convenzione scritta in contratto; infine, eccepiva l'illegittimità della revoca del rapporto di conto corrente comunicata dalla banca con lettera dell'11.7.1996. Concludeva chiedendo l'accertamento della nullità delle clausole contrattuali inserite nel contratto di apertura di credito e conto corrente, di capitalizzazione trimestrale, di determinazione degli interessi con il rinvio agli usi piazza l'accertamento della non debenza della cms attesa l'assenza di pattuizione, nonché l'accertamento dell'illegittimità del calcolo delle valute, concludendo, previo ricalcolo delle partite contabili, per la ripetizione di quanto indebitamente percepito dalla banca oltre interessi dalla maturazione al soddisfo; inoltre concludeva per la condanna della banca convenuta al risarcimento del danno per ingiusta revoca dell'affidamento, nonché Pomes anche per il relativo danno esistenziale; il tutto con condanna alle spese ed onorari di lite in favore dei procuratori antistatari. Costituendosi, la banca convenuta ribadiva la legittimità della revoca del contratto di apertura di credito trattandosi di conto complessivamente debitore; l'inammissibilità della domanda per mancata contestazione nei termini di legge degli estratti conto; nel merito concludeva per il rigetto della domanda contestando le varie censure relative alle modalità di determinazione del tasso ultralegale, della capitalizzazione trimestrale degli interessi e delle altre doglianze, il tutto con condanna al pagamento delle spese di lite.
Istruito il giudizio con produzione documentale e CTU, con sentenza del 23.10.2008 il Tribunale di Brindisi - sez. dist. di Ostuni dichiarava la nullità delle clausole contrattuali relative alla capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori e al rinvio alle condizioni uso piazza per la loro determinazione; dichiarava che nulla era dovuto alla banca per commissione di massimo scoperto e spese fisse, periodiche ed altre spese inerenti la gestione del conto poichè non determinate nell'importo; confermava l'ingiunzione ex art. 186 ter emessa il 19.1.2006 a carico della banca per il pagamento della somma di euro 120.440,83, e la condannava a pagare l'importo di euro 52.981,98 oltre interessi e spese processuali nella misura dell'80% dell'intero, compensando il residuo. A sostegno della decisione il Tribunale, rilevata l'infondatezza dell'eccezione, sollevata dalla banca, circa l'incontestabilità delle operazioni bancarie addebitate sulla base delle clausole impugnate in ragione della mancata contestazione, da parte del cliente, degli estratti conto regolarmente inviati dall'istituto di credito, avuto riguardo alla salvezza della questione relativa alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori da cui derivavano debiti ed accrediti, e rilevata altresì l'inammissibilità dell'eccezione di prescrizione dell'azione di ripetizione formulata dalla banca poiché tardiva in quanto contenuta solo nelle memorie conclusive, in disparte l'infondatezza del correlativo merito in ragione del fatto che il termine decennale di prescrizione iniziava a decorrere dal 1996, trattandosi di unico rapporto di conto corrente, come tale unitario, a fronte di una citazione notificata del 2002, riteneva: 1) la nullità del rinvio all'uso piazza per la determinazione del tasso di interesse osservando che la stessa si presentava come assolutamente generica e non consentiva l'esatta individuazione del tasso debitorio; 2) la nullità della clausola relativa alla capitalizzazione trimestrale difettando la natura di uso normativo della stessa, cui seguiva - ad avviso del giudicante - la sua sostituzione con il sistema della capitalizzazione annuale;
3) l'indebita percezione delle cms poiché non previste in contratto, al pari delle spese fisse poiché non predeterminate. Avverso tale decisione con separati atti proponevano gravame la S s.r.l. e la Monte dei Paschi di Siena. Riuniti i giudizi rispettivamente iscritti ai nn.767/09 e 842/09, all'udienza del 16.4.2013 la causa veniva trattenuta per la decisione con assegnazione dei termini per il deposito di memorie conclusionali e repliche.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ragioni di carattere logico-sistematico impongono la disamina del gravame interposto dalla Banca.
