Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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Sent. 2006 Milano/Ostuni

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2006

XXI
TRIBUNALE DI MILANO
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano

Il Tribunale di Milano, VI sezione civile, decidendo in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa AMINA SIMONETTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA N. 6565/2006

nella causa iscritta al n° 30755/01 del ruolo generale A.C. di opposizione a D.I. n. 8802/01 promossa
DA

G. P.O., rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Tanza e dall'Avv. Marco Ranisi, come da mandato in atti;


OPPONENTE


CONTRO


CREDITO ARTIGIANO SPA, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Roberto Tomirotti, come da procura in atti;


OPPOSTA




Conclusioni:

CONCLUSIONI: come da fogli allegati al verbale di udienza deI 27.9.2005 di seguito riportati
PRECISAZIONE DELLE CONCLUSIONI
PER L’OPPONENTE G. P. O.
Voglia l’On.le Tribunale adito, respinta ogni altra istanza, in accoglimento dei motivi esposti: IN VIA PRELIMINARE 1. ACCERTARE e DICHIARARE la nullità del decreto ingiuntivo opposto per violazione dell’art. 50 D. Lgs. 385/1993 e per l’effetto REVOCARE il medesimo con le conseguenze di legge; IN VIA PRINCIPALE 2. ACCERTARE e DICHIARARE l’invalidità a titolo di nullità parziale del contratto di apertura di credito mediante affidamento con scopertura sul cc n. 3 1/6066/0, oggetto del rapporto tra parte attrice e la banca, particolarmente in relazione alle clausole di determinazione e di applicazione degli interessi ultralegali, della determinazione ed applicazione della capitalizzazione trimestrale degli oneri passivi, all’applicazione della provvigione di massimo scoperto, all’applicazione degli interessi per c.d. giorni valuta, all’applicazione costi, delle competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese; 3. ACCERTARE e DICHIARARE, per l’effetto, l’esatto dare avere tra le parti in base ai risultati del ricalcolo che potrà essere effettuato in sede di C.T.U. contabile e sulla base dell’intera documentazione relativa al rapporto di apertura di credito; 4 DETERMINARE il costo effettivo annuo dell’indicato rapporto bancario; 5 ACCERTARE e DICHIARARE, previo accertamento del Tasso effettivo globale, la nullità e l’inefficacia di ogni e qualsivoglia pretesa della convenuta banca per interessi, spese, commissioni e competenze per contrarietà al disposto di cui alla legge 7 marzo 1996 n. 108, perché eccedente il c.d. tasso soglia nel periodo trimestrale di riferimento, con effetto, ai sensi degli artt. 1339 e 14192 c.c., della applicazione del tasso legale senza capitalizzazione; 6. ACCERTARE e DICHIARARE, per l’effetto, che non è dovuta la somma di cui al decreto ingiuntivo opposto e REVOCARE il medesimo con tutte le conseguenze di legge; 7. CONDANNARE la convenuta banca alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre agli interessi legali creditori in favore dell’odierno istante; 8. DICHIARARE l’invalidità di ogni altra obbligazione connessa all’impugnato rapporto bancario; 9. in ogni caso, CONDANNARE la banca convenuta al risarcimento dei danni patiti dall’attore, in relazione agli artt. 1337, 1338, 1366, 1376 c.c., da determinarsi in via equitativa; 10. CONDANNARE la banca al risarcimento dei danni subiti dall’opponente a seguito della illegittima segnalazione alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia a motivo del rischio a sofferenza falsamente quantificato; 11. CONDANNARE in ogni caso la parte soccombente al pagamento delle spese e competenze di giudizio con distrazione in favore dei sottoscritti procuratori antistatari. IN VIA ISTRUTTORIA ORDINARE l’acquisizione di tutti gli estratti conto, delle ricevute di versamento, delle schede della banca e di quanto altro inerente ai contratti di apertura di credito impugnati, nonché di un completo rendiconto (che indichi, tra l’altro, da una parte il capitale effettivamente erogato dalla banca e dall’altra le remunerazioni, le competenze ed i guadagni percetti dalla banca con riferimento all’intero iicdo del rapporto), nonché la certificazione della Centrale Rischi presso la Banca d’Italia relativa alla posizione dell’istante.
