Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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Pagina 2006 Lecce/Lecce

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2006

XXV


TRIBUNALE DI LECCE
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano

Il Tribunale di Lecce, prima sezione civile, in persona del Giudice Unico Dott. Oronzo De Pascalis, ha pronunziato la seguente

SENTENZA N. 2015/06


Nella causa civile iscritta al n. 277/2000 del ruolo generale

Tra


Mazzo Pasquale, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Tanza, mandato in atti

attore


Contro


MPS GESTIONE CREDITI BANCA S.p.A., con sede in Siena, in nome e per conto della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., rappresentata e difesa dall’avv. Antonio Rizzo, mandato in atti,

convenuta


All’udienza del 20 marzo 2006 le parti precisavano le conclusioni come da verbale di causa.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 3.2.2000 Pasquale Mazzo conveniva dinanzi a questo Tribunale la Banca del Salento per sentir accogliere le seguenti conclusioni:
1) accertare e dichiarare l’invalidità a titolo di nullità parziale dei contratti di apertura di credito mediante affidamento con scopertura sui e/e nn. 579681 e 579682, oggetto del rapporto tra parte attrice e la Banca, particolarmente in relazione alle clausole di determinazione e di applicazione degli interessi ultralegali. della determinazione ed applicazione dell’interesse anatocistico con capitalizzazione trimestrale, all’applicazione della provvigione di massimo scoperto,all’applicazione degli interessi per c.d. giorni-valuta, dei costi, delle competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese;
2) accertare e dichiarare, per l’effetto, l’esatto dare-avere tra le parti in base ai risultati del ricalcalo che potrà essere effettuato in sede di C.T.U. tecnico-contabile e sulla base dell’intera documentazione relativa al rapporto di apertura di credito;
3) determinare il costo effèttivo annuo dell’indicato rapporto bancario;
4) condannare la convenuta Banca alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre agli interessi legali creditori in favore degli odierni istanti;
5) dichiarare l’invalidità di ogni altra obbligazione connessa all’impugnato rapporto bancario;
6) accertare e dichiarare la nullità e l’inefficacia, ex art. 1418 c.c. del contratto di mutuo ipotecario stipulato in data 26.3.1990 fra parte attrice e la banca, per i motivi esposti in narrativa;
7) accertare e dichiarare la nullità e l’inefficacia della clausola di determinazione del tasso ultralegale, in quanto contraria al combinato disposto della normativa di cui alla legge 7 marzo 1996 n. 108 con gli artt. 1339 e 1419 c.c. e per l’effetto, dichiarare la non debenza dell’illegittimo interesse;
8) subordinatamente, accertare e dichiarare l’annullamento del contratto ex art. 1427 e 1429 c.c. e/o per violazione della buona fede nella conclusione e nella esecuzione del contratto;
9) in ogni caso, condannare la Banca convenuta al risarcimento dei danni che si indicano in £ 60.000.000 salvo diversa somma da determinarsi in via equitativa;
10) condannare la Banca al risarcimento dei danni subiti dall’opponente a seguito della illegittima segnalazione alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia a motivo del rischio a sofferenza falsamente quantificato;
11) condannare la parte soccombente al pagamento delle spese e competenze di giudizio con distrazione al procuratore anticipataria”.

