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Pagina 2007 Lecce/Lecce

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2007

VII

TRIBUNALE Dl LECCE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
il G.O. Avv. Giuseppe Cardone, in funzione di Giudice Unico, ha emesso la seguente


SENTENZA N. 689/07
nella causa civile inscritta al n. 314/02 RG
TRA

ANTICA AZIENDA VINICOLA MARTINELLI RUGGIERI, in persona della titolare Francesca Maria Martinelli Ruggieri, come rappresentata in virtù di procura generale, rappresentata e difesa dall’Avv. Antonio TANZA.

attrice

CONTRO

BANCA INTESA BANCA COMMERCIALE ITALIANA S.p.A., in persona del suo legale rappresentante Dr Enrico Boari, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Pasquale Concio e Antonio Greco,

convenuta

Oggetto: nullità parziale contratto.
lntroitata nell’udienza del 16 aprile 2007 ex art. 281 sexies c.p.c.

FATTO e DIRITTO

Con atto del 22.1.02 l’attrice postulava accertarsi e dichiararsi la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1284, 1346, 2697 e 1418 c.c. dell’art. 7, comma 3, delle condizioni generali del contratto di apertura. di credito e di conto corrente n. 7077042.0127 e n. 7077042.02.28 oggetto del rapporto tra le parti del giudizio, relativa alla determinazione degli interessi debitori con riferimento alle condizioni usualmente praticate dalle Aziende di credito sulla piazza e, per l’effetto, dichiararsi l’inefficacia degli addebiti in c/c per
interessi ultralegali applicati nel corso dell’intero rapporto e l’applicazione in via dispositiva, ai sensi dell’art. 1284, comma 3, c.c., degli interessi al saggio legale tempo per tempo vigente; accertarsi e dichiararsi la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1283, 2697, 1418 c.c. dell’art. 7 commi 2 e 3, delle condizioni generali del contratto di apertura di credito e di conto corrente n. 7077042.0 127 e n. 7077042.02.28, oggetto del rapporto tra le parti relativa alla capitalizzazione trimestrale di interessi, competenze spese ed oneri applicata nel corso dell’intero rapporto, e per l’effetto dichiararsi la inefficacia di ogni e qualsivoglia capitalizzazione di interessi al rapporto in esame; accertarsi e dichiararsi la nullità ed inefficacia per violazione degli articoli 1325 e 1418 c.c., degli addebiti in c/c per non convenute commissioni sul massimo scoperto trimestrale, comunque prive di causa negoziale: accertarsi e dichiararsi la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1284, 1346. 2697 e 1418 c.c. degli addebiti di interessi ultralegali applicati nel corso dell’intero rapporto sulla differenza in giorni tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta nonché per mancanza di valida giustificazione causale; accertarsi e dichiararsi, per l’effetto, l’esatto dare - avere tra le parti del rapporto sulle base della classificazione contabile del medesimo in regime di saggio legale di interesse, senza capitalizzazioni, con eliminazione di non convenute commissioni di massimo scoperto e di interessi computati sulla differenza in giorni - banca tra la data di effettuazione di singole operazioni e la data della rispettiva valuta; determinare il tasso effettivo globale dell’indicato rapporto bancario; accertarsi e dichiararsi, previo accertamento del tasso effettivo globale, la nullità e l’inefficacia di ogni e qualsivoglia pretesa della convenuta banca per interessi, spese, commissioni e competenze per contrarietà al disposto di cui alla legge 108/96, perché eccedente il c.d. tasso soglia nel periodo trimestrale di riferimento, con l’effetto. ai sensi degli artt. 1339 e 1419 c.c., dell’applicazione del tasso legale senza capitalizzazione: condannarsi la convenuta banca alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre agli interessi legali creditori in favore di essa attrice; in ogni caso condannarsi la convenuta al risarcimento dei danni patiti dall’attrice, in relazione agli artt. 1337, 1338, 1366, 1375 c.c., da determinarsi in via equitativa; condannarsi la banca al risarcimento dei danni subiti a seguito della illegittima segnalazione alla Centrale rischi presso la Banca d’Italia a motivo dell’utilizzo falsamente qualificato. Vinte spese e competenze di lite con distrazione.
Asseriva di avere intrattenuto con la convenuta un rapporto bancario consistito in apertura di credito con affidamento mediante scopertura su c/c ordinario e c/c anticipi; che detto rapporto aveva avuto inizio il 18.10.1991 ed era stato revocato in data 27.2.1996; che con lettera del 22.2.1991 si contestava l’applicazione di convenzioni contrattuali illegittime.
Rilevava la nullità della clausola di determinazione dell’interesse ultralegale mediante rinvio al cd. “uso piazza”; l’illegittimità della pattuizione ed applicazione della capitalizzazione trimestrale degli oneri passivi: l’inammissibilità della provvigione di massimo scoperto; l’indeterminabilità e/o indeterminatezza della valuta; la necessità di accertare il tasso effettivo globale applicato; l’illegittima segnalazione alla Centrale dei Rischi, avendo la banca segnalato la posizione di affidamento/utilizzo, saturando di fatto la possibilità dell’azienda di ottenere ulteriori affidamenti, sulla base di importi assolutamente non dovuti.