CONCLUSIONI nell’interesse del Credito Artigiano s.p.a. Piaccia al Tribunale Illustrissimo, contrariis reiectis, così giudicare: IN VIA PRINCIPALE: Respingere l’opposizione, confermando in ogni sua parte il decreto ingiuntivo opposto. IN VIA SUBORDINATA Condannare O. G. P. al pagamento in favore del Credito Artigiano s.p.a. della somma di g.66468 (quale controvalore di Lire 69.056.459) oltre interessi convenzionali al tasso annuo pari al Prime Rate vigente pro tempore dall’ 1/10/2001 al saldo, o di quell’altra maggiore o minore che risulterà dovuta. IN OGNI CASO Con rifusione di spese, diritti ed onorari di causa, con C.P.A. 2% ed IVA 20%, oltre al rimborso forfetario spese generali 12,5% su diritti ed onorari.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di opposizione a decreto ingiuntivo notificato in data 16.5.2001, il signor G. P. O. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 8802/2001, con il quale il Tribunale di Milano lo aveva condannato a pagare alla banca CREDITO ARTIGIANO s.p.a. la somma di lire 69.0546.459, oltre agli interessi convenzionali senza capitalizzazione ed alle spese di lite. A sostegno della propria opposizione il signor O. eccepiva preliminarmente la nullità del decreto per violazione dell’art. 50 T.U.B.. L’opponente contestava inoltre che la somma azionata, costituente il saldo negativo di un conto corrente in essere con la creditrice, fosse dovuta e chiedeva infine, in via riconvenzionale, il risarcimento dei danni patiti, anche in relazione all’illegittima segnalazione alla centrale rischi presso la Banca d’Italia. Si costituiva l’istituto di credito convenuto, il quale, contestate le ragioni dell’opponente, chiedeva la conferma del decreto ingiuntivo opposto. Il giudice non concedeva la provvisoria esecutorietà al decreto n. 8802/2001. Veniva esperita CTU tecnico contabile. Esperito l’incombente, richiamato il CTU a chiarimenti, venivano precisate le conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione, assegnati i termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE Ritiene questo giudice che l’opposizione sia fondata e che il decreto ingiuntivo n. 8802/2001 debba essere revocato. A tale proposito è da condividere l’eccezione preliminare formulata dall’opponente sotto il profilo dell’insufficienza della documentazione prodotta a sostegno del ricorso per l’emissione del decreto ingiuntivo opposto. L’art. 50 T.U.B. prevede che la Banca d’Italia e le banche possano chiedere il decreto d’ingiunzione previsto dall’art. 633 del codice di procedura civile anche in base all’estratto conto, certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca interessata. Nel caso di specie deve osservarsi che a tale scopo la produzione documentale allegata al ricorso pèr l’emissione del decreto ingiuntivo non può essere ritenuta sufficiente a fornire la prova scritta del credito maturato dall’istituto di credito, non consentendo tale limitata documentazione la esatta ricostruzione delle vicende che hanno determinato la situazione fatta valere in sede monitoria. Il decreto ingiuntivo n. 8802/2001 è stato emesso esclusivamente sulla base di una certificazione, debitamente sottoscritta da uno dei dirigenti del CREDITO ARTIGIANO, dalla quale testualmente risulta che “alla data del 18.12.2000 la posizione crediti in sofferenza in essere presso il servizio legale intestata a O. G. P., derivante dall’estinzione del c/c 031/60660, presentava il seguente saldo contabile: rapporto capitale n. 125620 Lit. 72.466.973, rapporto interessi Lit. 2.224.889 per capitale ed interessi conteggiati sino al 30.9.2000”. Appare di tutta evidenza che tale certificazione non è conforme al princiP. sotteso al dettato normativo appena richiamato, il quale, pur esonerando l’istituto di credito dalle formalità che sarebbero altrimenti necessarie per utilizzare in giudizio la contabilità d’impresa (ricorso a notaio o altro pubblico ufficiale), non ha comunque eliminato l’obbligo di puntuale elencazione delle singole voci di conto che vengono dedotte nel giudizio monitorio. Tale conclusione può ritenersi avvalorata dalla stessa evoluzione normativa che ha interessato la materia in esame: se, in vigenza dell’art. 102 r.d. 375/1936, si riteneva sufficiente la produzione in giudizio del cosiddetto saldaconto, attraverso il quale si certificava semplicemente l’entità del credito vantato dalla banca e la sua conformità rispetto alle scritture contabili, con l’art. 50 T.U.B. sopra richiamato si è inteso per l’appunto garantire un maggior grado di determinatezza ed analiticità delle ragioni dedotte in giudizio dal ricorrente. Se così è, l’opposizione deve ritenersi fondata ed il decreto ingiuntivo opposto deve essere revocato. Atteso il tenore delle domande con cui l’istituto di credito opposto si è costituito in giudizio (“condannare O. G. P. al pagamento in favore del CREDITO ARTIGIANO s.p.a. della somma di € 35.664,68 ..., o di quell’altra maggiore o minore che dovesse risultare in corso di causa”), considerate altresì le domande riconvenzionali proposte dell’opponente, è necessario esaminare la questione dedotta in giudizio anche nel merito. A