Proponendo appello avverso la sentenza in rassegna, la Monte dei Paschi di Siena ne ha innanzi tutto dedotto l'erroneità per non avere il primo giudice dichiarato la prescrizione dell'azione di ripetizione di indebito, richiamando a corredo della censura una serie di pronunce di merito e legittimità cui si rinvia. La doglianza non merita accoglimento: ed invero, come correttamente evidenziato dal Tribunale, l'eccezione di prescrizione - a parte l'infondatezza del merito per le argomentazioni esposte dal primo giudice, cui si rimanda poichè integralmente condivise - risulta formulata per la prima volta nelle comparse conclusionali ed è pertanto certamente tardiva ed inammissibile. Trattandosi di eccezione di merito, infatti, la parte convenuta avrebbe dovuto proporla quale prima difesa costituendosi tempestivamente nel giudizio di primo grado. Ciò, come detto, non risulta essere accaduto donde la esattezza giuridica della decisione censurata, con reiezione del correlativo motivo di doglianza e conferma, sul punto, della decisione.
Quale ulteriore motivo di gravame la Monte dei Paschi contesta la decisione del Tribunale riguardante la declaratoria di nullità della clausola contrattuale che stabiliva il rinvio uso piazza per la determinazione del tasso di interesse. Secondo la prospettazione difensiva, poiché i rapporti bancari sarebbero sorti in epoca anteriore al 1984, del tutto legittimo era il rinvio al tasso praticato sulla piazza posto che questo risultava determinabile mediante la consultazione dei bollettini della Banca d'Italia o il richiamo al tasso ufficiale di sconto. Il motivo è infondato. Correttamente infatti il Tribunale è giunto alla conclusione in rassegna sostanzialmente evidenziando, con esaustiva argomentazione cui si rinvia, come il meccanismo invocato facesse difettare il requisito della determinatezza o detenninabilità del tasso debitorio applicabile ai rapporto bancario. La decisione non può che essere confermata in questa sede, poiché condivisa. Soltanto per completezza devono ag ungersi le seguenti considerazioni. La novella legislativa con l'art. 4 della legge n. 154 del 1992 prima, e l'art. 116 del T.U. in materia bancaria dopo, ha reso nulle le clausole di determinazione per relationem del tasso di interesse. Tale disciplina non è applicabile, secondo opinione consolidata, ai contratti conclusi anteriormente a tali date. La posizione delle giurisprudenza di legittimità, formatasi prima della novella, ha ritenuto che il documento negoziale non deve contenere necessariamente il tasso di interesse convenzionale ed ultralegale in cifre, ben potendo essere, tale oggetto, anche solo determinabile ex art. 1346 c.c. bastando l'individuazione di un criterio oggettivo e certo che consenta, in concreto, una determinazione del tasso di riferimento. Tale parametro poteva essere riferito, per relationem, alla futura decisione di un terzo attraverso il rinvio alle "condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza". In tal caso, infatti, le condizioni sono indicate un soggetto estraneo, non influenzabile dale parti del contratto, sono fissate su scala nazionale con accordi interbancari, agevolmente riscontrabili dalla clientela attraverso le comunicazioni dell'ABI e le variazioni vengono generalmente notiziate dalla stampa, anche non specializzata. È noto che, su tali premesse la Giurisprudenza di legittimità ha puntualizzato taluni aspetti della vicenda contrattuale che vincola il cliente (in genere un correntista) all'istituto di credito nella fase patologica del procedimento monitorio e del successivo giudizio di opposizione. La Cassazione ha così evidenziato il profilo della necessaria pattuizione scritta degli interessi ultralegali (precisando, comunque, che la clausola relativa alla determinazione convenzionale degli interessi non rientra tra quelle che necessitano di ulteriore approvazione ex art. 1341 c.c.), la legittimità della determinazione per relationem del tasso effettivo, la non influenzabilità delle "condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza" da parte del singolo istituto di credito, la conoscibilità e verificabilità effettiva delle variazioni dei tassi di interesse. Tutti i profili menzionati sono stati ritenuti sufficientemente garantiti dalla pattuizione di interessi generalmente prevista nei contratti di conto corrente in uso (art. 7 di regola), che rinvia al cd. uso piazza. Va osservato che al contratto di conto corrente in esame sia stato applicato usualmente applicato il tasso in uso su piazza e tale tasso praticato sia stato comunicato negli estratti conto regolarmente inviati al debitore. Da ciò si deduce che il tasso di interesse applicato nel rapporto bancario dedotto in giudizio non è quello legale, ma quello usualmente applicato in piazza e che tale convenzione è stata pattuita per iscritto. La clausola di determinazione dell'interesse ultralegale mediante riferimento al c.d. "uso piazza" è nulla per violazione degli artt. 1284, 1346 e 1418 cc.