Si costituiva la convenuta che chiedeva disattendersi in toto le richieste di controparte in quanto prive di qualsivoglia fondamento; chiedeva, altresì. accertarsi e dichiararsi la piena validità, efficacia e legittimità del contratto di apertura di credito mediante scoperto su conto corrente stipulato tra le parti. Vinte spese e competenze di lite con distrazione.
Evidenziava che, in ordine alla pretesa nullità della clausola di determinazione dell’interesse ultralegale mediante il rinvio al cd. “uso piazza”, dovevano distinguersi il periodo anteriore alla data dell’8.7.92. quando le clausole scritte sul tasso erano formulate per relationem mediante riferimento ai tassi praticati abitualmente su piazza e il periodo successivo P allorché, per ragioni di trasparenza, la legge 154/92 introdusse il divieto delle clausole di riferimento ai tassi abituali.
Rilevava che vi era una disciplina, in proposito, di riferimento univoca su scala nazionale; che non erano stati contestati gli estratti conto e le condizioni applicate, con conseguente decadenza dalle contestazioni; che in data 13.3.95 la debitrice aveva sottoscritto piano di rimborso nel quale riconosceva l’esistenza di una debitoria pari a £. 74.254.984, impegnandosi al rimborso graduale; che detto piano, rispettato, dava corso alla chiusura del conto in data 16.2.96. Rilevava, ancora, l’applicabilità, in via sussidiaria, del prime rate ABI per i rapporti accesi prima dell’introduzione delle norme sulla trasparenza e per i periodi precedenti a tale introduzione. Contestava la prospettata illegittimità della pattuizione ed applicazione della capitalizzazione trimestrale dell’interesse composto nonché la prospettata inammissibilità della provvigione di massimo scoperto: quest’ultima in particolare doveva ritenersi ricompresa tra le commissioni di qualsivoglia natura da portarsi in conto secondo il dettato contrattuale (art. 7).
in ordine alla determinazione della valuta precisava che, per svariate ragioni poteva non coincidere con la data di annotazione contabile; che, a seguito dell’entrata in vigore della legge 154/92, aveva precisato le valute come in atti e che non vi era stata alcuna contestazione al riguardo. Evidenziava, infine, che nessuna segnalazione alla Centrale Rischi era stata effettuata non essendo passato a sofferenza il rapporto de quo e che, se effettuata, rappresentava un atto dovuto. Esaurita l’istruttoria, all’udienza del 14.3.06 venivano precisate le conclusioni, con riporto ai propri scritti difensivi e alle proprie deduzioni e difese ovunque svolte (verbale del 3.11.05) per l’attrice e con riporto ai propri scritti difensivi e alle deduzioni formulate in corso di causa, nonché all’esito della consulenza espletata in giudizio per la convenuta. La causa, nell’udienza del 16.04.07, veniva decisa ex art. 281 sexies c.p.c.
Tanto premesso, la domanda è da ritenersi fondata e, pertanto, deve essere accolta.
Deve, dapprima, rilevarsi che la ricognizione di debito, al pari della promessa di pagamento, non costituisce autonoma fonte di obbligazione ma ha soltanto effetto conservativo di un preesistente rapporto fondamentale realizzandosi ai sensi dell’art. 1988 c.c. -nella cui previsione rientrano anche dichiarazioni titolate- un’astrazione meramente processuale della causa, comportante l’inversione dell’onere della prova, ossia l’esonero del destinatario della promessa dall’onere di provare la causa o il rapporto fondamentale, mentre resta a carico del promittente l’onere di provare l’inesistenza o l’invalidità o l’estinzione di detto rapporto -come avvenuto nel caso di specie- sia esso menzionato oppure no nella ricognizione di debito (Cass. Civ. sez. 111, 1.12.03, n. 18311). Né, tantomeno, l’invio di estratti conto può influire sulla impugnabilità della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori da cui derivano gli accrediti e gli addebiti: infatti, l’approvazione. sia pure tacita, dell’estratto conto ai sensi dell’art. 1832 c.c. non preclude l’impugnabilità della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori da cui derivano gli accrediti e gli addebiti e, quindi, dei titoli contrattuali che sono alla loro base e rimangono regolati dalle norme generali sui contratti (Cass. Civ. sez. III, 25.7.01 n. 10129).
In particolare, deve applicarsi il principio secondo cui in tema di contratti bancari, nel regime anteriore all’entrata in vigore della disciplina dettati dalla legge sulla trasparenza bancaria n. 154/92, poi trasfusa nel testo unico 1.9.93 n. 385, la clausola che, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è priva del carattere della sufficiente univocità e non può quindi giustificare la pretesa della banca al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale (Cass. Civ. sez. L. 28.3.02, n. 4490). Ed ancora, in tema di contratti bancari, la clausola -stipulata anteriormente all’entrata in vigore della disciplina dettata dalla legge sulla trasparenza bancaria- che, per la pattuizione di interessi dovuti alla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza. è in ogni caso divenuta inoperante a partire dal 9.7.92, data di entrata in vigore dell’indicato “ius superveniens”, atteso che la previsione imperativa, da esso posta (art. 4 L. 154/92, poi trasfuso nell’art. 117 del testo unico 1.9.93, n. 385) che sancisce la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse, se non incide, in base ai principi regolanti la successione nel tempo, sulla validità delle clausole contrattuali inserite in contratti già conclusi, impedisce tuttavia che esse, nei rapporti ancora in corso, possano produrre