questo proposito, pare preliminarmente opportuno evidenziare come la questione relativa alla prova dell’esistenza del credito vantato dall’opposta sia stata superata attraverso la produzione documentale da quest’ultima versata in atti con la propria costituzione nel presente giudizio di opposizione. Ciò premesso, nel merito l’opponente ha sollevato una serie di rilievi che attengono alla determinazione del credito azionato e che, nello specifico, riguardano il fatto che vi sia stata la pattuizione di interessi ultralegali con il semplice rinvio al cosiddetto “uso piazza”, che vi sia stata un illegittima pattuizione ed applicazione della capitalizzazione trimestrale degli oneri passivi, che vi sia stata una illegittima applicazione della provvigione di massimo scoperto (non pattuita e comunque arbitrariamente determinata con il mero rinvio al cosiddetto “uso piazza”) e che vi sia stata infine un’erronea determinazione dei giorni di valuta. Risulta dagli atti che il rapporto contrattuale dedotto in giudizio è stato instaurato con contratto del 5.2.1993. Per quanto riguarda la pattuizione del tasso di interesse, l’art. 7, comma terzo ditale scrittura prevede che “gli interessi si intendono determinati alle condizioni praticate usualmente dalle Aziende di credito sulla piazza...”. Tale pattuizione è da considerare nulla in applicazione la disciplina prevista dall’art. 4, comma terzo I. 154/1992, poi recepita dall’ari. 117 del T.U.B., ai sensi del quale “le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati” sono affette da nullità. A prescindere dall’applicazione della normativa richiamata, osserva sul punto il giudice che la giurisprudenza è concorde nel ritenere la validità della convenzione relativa alla determinazione degli interessi, in ossequio al disposto di cui all’art. 1284, terzo comma cc. quando il relativo tasso risulti determinabile e controllabile in base ai criteri in essa oggettivamente indicati e richiamati. Tale condizione non può ritenersi verificata nel caso di specie in quanto la clausola che contiene il generico riferimento “alle condizioni usualmente praticate dalle Aziende di credito sulla piazza”, stante la sua estrema genericità, non consente di rinvenire quei criteri oggettivi cui si è appena fatto riferimento, impedendo di individuare in concreto a quale previsione le parti abbiano inteso fare concreto riferimento. Del resto, il generico richiamo ad un elemento estrinseco di riferimento non permette una sicura ed oggettiva determinazione della prestazione di interessi, al di fuori di valutazioni unilaterali e discrezionali da parte della banca, sia perché non esiste alcuna pubblicazione ufficiale che certifichi le condizioni usuali, sia in quanto non sono stati dedotti parametri univoci di riferimento sufficientemente certi in grado di sopperire all’assoluta carenza delle predette condizioni. Discende da ciò la nullità della clausola n. 7 del contratto di conto corrente in esame, sotto Io specifico profilo della pattuizione di interessi ultralegali. Ad analoghe conclusioni deve giungersi con riferimento alla questione relativa alla applicazione della provvigione di massimo scoperto, genericamente prevista dall’art. 7, comma quinto della citata scrittura (“le operazioni di accredito e di addebito vengono regolate secondo i criteri concordati con il correntista o usualmente praticati dalla Aziende di credito su piazza con le valute indicate nei documenti contabili o comunque negli estratti conto. Secondo gli stessi criteri sono applicate e rese note le commissioni di massimo scoperto e le spese di tenuta del conto”). A questo proposito, premesso che non possono esservi dubbi in merito al fatto che le commissioni di massimo scoperto rientrino nell’ambito di applicazione delle norme anzidette, deve rilevarsi come a clausola di cui ci si occupa non consente di valutare né l’entità dei tassi applicati, né, tanto meno, le modalità di calcolo ditali importi. Le somme addebitate all’O. quali commissione di massimo scoperto non sono quindi dovute, attesa la nullità della clausola in esame, che si sostanzia in un aggravio di interessi corrispettivi non pattuito ed ulteriore rispetto a quelli convenzionalmente stabiliti per l’utilizzazione dell’apertura di credito. Ugualmente fondate appaiono le censure mosse all’odierna opposta con riferimento al procedimento di capitalizzazione degli interessi previsto dall’art. 7, commi 1, 2 e 3 della scrittura 5.2.1993. La capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, a fronte peraltro di una capitalizzazione annuale di quelli creditori, deve essere ritenuta nulla secondo l’orientamento giurisprudenziale che si è consolidato a partire dal 1999 ed al quale si ritiene