- Siffatta clausola, invero, la quale (con riferimento al tasso di interessi) si limita a far riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, non è sufficientemente univoca e non può quindi giustificare la pretesa al pagamento di interessi in misura superiore al tasso legale, in quanto, data l'esistenza di diverse tipologie di interessi, essa non consente, per la sua genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso concretamente riferirsi; in particolare, l'obbligo della forma scritta a pena di nullità per le pattuizioni di interessi ultralegali (art. 1284 cc), pur non richiedendo necessariamente l'indicazione in cifre del tasso di interesse convenuto e potendo essere adempiuto anche "per relationem", impone tuttavia il richiamo per iscritto a criteri prestabiliti ed ad elementi estrinseci al documento negoziale obiettivamente individuabili, tali da consentire la concreta determinazione del tasso convenzionale (conf. Cass). In riferimento al concetto di determinabilità "per relationem" del tasso di interesse d'applicare al contratto di conto corrente, la giurisprudenza di merito (che, in una certa misura ha ritenuto invalida la clausola di cui all'articolo 7 che determina gli interessi c.d. uso piazza), recentemente si è pronunciata con estremo rigore, ritenendo non determinabile, e quindi nulla, la pattuizione di interessi riferiti a concetti meno fluttuanti, come nel caso di tasso che le banche applicano per la migliore clientela. In qualche decisione di merito si è ritenuto che anche la clausola di determinazione - degli interessi ultralegali, riferita al cd. prime rate, costituisce un'ipotesi di quella cd. uso piazza e, come tale, va ritenuta nulla, con conseguente applicazione del tasso legale. Il Testo Unico modifica la precedente normativa, e in relazione alle conseguenze della mancata osservanza dell'obbligo di indicazione per iscritto del tasso degli interessi, e per le altre condizioni praticate ed i maggiori oneri in caso di mora, stabilendo all'art. 117, comma 7, del T.U. la sostituzione automatica delle clausole che risultassero nulle, perché ad esempio contenenti un illegittimo rinvio agli usi o carenti nella loro determinazione per mancata, ad esempio, dell'indicazione del tasso di interesse, di altri prezzi o di altre condizioni. In questo caso l'integrazione o sostituzione automatica della clausola ai sensi dell'art. 1419 secondo comma c.c. non è operata con il riferimento al tasso legale degli interessi, come previsto dall'art. 1284 secondo comma c.c. nel caso di mancata determinazione di interesse convenzionale o dall'art. 1284 terzo comma c.c. nel caso di una mancata osservanza della forma scritta per la determinazione ultralegale degli interessi. La sovrapposizione di un nuovo tasso legale si rinviene nel disposto dell' art. 117 settimo comma lettera a) che rinvia al tasso nominale minimo e a quello massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali oppure di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministero del Tesoro), emessi nei dodici mesi precedenti alla conclusione del contratto rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive. La legge ha privilegiato un criterio in linea con le leggi di mercato individuando, per il settore dei contratti posti in essere dalle banche e dagli intermediari finanziari con la clientela, un parametro relativamente oggettivo e concreto agganciato al valore dei titoli del debito pubblico, superando definitivamente il criterio del tasso legale che non potrebbe rispondere a nessuna logica di mercato e che, in concreto, nessun operatore economico del settore finanziario potrebbe ritenere congruo. La questione dell'incidenza della nuova disciplina bancaria sui contratti in corso va affrontata, come detto, ponendo l'aspetto su due aspetti che caratterizzano il contratto di conto corrente bancario: quello della durata e quello dell'esigibilità e disponibilità immediate delle poste attive. Ne viene che I contratti - come quello in esame - conclusi prima dell'entrata in vigore della legge n. 154 del 1992, sono interessati dalla nuova disciplina solo a partire dalla data di entrata in vigore della stessa. Pertanto, prima di tale momento, le clausole contrattuali (ad esempio, quella relativa alla determinazione degli interessi uso piazza), potranno essere ritenute valide o meno sulla base della tesi giurisprudenziale che si ritiene di accogliere e non sulla base della nuova disciplina legislativa. Pertanto se la condizione risulta nulla (art. 1419 c.c.) trova applicazione il disposto dell'articolo 1284 c.c. (interessi al tasso di legge) con decorrenza dall'inizio del rapporto e sino alla data in cui è entrata in vigore al nuova disciplina. Successivamente a tale data le clausole nulle vanno sostituite sulla base dei criteri stabiliti dalla legge numero 145\92 prima e dal T.U. del 1993, dopo, come appunto stabilito dal primo giudice, sicchè sul punto la sentenza merita senz'altro conferma.