per l’avvenire ulteriori effetti. Inoltre, la stessa sentenza precisa che in tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 425 del 2000, con cui è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione dell’art. 76 Cost., la norma (contenuta nell’art. 25, terzo comma, del d.lgs. 4.8.99 n. 342) di salvezza della validità e degli effetti (fino all’entrata in vigore della delibera CICR di cui al secondo comma del medesimo art. 25) delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, dette clausole restano disciplinate, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, dalla normativa anteriormente in vigore, alla stregua della quale esse -basate su un uso negoziale, anziché su una norma consuetudinaria- sono da considerare nulle, perché stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c.
Più recentemente Cass. Civ. sez. Un. 4.11.04, n. 21095 ha rilevato che l’evoluzione del quadro normativo -impressa dalla giurisprudenza e dalla legislazione degli anni ‘90, in direzione della valorizzazione della buona fede come clausola di protezione del contraente più debole, della tutela specifica del consumatore, della garanzia della trasparenza bancaria, della disciplina dell’usura - ha innegabilmente avuto il suo peso nel determinare la ribellione del cliente (che ha dato, a sua volta, occasione al revirement giurisprudenziale) relativamente a prassi negoziali, come quella di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti alle banche, risolventesi in una non più tollerabile sperequazione di trattamento imposta dal contraente forte in danno della controparte più debole. Ma ciò non vuol dire (e dirlo sconterebbe un evidente salto logico) che, in precedenza, prassi siffatte fossero percepite come conformi a ius e che, sulla base ditale convinzione (opinio iuris), venissero accettate dai clienti. Più semplicemente, di fatto, le pattuizioni anatocistiche, come clausole non negoziate e non negoziabili, perché già predisposte dagli istituti di credito, in conformità a direttive delle associazioni di categoria, venivano sottoscritte dalla parte che aveva necessità di usufruire del credito bancario e non aveva, quindi, altra alternativa per accedere ad un sistema connotato dalla regola del prendere o lasciare. Dal che la riconducibilità, ab initio, della prassi di inserimento, nei contratti bancari, delle clausole in questione, ad un uso negoziale e non già normativo (per tale profilo in contrasto dunque con il precetto dell’art. 1283c.c.), come correttamente ritenuto dalle sentenze del 1999 e successive. Su tali premesse, la consulenza espletata, condivisa da questo giudicante e non contestata, ha concluso, tenuto anche conto che dalla documentazione acquisita non risultano pattuizioni relative né alle valute applicabili alle varie operazioni registrate in c/c (non è stata presa in considerazione la lettera di apertura conto corrente, poiché la stessa non risulta compilata in alcun modo e non riporta alcuna sottoscrizione), né una pattuizione scritta inerente la commissione di massimo scoperto (non è dovuta la commissione di massimo scoperto se non è prevista nel contratto di conto corrente con apertura di credito, anche se stipulato anteriormente alla legge n. 154/92; inutile, infatti, risulta il richiamo alle norme bancarie uniformi e alle istruzioni della Banca d’Italia, entrambe inidonee a legittimare la pretesa di tale commissione in assenza di un’apposita clausola contrattuale che la contempli espressamente (Corte d’Appello Lecce, sez. 1, 22.10.01, Pres. Coralli, Est. Dell’Anna -Banca del Salento s.p.a. e. Amm.ne Fall.re Gridi Costruzioni s.r.l.) e a seguito della ricostruzione operata, per un saldo positivo a favore del correntista. È stato, inoltre, precisato dal c.t.u. che dal punto di vista del cliente il conto risulta attivo quando presenti un saldo contabile maggiore di zero, poiché lo stesso frutta interessi, mentre il conto risulta passivo, quando presenti saldi minori di zero che lo portano a pagare interessi nei confronti dell’istituto di credito. Al contrario, dal punto di vista della banca il conto risulta attivo quando presenti un saldo contabile minore di zero, poiché lo stesso frutta interessi, mentre il conto risulta passivo, quando presenti saldi maggiori di zero che la portano a pagare interessi nei confronti del correntista. Su tali presupposti deve, pertanto, ritenersi un effettivo credito per l’attrice pari a €. 37.716,27 (cfr. ricalcolo in atti, ordinato per data dell’operazione - non essendo state pattuite valute fittizie- tasso massimo Bot a favore del cliente, in applicazione della relativa normativa). Seguono gli interessi legali su detta somma dalla domanda. Non è stata, al contrario, contestata la circostanza, ribadita dalla convenuta, in merito alla mancata effettuazione della segnalazione alla Centrale Rischi, non essendo mai stato passato a sofferenza il rapporto di conto corrente. Da ciò deriva il rigetto della relativa richiesta di risarcimento
Deve, inoltre, disattendersi ogni ulteriore richiesta risarcitoria per carenza di idonea prova.
Consegue, dunque, in accoglimento delle domande formulate dall’attrice sui relativi punti, la condanna della Convenuta al pagamento della somma di €. 37.716,27 oltre interessi legali dalla domanda
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Le spese dell’espletata c.t.u. restano definitivamente a carico della convenuta soccombente.