di aderire (cfr., fra le molte, Cass. SS.UIJ. n. 21095/2004: “in tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmènte illegittimo, per violazione dell’a,t. 76, Cost., l’art. 25, comma terzo, D.Lgs. n. 342 del 1999, il quale aveva fatto salva la validità e l’efficacia - fino all’entrata in vigore della delibera CICR di cui al comma 2 del medesimo art. 25 - delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, siffatte clausole, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’art. 1283, cod.civ., perché basate su un uso negoziale, anziché su un uso normativo, mancando di quest’ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si reputa debba fare parte dell’ordinamento giuridico (“opinio juris ac necessitatis”). Infatti, va escluso che detto requisito soggettivo sia venuto meno soltanto a seguito delle decisioni della Corte di cassazione che, a partire dal 1999, modificando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno ritenuto la nullità delle clausole in esame, perché non fondate su di un uso normativo, dato che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della regola, non già creativa della stessa, e, conseguentemente, in presenza di una ricognizione, anche reiterata nel tempo, rivelatasi poi inesatta nel ritenerne l’esistenza, la ricognizione correttiva ha efficacia retroattiva, poiché, diversamente, si determinerebbe la consolidazione ‘medio tempore’ di una regola che avrebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente presupponendola, l’avrebbero creata”). Alla luce di tutto quanti fin qui affermato, deve essere rideterminato il credito vantato dalla banca opposta; tale operazione deve essere svolta applicando alla quota di capitale (da intendersi quale differenza fra debiti e crediti vantati dall’istituto di credito nei confronti del correntista O., ivi comprese le spese, le competenze ed i costi di gestione del rapporto) i criteri sostitutivi previsti dall’art. 51. 154/1992 (oggi 117, comma settimo T.U.B.). La determinazione del credito della banca deve essere inoltre effettuata con riferimento alla valuta del giorno in cui le singole operazioni sono state effettuate, ciò in quanto anche l’eccezione sollevata dall’opponente con riguardo al fatto che l’opposta avrebbe indebitamente calcolato i giorni di valuta è fondata. In particolare, si fa correttamente rilevare come l’opposta non abbia effettuato i calcoli sugli interessi debitori con riferimento al giorno in cui le singole somme sono entrate nella propria concreta ed effettiva disponibilità, bensì abbia indebitamente dilazionato tale termine, senza che ciò fosse stato in alcun modo previsto fra le parti. Alla luce di ciò, considerate le conclusioni cui è pervenuto il CTU, il credito in linea capitale che deve essere riconosciuto alla banca ammonta a € 34.300,72 (pari a lire 66.415.450), che è stato determinato dal C.T.U. nel supplemento di perizia depositato il 30.9.2004 (cfr. allegato 5 dell’elaborato peritale appena indicato), facendo riferimento al credito maturato nei confronti dell’O. in pendenza del rapporto, esclusa l’applicazione di interessi moratori e la capitalizzazione trimestrale di tali interessi. La somma così determinata tiene correttamente conto delle somme addebitate all’O. a titolo di commissioni, competenze, imposte, spese, anche rispetto ad altre posizioni intrattenute da quest’ultimo con la banca e confluite nel conto di cui si discute. Per ciò che riguarda tali ultimi importi, pare sufficiente precisare che eventuali irregolarità nella determinazione ditali importi non costituiscono oggetto del presente procedimento, né sono del resto state dedotte in giudizio. Quanto alla determinazione degli interessi debitori da applicare sulla somma capitale così come sopra indicata, in applicazione dell’art. 117 T.U.B. si deve fare riferimento al “tasso nominale minimo e quello massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministero del tesoro, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive”. Sul punto è appena il caso di specificare che la norma richiamata nell’indicare le “operazioni attive” e “quelle passive” fa riferimento alla posizione del correntista e non a quella della banca, non essendo condivisibili letture alternative dell’art. 117 citato, anche in relazione alla portata generale della normativa bancaria. Applicando tali principi e considerando quale giorno di applicazione della valuta la data effettiva in cui le operazioni sul conto corrente sono state concretamente effettuate, gli interessi attivi maturati a favore dell’O. ammontano ad € 17,96 (pari a lire 34.777), mentre quelli passivi che spettano alla banca sono quantificati in € 12.231,11 (pari a lire 23.682.732). (....)