Con il terzo motivo di gravame in rassegna, la MPS ha contestato la decisione del primo giudice riguardante la declaratoria di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, debitori, sottolineando come il Tribunale avesse frettolosamente "liquidato" la questione mediante l'allineamento ed il richiamo alla sentenza n.21095/04 resa a Sezioni Unite dalla Suprema Corte, laddove invece avrebbe dovuto soffermarsi a considerare le argomentazioni difensive che introducevano profili di perplessità a riguardo della stessa importante decisione della Corte Regolatrice. La doglianza non merita accoglimento, ove in particolare si consideri - come correttamente rilevato dal primo giudice - che la questione relativa alla legittimità della clausola anatocistica risulta abbondantemente affrontata e sviscerata dalla Corte di Cassazione a sezioni unite, cui non risulta avere fatto seguito un indirizzo contrario successivo che sposi le tesi contestatrici in rassegna, che peraltro risultano attestarsi su richiami giurisprudenziali risalenti al 1999. Ricostruendo la vicenda, occorre quindi evidenziare che è pacifico il principio di diritto secondo il quale "la clausola di un contratto bancario che preveda la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente deve reputarsi nulla in quanto basata su un uso negoziale (ex art. 1340 c.c.) e non su un uso normativo (ex artt. 1 e 8 delle preleggi al c.c.) come esige l'art. 1283 c.c., laddove prevede che l'anatocismo non possa ammettersi (salve le ipotesi della domanda giudiziale e della convenzione successive alla scadenza degli interessi) in mancanza di usi contrari". L'inserimento della clausola nel contratto, in conformità alle c.d. norme bancarie uniformi predisposte dall'ABI non esclude la suddetta nullità, poichè a tali normed eve riconoscersi soltanto il carattere di usi negoziali, non quello di usi normative (Cass. Sentenza 12507 dell'11.11.1999). Com'è noto la Cassazione, mutando il precedente indirizzo, ha escluso "l'esistenza di un uso normativo in deroga al divieto di anatocismo di cui all'art. 1283 c.c.: 'la previsione contrattuale della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basata su un uso negoziale e non su una vera e propria norma consuetudinaria è nulla, in quanto anteriore alla scadenza degli interessi' (Cass. cent. 2374 del 16.3.99). Peraltro, poco dopo l'affermazione di tale principio lo stesso legislatore è intervenuto introducendo, con l'art. 25 del D.lgs. n. 342/99, al primo comma dell'art. 120 TU due nuove disposizioni. Con la prima (che ha introdotto il 2^ comma dell'art. 120) ha attribuito al CICR il potere di stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria (con delibera del 9.2.2000 il CICR ha provveduto all'incombente riconoscendo la possibilità di capitalizzazione degli interessi creditori e debitori simmetrici). Con la seconda, che ha introdotto il co. 3^ dell'art. 120 TU, ha stabilito che 'Le clausole relative alla produzione di interessi su interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2^, sono valide ed efficaci fino a tale data e dopo di essa e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera che stabilirà altresì le modalità ed i tempi dell'adeguamento. In difetto di adeguamento le clausola divengono inefficaci e l'inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente'. Su tale ultima previsione è tuttavia intervenuta la Corte Costituzionale con la pronuncia n. 425/2000, dichiarandone la incostituzionalità nella parte in cui stabiliva la validità ed efficacia delle clausole relative alla capitalizzazione degli interessi passivi contenute nei contratti anteriori al D.lgs 432/99 e fino all'entrata in vigore della delibera CICR (22.4.00) che