P.Q.M.

il Tribunale di Lecce, disattesa ogni contraria istanza, ragione e deduzione, così provvede:
accoglie la domanda, come in parte motiva e, per l’effetto, condanna la convenuta al pagamento della somma di €. 37.716,21 oltre interessi legali dalla domanda;
condanna la convenuta medesima al pagamento delle spese di lite, liquidate in complessivi €. 6.000,00 di cui €. 520,00 per spese ed €. 4.000,00 per onorario, oltre r.s.g., cap e iva come per legge con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi antistatario;
dispone che le spese dell’espletata c.t.u. restino definitivamente a carico della soccombente.
Così deciso in Lecce il 16 aprile 2007

Il G.O.
AVV. Giuseppe CARDONE

Depositata in cancelleria il 16 aprile 2007
Il Cancelliere
F. PETRELLI

VIII
TRIBUNALE DI LECCE
Seconda Sezione Civile
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Lecce, seconda sezione civile, in persona del giudice unico Dott. Sergio DE BARTOLOMEIS ha emesso la seguente

SENTENZA n. 660/07


nella causa civile iscritta al n. 2113/1999 del Ruolo Generale promossa

DA

XXXXXXXXX E XXXXX LUISA, rappresentati e difesi dall’Avv. Antonio Tanza, mandato in atti.

ATTORE

CONTRO

UNICREDIT BANCA S.p.A., già Credito Italiano S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Luca Erroi, mandato in atti

CONVENUTA

All’udienza del 27.03.2007 sono comparsi i procuratori delle parti, i quali si riportano alle conclusioni in precedenza rassegnate nei propri scritti difensivi e discutono oralmente la causa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c.

IL GI

Pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e delle seguenti ragioni di fatto e di diritto della decisione