... il costo della CTU va posto definitivamente a carico della banca opposta in quanto la consulenza si è resa necessaria per quantificare il credito della banca in considerazione della illegittima applicazione di CMS e di interessi debitori non dovuti...


P.Q.M.

Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando nella causa fra le parti in cui in epigrafe, ogni istanza ed eccezione disattesa:
accoglie l'opposizione e revoca il decreto ingiuntivo n. 8802/2001 emesso da questo Tribunale;...
Milano, 15 maggio 2006

Il G. U.
Dott. Amina SIMONETTI


XXII
TRIBUNALE DI BRINDISI
SEZIONE DISTACCATA DI OSTUNI

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
Il Tribunale di Brindisi, Sezione distaccata di Ostuni, in composizione monocratica, in persona del Giudice designato, Dott. Alberto MUNNO, ha emesso il seguente provvedimento nella causa civile, in prima istanza, iscritta al n. 112 del R.G. 2002, sul

RECLAMO SULL'ORDINANZA n. 1/06 (ex art. 186 ter cpc)
TRA

S.A.C.O.L. Srl e POMES Eugenio, rappresentato e difeso dall'Avv. Antonio TANZA

ATTORI

CONTRO

MONTE dei PASCHI di SIENA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Tommaso MARRAZZA

CONVENUTO

Il Giudice Civile Coordinatore Dott.Alberto Munno, sciogliendo la riserva formulata all’esito della udienza del 25—05—2006 nella epigrafata causa civile, a seguito della istanza di revoca della ordinanza anticipatoria di condanna emessa in data 19—01—2006;