ha stabilito le modalità ed i criteri per la produzione di interessi su interessi. Di recente, le Sezioni Unite della Suprema Corte con la nota pronuncia n. 21095 del 7 ottobre-4 novembre 2004 hanno definitivamente escluso la possibilità di formazione di un uso negoziale che possa derogare al divieto di anatocismo. La clausola di applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi risulta affetta da nullità siccome non supportata da usi normativi ed inidonea a derogare la disposizione imperativa di cui all'art. 1283 c.c. Non può ritenersi vigente nel nostro ordinamento un uso normativo che autorizzi gli istituti di credito a procedure alla capitalizzazione trimestrale, poichè un uso di tale portata non risulta essere stato esistente nel nostro ordinamento in epoca anteriore o coeva al 1942, ed inoltre le norme bancarie uniformi emesse dall'ABI non sono fonti di produzione del diritto ma solamente schemi contrattuali uniformi che l'associazione delle imprese di credito propone ai suoi associati. Di fronte alla pratica generalizzata degli istituti di credito di inserire nei contratti bancari (peraltro stipulati con moduli prestampati predisposti dalle banche) la capitalizzazione trimestrale degli interessi, l'atteggiamento mentale dei clienti non è quello di accettazione di una pattuizione ritenuta conforme ad un precetto giuridico, ma piuttosto quella di una sorta di adesione necessaria (secondo la regola del prendere o lasciare) ad una clausola imposta dal contraente più forte. Né tali condizioni possono essere contrastate dal rilievo della mancata contestazione -da parte del cliente-debitore- degli estratti di conto corrente inviati poiché detta contestazione afferisce al profilo contabile degli addebiti e degli accrediti, ma non si estende alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano, né l'approvazione o la mancata impugnazione del conto comportano che il debito fondato su un negozio nullo, annullabile o inefficace resti definitivamente incontestabile (cfr. Cass. sent. 10186 del 26.7.2001). Come rilevato in giurisprudenza, inoltre, l'uso normativo postula la contestuale ricorrenza di due requisiti, rispettivamente di carattere oggettivo e soggettivo consistenti nella uniforme e costante ripetizione di una determinata condotta accompagnata dalla consapevolezza di osservare una norma giuridica, sicchè l'uso - come la norma - deve possedere i requisiti della generalità e dell'astrattezza. In tale contesto, poco rileva che la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente alla banca trovi generale riscontro nei loro rapporti, posto che l'applicazione della capitalizzsizione stessa discende dalla previsione contenuta negli schemi contrattuali predisposti dalle banche in base a norme bancarie uniformi aventi natura pattizia: la prassi così instaurata si collega al modo di operare di uno dei soggetti del rapporto - la banca - cui il cliente non può di fatto sottrarsi. Tale ricostruzione porta ad escludere che l'osservanza della prassi sia accompagnata dalla convinzione di attuare una regola volta a disciplinare giuridicamente determinate situazioni: in sostanza, nell'ambito dei rapporti bancari il cliente stipula sulla base delle condizioni generali fissate dalla banca, ed il fatto stesso che si avverta la necessità di inserire la clausola anatocistica tra quelle condizioni ne valorizza la natura negoziale, non normativa. L'esclusione dell'uso normativo comporta la declaratoria di nullità della clausola, in quanto questa imponendo una capitalizzazione trimestrale anteriore alla scadenza degli interessi si pone in contrasto con la norma inderogabile dell'art. 1283 c.c. Sul punto, quindi, la sentenza merita integrale conferma.