FATTO E DIRITTO

Considerato che:
I sigg.ri XXXXXXXXX Vannio Giulio e XXXXX Luisa, con atto di citazione notificato il 03.08.1999, convenivano avanti al Tribunale di Lecce il Credito Italiano — UniCredito Italiano S.p.A., per sentire in via preliminare disporsi la sospensione del giudizio ex art. 177 del trattato CEE in attesa della decisione della Corte di Giustizia sui quesiti formulati dagli attori; nonchè nel merito per sentire accertare e dichiarare l’invalidità e la nullità parziale del contratto di c/c con riferimento alle clausole di determinazione e di applicazione degli interessi ultralegali — dell’anatocismo trimestrale — della commissione di massimo scoperto — dei costi e delle competenze pretese a qualsiasi titolo; per sentire determinare l’esatto dare-avere tra le parti in causa; per sentire condannare la Banca convenuta alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate o riscosse, oltre gli interessi legali; per sentire infine condannare la Banca convenuta al risarcimento dei danni. Con vittoria di spese di lite.
Si costituiva in giudizio l’UniCredito Italiano S.p.A., già Credito Italiano S.p.A., con comparsa di risposta del 20.10.1999 nella quale chiedeva il rigetto integrale delle domande formulate in citazione dagli attori; chiedeva inoltre l’accertamento della infondatezza della domanda di risarcimento danni e la condanna degli attori alla rifusione delle spese di lite.
Nelle more, l’UniCredito Italiano S.p.A. in data 15.09.1999 notificava agli stessi sigg.ri XXXXXXXXX Vannio e XXXXX Luisa decreto ingiuntivo emesso dal Sig. Presidente del Tribunale di Lecce il 18.08.1999 n. 714199 per la somma di lire 53.742.874 ed accessori, su ricorso della stessa Banca per un credito derivante dal contestato rapporto di conto corrente.
I sigg.ri XXXXXXXXX e XXXXX, con atto notificato il 20.09.199, proponevano opposizione avverso il provvedimento monitorio, così instaurando il giudizio civile n. 2390/99 R.G.C. avente ad oggetto l’impugnazione del medesimo rapporto di c/c già contestato nel precedente giudizio pendente tra le stesse parti e contrassegnato dal n. 2113/99 R.G. Contenzioso.
Nel prosieguo, attesa l’evidente connessione soggettiva ed oggettiva tra i richiamati processi, veniva disposta la riunione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo n. 2390199 R.G.C. a quello contrassegnato dal n. 2113/99 R.G.C.
Sospeso il processo in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale in ordine alla sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 25 comma 3 del D. Lgs. 4 agosto 1999 n. 342, questo adito con provvedimento del 28.02.2001, su richiesta dei sigg.ri XXXXXXXXX e XXXXX, disponeva la prosecuzione del giudizio.
Successivamente, veniva ammessa CTU contabile per la determinazione dell’esatto ammontare dei reciproci rapporti di dare-avere.
In ordine alla presunta prescrizione.
Sul punto la giurisprudenza di merito ha affermato che l’azione diretta a far dichiarare la nullità di clausole contrattuali (nella specie concernente l’anatocismo trimestrale) è imprescrittibile ex art. 1422 c.c..
Quella volta ad ottenere la ripetizione di quanto indebitamente versato è soggetta alla ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c.
Per la decorrenza del termine prescrizionale, il dies a quo va individuato in quello della chiusura definitiva del rapporto atteso che il contratto per la disciplina in conto corrente di operazioni bancarie è un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico articolato in una pluralità di atti esecutivi, laddove i singoli addebitamenti o accreditamenti non danno luogo a distinti rapporti ma determinano solo variazioni quantitative dell’unico originario rapporto sicché solamente con il saldo finale si stabiliscono definitivamente i crediti ed i debiti fra le parti (App. Lecce 22-10-2001; Cass. 9-4-1984 n. 2262; per l’affermazione di tale principio in tema di garanzia prestata per il rapporto di conto corrente vedasi Cass. 23-3-2004 n. 5720; Cass. 11-5-1999 n. 4659; Cass. 14-4- 1998 n. 3783; Cass. 19-6-1997 n. 5481; Cass. 18-4-1 996 n. 3662).
L’azione della banca non è dunque prescritta, essendo stata proposta in costanza di rapporto.
E’ poi infondata l’eccezione sollevata dalla Unicredit di soluti retentio, posto che dottrina e giurisprudenza concordano nell’escludere che nell’ipotesi d addebito degli interressi ultralegali, non pattuiti per atto scritto, a norma dell’ art. 1284 c.c., sul conto corrente bancario si possa ipotizzare l’adempimento da parte del cliente di un’obbligazione naturale; manca nell’ipotesi in esame, la volontà di pagamento, la spontaneità, nonché il dovere morale o sociale, richiesti dall’art. 2034 c.c.
La difesa della convenuta ha poi sostenuto l’infondatezza della domanda
non avendo l’attore mai contestato le risultanze degli estratti conto inviatigli sicché sarebbe decorso il termine semestrale previsto a pena di decadenza dall’art. 8 delle norme sui conti correnti di corrispondenza, clausola che ricalca il contenuto dell’art. 1832c.c.