Osserva


L’istanza di revoca è infondata e deve essere rigettata.
In merito alla idoneità della relazione di C.T.U. a costituire fonte di prova in giudizi aventi ad oggetto l’analisi di documentazione bancaria e contabile, non sembra davvero necessario aggiungere null’altro a quanto esposto nella predetta ordinanza ed ai richiami giurisprudenziali ivi effettuati.
E’ di tutta evidenza come, se la C.T.U. è posta a fondamento di tutte le sentenze emesse in cause aventi ad oggetto rapporti obbligatori sorti su contratti bancari, quando sia necessaria la ricostruzione del rapporto mediante la analisi della documentazione contabile, a fortiori può esserla per la ordinanza anticipatoria che, rispetto alla sentenza, è un minus.
Rilievo, questo, anch’esso esplicitato nella ordinanza, e, ciò nonostante, ignorato dal M.P.S. spa, quasi fosse tamquam non esset,
Diversamente occorrerebbe dimostrare per quali recondite ed ancestrali argomentazioni giuridiche la c.t.u., idonea a fondare una decisione adottata con sentenza — e ve n’è prova ogni giorno in ogni aula dì giustizia —, non lo sarebbe per una ordinanza ingiunzione, che della sentenza vuole solo anticiparne gli effetti in funzione acceleratoria del processo dove c’è il più c’è anche il meno, insegnavano i cornmentatori.
Quanto al secondo profilo, occorre rilevare come la ordinanza ex art.186 ter c.p.c. abbia natura di provvedimento anticipatorio di condanna, mirando per l’appunto ad anticipare le statuizioni emanande all’esito del giudizio di merito.
E’ così evidente come il giudice, con l’atto in parola, non fa altro che esternare anticipatamente — ed. in forma ovviamente istituzionale — l’intero convincimento maturato in ordine all’esito della lite, ivi inclusi i presupposti di che sottendono la emissione dell’ordine di pagamento.
Così, ad esempio, nel giudizio in corso il giudice, emettendo la ordinanza ha In anticipato il giudizio sulla eccezione di approvazione tacita degli estratti conto — con conseguenziale dedotta decadenza dal diritto di impugnarli — che il M.P.S. spa ha articolato nelle proprie difese (pagina 6 penultimo capoverso e pagina 7 prima parte della comparsa di risposta del M.P.S. spa) .
Ciò è insito nello stesso concetto di “ordinanza anticipatoria di condanna”, che ha in se la caratteristica indefettibile di essere una “sentenza anticipata”, tantevvero che, ai sensi del comma 4 dell’art. 186ter c.p.c., in caso di estinzione del giudizio acquista l’efficacia esecutiva che non le sia conferita alla emissione.
Seguendo la logica del M.P.S. spa, le ordinanze in parola non potrebbero mai essere emesse atteso che, dovendo il giudice pronunciare con sentenza sulle questioni preliminari e pregiudiziali di rito e di merito — c.d. eccezioni — in ottemperanza all’art. 279 n.4 c.p.c., ogni qualvolta queste siano state dispiegate — il che avviene praticamente quasi sempre in pressocchè tutti i giudizi civili — il giudice non potrebbe mai emettere l’ordinanza ingiunzione per il presunto — ed inesistente — obbligo di affrontare prima con sentenza le c.d. pregiudiziali, come, nel caso di specie, la declaratoria di nullità delle clausole negoziali, dalle quali sorge il diritto di ripetere le somme pagate in esecuzione di quelle clausole nulle.
Così, nel caso di specie, seguendo la logica giuridica del M.P.S. spa, il giudice avrebbe prima dovuto emettere sentenza parziale ex art. 279 c.p.c. non solo sulla domanda di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi, ma anche sulla domanda di nullità della clausola di rinvio agli c.d. usi su piazza nella determinazione del tasso di interesse e, perché no, anche sulla eccezione di decadenza dal diritto di impugnare gli estratti conto e, magari, anche sulla eccezione di irripetibilità delle somme versate a titolo di interessi ultralegali per adempimento di supposta obbligazione naturale, e su tutte quante le altre eccezioni dispiegate ed astrattamente deducibili.
Insomma il giudice prima dovrebbe sentenziare tutto (ovverosia su tutte le pregiudiziali di rito e di merito ) e poi, all’esito, emettere la ordinanza anticipatoria di condanna.
Ma se così è - e così non può non essere nella logica del M.P.S. spa — le ordinanze in parola diventerebbero in realtà non più ordinanze anticipatorie, ma ordinanze posticipatorie di condanna.
Così facendo il Monte dei Paschi di Siena, con un’autentica inversione logica, ha trasformato un istituto diretto a velocizzare le aspettative di giustizia della parte rispetto all’esito naturale della lite, in un atto assolutamente inutile, atteso che, se il giudice dovesse davvero pronunciare su tutte le questioni pregiudiziali di rito e di merito prima di emettere la condanna o ingiunzione “anticipata”, tanto varrebbe rinviare tutto alla sentenza il che, in altre parole, equivale a dire che le ordinanze anticipatorie sarebbero tamquam non essent, avendo così il legislatore creato un istituto assolutamente inutile. Quella proposta dal M.P.S. spa è, pertanto, una vera e propria interpretatio abrogans, e, come tale, non può che essere respinta.