Con l'ultimo motivo di censura la MPS contesta le modalità di calcolo degli interessi maturati sulla somma liquidata a titolo di saldo in favore dei correntista - pari ad euro 96.990,97-, che avrebbero condotto il ctu a determinare l'importo dell'indebito complessivo in euro 173.422,81 alla data di deposito della perizia, cifra poi recepita dal Tribunale. Il motivo in esame finisce tuttavia per essere superato in forza della delibazione del principale motivo di appello proposto da SACOL s.r.l. per quanto di seguito si dirà. Ed infatti, interponendo il gravame che ne occupa la SACOL s.r.1. ha dedotto quale essenziale motivo di doglianza l'erroneità della decisione, assunta da primo giudice, di sostituire la capitalizzazione trimestrale - la cui clausola dichiarava nulla - con quella annuale. Secondo la tesi difensiva, basata sul richiamo a plurimi arresti giurisprudenziali in materia, "gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi"; sostiene altresì l'appellante che l'anatocismo annuale sarebbe ammissibile nell'ipotesi di stipula di una convenzione posteriore alla scadenza degli interessi primari, di tal che dovrebbe porsi nel nulla l'ammissibilità dell'anatocismo annuale previsto dal contratto di conto corrente sotto-Scritto prima della maturazione degli interessi. La doglianza merita accoglimento. Come già evidenziato nella pronuncia di questa Corte n.97/2009, "appare una forzatura ritenere che le parti abbiano contestualmente previsto la capitalizzazione sia trimestrale che annuale degli interessi a debito, con la conseguenza che, caduta la prima (perché contra legem) possa comunque continuare a operare la seconda. La verità è un'altra, ed è quella che emerge, oltre che dal testo contrattuale, dal comportamento complessivamente tenuto dalle parti anche dopo la conclusione del contratto: la comune intenzione dei contraenti era di prevedere la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista, e quella annuale degli interessi a suo credito. Una volta caduta la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito, resterà soltanto la capitalizzazione annuale di quelli a credito; ciò indubbiamente comporta uno squilibrio nel rapporto contrattuale, ma il - rimedio per ovviare a tale squilibrio è solo quello della nullità totale, non potendo il giudice introdurre in via equitativa una clausola non voluta dalle parti. Pertanto, e concludendo sul punto, l'accertata nullità (per violazione della norma imperativa di cui all'art. 1283 c.c.) della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista comporta l'obbligo di integrale restituzione degli interessi anatocistici, senza-possibilità di imporre autoritativamente una diversa scadenza annuale degli interessi stessi". Alla luce di quanto precede, deve essere riformata la decisione dei primo giudice di applicare al computo degli interessi a debito la capitalizzazione annuale, non trovando applicazione, come detto, alcuna forma di capitalizzazione. Ne consegue che nella rideterminazione del credito del correntista nella materia in rassegna occorrerà fare riferimento ai conteggi già operati dal CTU nell'elaborato depositato il 23.9.2005 ed indicanti nella somma di euro 321.804.098 l'importo - riferito alla data della notifica della citazione, vale a dire 10.4.2002- da restituire al ricorrente, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo. Peraltro, corretta appare (e ad essa si rimanda poiché interamente condivisa) la decisione del primo giudice - e sul punto si risponde al secondo motivo di appello - di consentire al consulente di utilizzare (al fine di ricostruirei rapporti dare/avere tra le parti) soltanto la documentazione dalle stesse prodotta nei termini di cui all'art. 184, posto che diversamente opinando si aggirerebbero i termini perentori prescritti dal legislatore allo scopo di consentire alle parti di assolvere il rispettivo onere probatorio, sicchè sul punto la sentenza merita riforma.
L'integrale soccombenza della banca convenuta comporta una diversa regolamentazione delle spese di lite del giudizio di primo grado, dovendosi escludere la decisione - pure assunta dal primo giudice - di compensare le stesse nella misura del 30% non sussistendo giusti motivi che legittimino un onere di rifusione solo parziale in favore della società attrice.
Conseguentemente, la Banca MPS dovrà pagare alla SACOL s.r.l. per intero le spese della prima fase del giudizio, liquidate in euro 7.171,13 di cui euro 314,00 per spese, euro 2571,42 per diritti, euro 4.285,71 per onorario, oltre iva, cap e rimborso forfetario come per legge.
Anche le spese del presente grado seguono la soccombenza e sono liquidate in euro 10.740,00 oltre accessori di legge.

PQM

La Corte di appello di Lecce, sezione seconda civile, definitivamente decidendo
sull'appello avverso la sentenza n. 108/08 resa il 23.10.2008 dal Tribunale di Brindisi - sez.
dist. di Ostuni proposto da S. Srl con citazione del 14.10.2009 contro Banca Monte Paschi di Siena, nonchè sull'appello incidentale, così provvede:
1) rigetta l'appello incidentale MPS;
2) in accoglimento dell'appello principale, ridetermina nell'importo di euro 321.804.098 la somma dovuta dalla Banca alla società attrice, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo;
3) Condanna la Banca MPS all'integrale rifusione in favore della società attrice delle spese di lite del giudizio di primo grado, liquidate in euro 7.171,13 oltre, iva, cap e rimborso forfetario come per legge;
4) Conferma nel resto la sentenza impugnata;
5) Condanna la Banca MPS alla rifusione delle spese del presente grado in favore della S. s.r.l., liquidate in euro 10.740,00 oltre accessori di legge.
Lecce, 20.9.2013
Il Consigliere est.
Consigliere Grazia ERREDE













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