Tale assunto non merita condivisione atteso che il correntista può contestare la validità e l’efficacia dei rapporti obbligatori da cui scaturiscono le partite inserite nel conto anche in assenza di impugnazione dello stesso nel termine semestrale previsto in quanto la decadenza concerne la contestaziorie di addebitamenti e di accreditamenti unicamente sotto il profilo contabile (v. in tal senso Cass. 5-12-2003 n. 18626; Cass. 26-7-2001 n. 10186; Cass. 25-7-2001 n. 10129; Cass. 11-5-2001 n. 6548; Cass. 14-5-1998 n. 4846, Cass. 11-9-1997 n. 8989; Cass. 11-3-1996 n. 1978). In realtà la mancata contestazione dell’estratto conto ne la connessa implicita approvazione di tutte le operazioni bancarie regolate nel conto stesso, attesa la natura sostanzialmente confessoria delle annotazioni in esso riportate, non comporta infatti l’inammissibilità di censure attinenti alla validità e l’efficacia dei rapporti obbligatori da cui scaturiscono le parti inserite nel conto, in quanto in tal caso l’impugnativa, non essendo limitata alla contestazione di accrediti e di addebiti sotto il profilo contabile, non è direttamente collegata all’estratto conto trasmesso dalla banca. Cass., sez. I, 05-12-2003, n. 18626.
Sul presunto riconoscimento del debito.
Come ben messo in evidenza dalla difesa degli attori la Giurisprudenza è costante nel negare che la ricognizione di debito e perfino la eventuale promessa di pagamento siano propriamente fonti di obbligazione, ed è costante nel ritenere, quale effetto principale della promessa ricognitiva, solo l’inversione dell’onere delle a prova circa l’esistenza della
causa debendi. (Cfr., in tal senso, tra le altre, Cass. Civ., n. 9777/90, Cass. Civ., n. 3585/79, ecc.). E’ bene ribadire che, con una recente pronuncia, la Suprema Corte così ha statuito: “La promessa di pagamento, al pari della ricognizione di debito, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto conservativo di un preesistente rapporto fondamentale, venendo ad operarsi, in forza dell’art. 1988 c.c.,. nella cui previsione rientrano anche dichiarazioni titolate, un’astrazione meramente processuale della causa, comportante l’inversione dell’onere della prova, ossia l’esonero del destinatario della promessa dall’onere di provare la causa o il rapporto fondamentale, restando a carico del promittente l’onere di provare l’inesistenza o la invalidità o l’estinzione di
detto rapporto, sia esso menzionato oppure no nella promessa unilaterale”
(Cass. Civ. 14 gennaio 1997 n. 280; ma cfr. anche Cass. Civ. 15 maggio 1997 n. 4276, nonché Cass. Civ. 8 maggio 1984 n. 2800). E’ stato, poi, stabilito che “l’onere per il debitore di provare la inesistenza o inefficacia del rapporto obbligatorio sottostante (alla promessa ricognitiva) nei confronti del beneficiario viene meno quando detta prova sia logicamente conseguente a situazioni risultanti negli atti di causa” (così Cass. Civ. 9 agosto 1994 n. 7348). E ancora, Cass. Civ.,. Sez. II, 20 febbraio 1997 n. 1561 ha statuito che “il riconoscimento del debito NON SPIEGA EFFETTI se chi lo ha compiuto dimostra, come è suo onere, l’insussistenza del rapporto fondamentale”
La nullità dei vari commi dell’art. 7 del contratto originario rende pertanto inefficace l’eventuale riconoscimento del debito, che nel caso in esame va escluso, essendo nulla la
causa debendi.
Il XXXXXXXXX e la XXXXX deducono poi
la nullità della clausola di determinazione dell’interesse ultralegale mediante rinvio al c.d. “uso piazza”.
Per quanto concerne la clausola di rinvio agli usi su piazza e premesso che l’art. 4 della legge 154/92 ha introdotto il divieto di rinvio agli usi per la determinazione del saggio di interesse, occorre affrontare il problema della validità di tale tipo di clausole apposte a contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della legge 154/92, atteso che il contratto di conto corrente oggetto del presente giudizio, già in corso alla data di entrata in vigore della precitata legge, per ammissione delle stesse parti prevedeva il rinvio agli
usi su piazza. In proposito va osservato che la giurisprudenza sì è da tempo orientata nel senso di ritenere che tali clausole sono nulle per contrasto con la previsione di cui all’art. 1346 c.c. poiché, riferendosi genericamente agli interessi usualmente praticati su piazza, non distinguono fra le varie categorie di essi e dunque non consentono di stabilire a quale previsione le parti abbiano in concreto inteso riferirsi (Cass. 1-2-2002 n. 1287; Cass. 18-4-2001 n. 5675; Cass. 19-7-2000 n. 9465; Cass. 8-5-1998 n. 4696; Cass. 23-6-1998 n. 6247; Cass. 9-12-1997 n. 12456; Cass. 10-11-1997 n. 11042; Cass. 29-11-1996 ti. 10657). In ogni caso le clausole del tipo in esame stipulate anteriormente all’entrata in vigore della legge 154/92 sono divenute inoperanti a partire dal 9/7/92, data di acquisto dell’efficacia della legge stessa, atteso che l’art. 4 della citata legge, poi trasfuso nell’art. 117 del d. Lgs. 385/93, laddove sancisce la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse, se non incide, in base ai principi regolanti la successione delle leggi nel tempo, sulla validità delle clausole contrattuali inserite in contratti già conclusi, impedisce tuttavia che esse possano produrre per l’avvenire ulteriori effetti nei rapporti ancora in corso poiché l’innovazione normativa impinge sulle stesse caratteristiche del sinallagma contrattuale, generatore di conseguenze obbligatorie protraentesi nel tempo (cfr. Cass. S.U. 4-11-2004 n. 21095; Cass. 18-9-2003 n. 13739; Cass. 20-8-2003 n. 12222; Cass. 28-3-2002 n. 4490; Cass 2-5-2002 n. 6258).