Per mera completezza argomentativa appare utile richiamare il già citato comma 4 dell’art. l86ter c.p.c. che dispone: “Se il processo si estingue, l’ordinanza che non ne sia già munita acquista efficacia esecutiva ai sensi dell’art. 653 primo comma c.p.c. n.d.r.”
L’ordinanza anticipatoria di condanna, pertanto, contiene in se un vero e proprio accertamento sull’intero rapporto giuridico dedotto, esattamente come il D.I. che si fonda sulla c.d. cognizione sommaria cartolare.
La ordinanza ingiunzione, invece, è un quid pluris rispetto al D.I., atteso che è emessa ex post all’esito della instaurazione del contraddittorio, e dopo che le parti hanno avuto la possibilità di dire tutto quanto avevano da dire, e produrre tutto quanto avevano da produrre.
Ne consegue che, contrariamente a quanto affermato dal M.P.S. spa, il convincimento che assiste il giudice nell’emissione della ordinanza anticipatoria è assai più profondo e ponderato di quello che assiste il giudice che emette il D.I. inaudita altera parte, essendo la prima emessa nell’ambito di un rapporto processuale a contraddittorio perfetto, ed il secondo addirittura in assenza di una parte.
Ed è un convincimento che non si sostituisce mai a quello definitivo, atteso che, ai sensi del comma 3 dell’art. 186ter c.p.c., la ordinanza anticipatoria è assoggettata alla disciplina delle ordinanze revocabili, e, di conseguenza, non pregiudica mai “l’ultima parola” che spetta ovviamente alla sentenza. L’ultimo rilievo riguarda la concessione della provvisoria esecuzione della ordinanza ex art. 642 comma 2 cpc che, nella formulazione previgente, disponeva:
“L’esecuzione provvisoria può essere concessa anche se vi è pericolo di grave pregiudizio del ritardo...”
Nella chiara disposizione normativa non v’è nulla che autorizzi legittimamente a ritenere che il “grave pregiudizio” debba necessariamente derivare dal fatto del debitore e non dal fatto del debitore.
Quella proposta da numerosi giudici di merito è una vera e propria interpretazione restrittiva, che mutila ingiustificatamente la portata precettiva della norma in assenza di appigli normativi.
Qui davvero neppure è il caso di invocare la diatriba tra interpretazione restrittiva (lex minus dixit quam voluit) ed interpretazione estensiva (lex plus dixit quam voluit), poiché la validità della lettura offerta dalla ordinanza di cui il M.P.S. spa chiede la revoca è, piuttosto, offerta dal suo tenore letterale a norma dell’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile.
Il Pregiudizio nel ritardo può derivare tanto da fatto del debitore che da circostanze proprie del creditore, ed a tanto può pervenirsi anche in forza di considerazioni sistematiche.
Il creditore che paventi il depauperamento del patrimonio del debitore, magari anche per effetto di atti di disposizione fraudolenti, ha a disposizione lo strumento del sequestro conservativo, con il quale apporre un vincolo di indisponibilità ai beni da assoggettare ad esecuzione ai sensi dell’art. 686 c.p.c. (conversione del sequestro in pignoramento)
Il creditore che invece abbia urgente necessita di conseguire la liquidità per evitare danni forse anche irreparabili (magari proprio nel senso utilizzato dall’art. 700 c.p.c.) resterebbe, secondo la interpretazione del M.P.S. spa e dei giudici di merito, del tutto privo di tutela.
Si pensi all’imprenditore che abbia disperato bisogno di liquidità per evitare di incorrere a sua volta in rovinosi inadempimenti oramai imminenti, o, addirittura, per dimostrare la propria solvibilità nella udienza camerale già fissata innanzi al Tribunale Fallimentare a sua volta adito dal proprio creditore (creditor creditoris, a simiglianza e parallelismo del debitor debitoris di cui all’art. 547 c.p.c.)
Perché mai questa persona non potrebbe veder tutelato il proprio diritto — che nel caso di specie si atteggia ad un vero e proprio diritto di sopravvivenza della impresa sull’orlo della decozione — per effetto di una interpretazione apoditticamente mutilatrice della portata precettiva dell’art. 642 comma 2 c.p.c. ?
Nessuna argomentazione prodotta dal M.P.S. spa supera questo dato ineliminabile, e le sentenze dei giudici di merito sono nulla più di mere petizioni di principio emesse in contrasto con l’art. 12 delle disposizioni preliminari ai codice civile.
L’unica interpretazione possibile, la più logica e corretta, dell’art. 642 comma 2 c.p.c. pertanto, quella che individua come fonte possibile di provenienza del pericolo di pregiudizio nel ritardo tanto la sfera del debitore quanto quella del creditore, secondo circostanze concrete che la parte interessata dovrà allegare e, soprattutto, provare.

P.Q.M.


Il Giudice Civile Coordinatore rigetta la istanza di revoca della ordinanza emessa ex art. 186ter c.p.c. in data 19 gennaio 2006;
Si comunichi alle parti a cura della cancelleria;
Così deciso nella camera di consiglio del Tribunale di Brindisi Sez. Dist. di Ostuni in data 13 luglio 2006;

Il Giudice
Dr.Alberto Munno

Depositata in Cancelleria il 20.07.06
Il cancelliere
Paola D’angelo


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