Da ciò deriva che al contratto privato della clausola nulla si applicano gli interessi in misura legale e dunque: a) quella calcolata ex art. 1284 c.c. fino all’entrata in vigore della L. n. 154/92 (e quindi fino al 8-7-1 992); b) quella calcolata ex art. 5 L. n. 154/92 (e poi ex art. 117 L. n. :385/93) dopo l’entrata in vigore ditale legge (nel caso. di specie le norme applicabili
ratione temporis sono gli artt. 4 e 5 della legge 154/92 in considerazione della protrazione della loro efficacia operata dall’art. 165 del d. lgs. 385/93 atteso che la delibera del CICR, cui la disposizione fa riferimento, è stata adottata solamente il 4/3/03, con efficacia dall’1/1 0/03 e, pertanto, solo da quest’ultima data è entrato in vigore l’art. 117 t.u.L.b.); da quel momento infatti la misura legale degli interessi, per i contratti bancari, deve ritenersi quella prevista dalle citate norme stante la specialità di tali disposizioni rispetto alla disciplina generale
contenuta dell’art. 1284 c.c..
In conseguenza della ritenuta nullità della clausola contrattuale determinativa del tasso degli interessi trova applicazione il criterio sostitutivo previsto dall’art. 51. 154/92 (sostituito poi dall’art. 117 Vll co. lett. a del t.u.l.b. avente identico contenuto) e, quindi, il tasso nominale minimo dei B.O.T. annuali emessi nei dodici mesi precedenti ogni chiusura trimestrale del conto trattandosi di operazione attiva (tale dovendosi qualificare quella di erogazione del credito secondo l’elencazione contenuta nell’allegato richiamato dall’art. 2 della I. 154192 operante in virtù della disposizione di cui all’art. 161 co. II t.u.l.b.).
Va precisato che l’adeguamento del tasso ad ogni chiusura trimestrale del conto (in tal senso vedasi Trib. Roma 27-1-2003 in Giur. Merito, 2003,1,898; Trib. Monza 4-2-1999 in Foro lt. 1999,1,1340) si giustifica alla stregua della considerazione secondo cui la previsione contenuta nell’art. 5 L. 154/92 e poi nell’art. 117 t.u.l.b. si riferisce ad un contratto contemplante un’unica operazione e non invece a quello che dà luogo (come nell’ipotesi del conto corrente) ad un rapporto di durata caratterizzato da molteplici operazioni poste in essere nella continua variazione dei tassi di interesse a causa delle mutevoli condizioni del mercato (tanto che la facoltà di variazione dei tassi è prevista in via generalizzata e con modalità semplificate dagli art. 6 I. 154/92 e 117 co. V t.u.l.b.), dovendosi inoltre tenere conto del fatto che la finalità sanzionatoria (per la banca) che sta alla base delle predette disposizioni, verrebbe ad essere frustrata in caso di difformità per eccesso fra il tasso calcolato in relazione al rendimento dei B.O.T. emessi nell’anno antecedente alla stipula del contratto e quello in concreto. applicato dall’istituto di credito durante il corso del rapporto (eventualità che si risolve in certezza ove si consideri la progressiva caduta, nel corso degli ultimi anni, dei tassi di interesse, fenomeno che ha indotto il legislatore a intervenire in materia di mutui bancari come si desume dal preambolo al dl. 29-12-2000 n. 394): d’altro canto la finalità perseguita dal legislatore con gli artt. 5 L. n. 154/92 e l’art. 117 t.u.l.b. è stata proprio quella di ancorare il tasso sostituivo degli interessi ad un altro in qualche modo legato all’andamento del mercato dei tassi.
Il
riferimento temporale al trimestre trova poi la propria ragione nella previsione contrattuale di tale termine (v. art. 7) per la chiusura periodica del conto e la determinazione del saldo.
In realtà occorre considerare con Cass., sez. III, 25-03-2003, n. 4380. che I criteri fissati dalla L. 7 marzo 1996 n. 108 per la determinazione del carattere usurario degli interessi non trovano applicazione con riguardo alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della stessa legge, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 1, 1° comma, di. 29 dicembre 2000 n. 394 (conv., con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2001 n. 24), norma riconosciuta non in contrasto con la costituzione con sentenza n. 29 del 2002 della Corte Costituzionale.
In ordine alla questione della capitalizzazione degli interessi merita condivisione l’orientamento da tempo espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la clausola di un contratto bancario che preveda la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente è invalida in quanto basata su di un uso negoziale e non su un uso normativo (difettando il requisito soggettivo dell’opinio iuris che non può formarsi in capo ad una sola parte dei consociati e cioè dei banchieri) come invece esige l’art. 1283 C.C: - nullo in quanto anteriore alla scadenza degli interessi (cfr. Cass. S.U. 4-11-2004 n. 21095; Cass. 18-9-2003 n. 13739; Cass. 20-8- 2003 n. 12222; Cass. 20-2-2003 n. 2593; Cass. 13-6-2002 n. 8442; Cass. 28-3-2002 n. 4498; Cass. 28-3-2002 n. 4490; Cass. 1-2-2002 n. 1281; Cass. 4-5-2001 n. 6263; Cass. 11-11-1999 n. 12507; Cass. 30-3-1999 n. 3096; Cass. 16-3-1999 n. 2374), indirizzo già da tempo seguito da questo Tribunale. Affermata la nullità della clausola regolante la capitalizzazione trimestrale ne deriva che non vi è possibilità di inserzione automatica di clausole prevedenti capitalizzazioni di diversa periodicità in quanto l’anatocismo è permesso dalla legge ma soltanto a determinate condizioni e, in mancanza di valida pattuizione fra le parti, esso rimane non pattuito fra le medesime (in tali termini vedasi App. Milano 4-4-2003 n. 1142; App. Torino 21-1- 2002 n. 64 in; Trib. Brindisi 13-5-2002 in Foro lt.,2002,l,1887; cfr. anche Cass. S.U. 17-7-2001 n. 9653 in motivazione): in proposito va specificato che non può farsi applicazione né dell’art. 1284 c.c. che prevede l’anno solo come elemento per la determinazione della misura del saggio degli interessi legali e, dunque, per tutt’altra finalità, senza incidere sulla capitalizzazione degli interessi né dell’art. 1831 c.c. in quanto non richiamato dall’art. 1857 c.c. laddove il mancato richiamo costituisce una consapevole scelta del legislatore effettuata in considerazione della diversa struttura del contratto di conto corrente ordinario rispetto a quella delle operazioni bancarie in conto corrente. Con riguardo alla commissione di massimo scoperto, la stessa non può essere riconosciuta in assenza di esplicita convenzione, come si desume dalla CTU espletata dalla dott.ssa Elisabetta Trande, che è completa e soddisfacente in riferimento a tutti i quesiti sottoposti.
Peraltro dalla produzione del contratto di conto corrente, datato 13 ottobre 1992, risulta evidente, come rilevato anche nella CTU, che contrattualmente non è stato specificatamente fissato un tasso di interesse ultralegale, non è menzionata una “commissione di massimo scoperto trimestrale”, non sono previste e regolate delle valute fittizie (ad es. 1, 3, 5, o 10giorni di valuta fittizia antergata per le operazioni di utilizzo e postergate per quelle di deposito), non sono regolate e previste delle spese forfettarie. Alla luce di quanto sino ad ora affermato appare evidente che alla banca spetti soltanto la restituzione del capitale oltre all’interesse legale con valuta effettiva (ovvero giorno dell’operazione), senza cms, senza anatocismo, senza spese.Il consulente ha accertato che al 6.10.1999 (data in cui è stato effettuato il versamento il versamento di Lire 60.24.772 a saldo del c.t.u. che è stata concordata tra le parti quale data di chiusura del rapporto di conto corrente) il credito vantato da parte attrice in relazione alla ipotesi sub 3) della relazione (Capitalizzazione semplice con applicazione degli interessi legali e tasso BOT) era pari a Lire 45.051500, pari ad euro 23.248,57. A tale somma vanno aggiunti gli interessi semplici ulteriormente maturati dal 6.10.1999 al soddisfo.
Le pretese risarcitorie formulate dagli attori, derivante dalla presunta illegittima segnalazione presso la
Centrale dei Rischi, sono risultate
parimenti sfornite di adeguato conforto probatorio; non vi è prova in atti dell’avvenuta segnalazione del nominativo degli attori presso la Centrale dei Rischi della Banca d’Italia nella categoria delle “sofferenze”. Né vi è prova dei lamentati danni.
La domanda va dunque accolta per quanto di ragione.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con atto notificato in data 29.07.1999 da XXXXXXXXX GIULIO VANNIO E XXXXX LUISA, nei confronti della UNICREDIT BANCA S.p.A., già Credito Italiano S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché sulla riunita causa di opposizione a decreto ingiuntivo n. 2390199 R.G. proposta dagli stessi XXXXXXXXX e XXXXX, con atto notificato il 20.09.1999, nei confronti della stessa banca, ogni altra domanda rigettata, così provvede:
> Accoglie per quanto di ragione le domande proposte dagli attori e dichiara la nullità parziale del contratto stipulato il 30.10.1992 tra XXXXXXXXX Giulio Vannio e la Banca Credito Italiano (oggi Unicredito Italiano) con riferimento alla determinazione degli interessi;
> per l’effetto dichiara illegittimo e revoca il decreto ingiuntivo opposto nella causa riunita;
> condanna la banca Unicredito Italiano S.p.A. a corrispondere in favore degli attori la somma di € 23.248,57 oltre agli interessi legali dal 6 ottobre 1999;
> condanna l’Istituto di Credito a pagare in favore degli attori le spese da questo sostenute per il presente giudizio che si liquidano in € 137 per spese, € 1050 per diritti ed € 2167 per onorario di Avvocato, oltre accessori di legge, se dovuti e spese di consulenza per intero.
Così deciso in Lecce in data 27.03.2007

Il Giudice
Dott. S. De Bartolomeis

Il Cancelliere
S. Maggio



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