In particolare l’attore sosteneva:
-che la clausola contrattuale di determinazione degli interessi mediante rinvio al c.d. uso piazza era nulla perché non consentiva, per la sua genericità, di stabilire a quale previsione le parti avessero inteso concretamente riferirsi; per tale motivo al rapporto doveva essere applicato il tasso legale annuo, sia sui saldi attivi che passivi;
-che l’applicazione di interessi anatocistici era illegittima per inesistenza, tra l’altro, di un uso normativo che consentisse di pattuire convenzionalmente la capitalizzazione trimestrale di interessi non ancora scaduti e che, comunque, il saggio degli interessi anatocistici doveva essere peri a quello legale;
-che nulla doveva all’istituto di credito a titolo di Commissioni di massimo scoperto perché a tal riguardo nulla era stato contrattualmente pattuito;
-che la Banca del Salento, seppur per una consolidata prassi bancaria, aveva lucrato interessi, a seguito della “aggiunta o sottrazione di un certo numero dei c.d. giorni banca alla valuta effettiva”;
-che interessi ultralegali, provvigioni di massimo scoperto, giorni di valuta, capitalizzazione trimestrale, spese e commissioni costituivano un insieme di elementi di costo che, oltre ad essere illegittimi, erano complessivamente superiori a quelli di mercato;
-che la Banca aveva deciso di segnalare alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia la posizione di rischio di esso attore come posizione a sofferenza, nonostante la sua piena capacità di far fronte regolarmente al presunto debito con il proprio patrimonio;
-che il tasso praticato dalla Banca nel contratto di mutuo ipotecario era illegittimo perché superiore al tasso soglia.
La Banca convenuta, costituitasi, contestava ogni avversa pretesa e chiedeva il rigetto della domanda.
All’udienza del 24.4.2003 il processo era interrotto perché la Banca del Salento era stata incorporata dal Monte dei Peschi di Siena.
Dopo la riassunzione a cura dell’attore, si costituiva MPS Gestione Crediti, S.p.A., in nome e per conto della Banca Monte dei Peschi di Siena.
In corso di causa era disposta C.T.U.
Quindi, precisate le conclusioni, la causa era ritenuta per la decisione dopo il decorso dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I - Preliminarmente va rigettato il capo di domanda con il quale è stata chiesta la declaratoria di illegittimità del tasso praticato nel contratto di mutuo ipotecario, per asserito superamento del c.d. tasso soglia. La clausola di determinazione degli interessi relativi al mutuo non può essere colpita da nullità perché fu pattuita in data 26.3.1990, quando non era ancora funzionante il sistema dei tassi soglia. Infatti, i criteri fissati dalla legge 7 marzo 1996 n. 108 per la determinazione del carattere usurario degli interessi non trovano applicazione con riguardo alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della stessa legge, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 1, comma 1, d.l. 29 dicembre 2000 n. 394 (convertito con modificazioni nella legge 28 febbraio 2001 n. 24). Tale norma (riconosciuta non in contrasto con la Costituzione con sentenza n. 29/2002 della Corte Costituzionale) dispone, appunto, che il carattere usurano degli interessi deve essere valutato al momento della stipula contrattuale e non al momento del pagamento del singolo rateo.
II - Passando ad esaminare singolarmente le altre questioni secondo l’ordine seguito nell’atto di citazione, occorre in primo luogo soffermarsi sulla eccezione di nullità della clausola di determinazione dell’interesse ultralegale mediante riferimento al cd. “uso di piazza”. Infatti, i contratti di conto corrente inter partes, con riferimento al tasso di interesse, all’art 7 prevedevano: “Gli interessi dovuti dal correntista all’Azienda di credito, salvo patto diverso, si intendono determinati alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza e producono a loro volta interessi nella stessa misura”. Orbene, tale clausola va dichiarata nulla ai sensi dell’art. 4, comma 3, della legge 17.2.1992 n. 154 (norma poi confermata dall’art. 117 del successivo Decreto Legislativo 1.9. 1993 n. 385). Sul punto la giurisprudenza ò concorde nel ritenere che la convenzione relativa alla determinazione degli interessi è validamente stipulata, in ossequio al disposto di cui all’art. 1284, terzo comma, c.c., quando il relativo tasso risulti determinabile e controllabile in base a criteri in essa oggettivamente indicati e richiamati. Una clausola contenente un generico riferimento “alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza” può, pertanto, ritenersi univoca se coordinata alla esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi di cartello, ma non anche quando tali accordi contengono riferimenti a diverse tipologie di tassi e non consentono, per la loro genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso fare concreto riferimento (v. Cass. 10.11.1997 n. 11042; 8.5.1998 n. 4696; 19.7.2000 n. 9465; 2.12.2003 n. 14684). Nel caso in esame l’elemento estrinseco di riferimento non permette una sicura ed oggettiva determinazione della prestazione di interessi, al di fuori di valutazioni unilaterali e discrezionali da parte della banca stessa, vuoi perché non esiste alcuna pubblicazione ufficiale che certifichi le condizioni usuali, vuoi perché non esistono parametri univoci di riferimento sufficientemente certi in grado di sopperire all’assoluta carenza delle predette condizioni.
III - La seconda questione investe la clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi. Tale clausola, sulla base dell’indirizzo ormai consolidato della Corte di Cassazione (v., da ultimo, SS.UU. 4 novembre 2004 n. 21095), deve essere dichiarata nulla perché si fonda su di un uso negoziale e non su di un uso normativo; come tale non dà luogo al fenomeno dell’inserzione automatica nel contratto e non è suscettibile di derogare alle condizioni previste dall’art. 1283 c.c.
IV - Anche la contestazione circa l’obbligo di pagate la commissione di massimo scoperto va accolta. Tale voce di addebito, confluita sul conto del cliente, è nulla perché non è prevista dal contratto e, dunque, si sostanzia in un ulteriore e non pattuito aggravio di interessi corrispettivi rispetto a quelli convenzionalmente stabiliti per l’utilizzazione dell’apertura di credito. Per altro, essendo indeterminati i criteri di applicazione della Commissione di Massimo Scoperto, concorre un ulteriore profilo di invalidità, costituito dalla indeterminate dell’oggetto dell’obbligazione.
V - Nulla è anche la clausola dei c.d. giorni valuta per gli addebiti e gli accrediti, in quanto gli stessi, nel caso di specie, non risultano computati in relazione al giorno in cui è stata effettuata l’operazione bancaria. Sono stati infatti fittjziamente allungati i giorni solari del prestito e sono stati, al contrario, decurtati i giorni del deposito di denaro da parte del cliente.
VI – La mancata tempestiva contestazione dell’estratto conto non ha reso inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti e non ha implicato, per il Mazzo, decadenza dal diritto di contestare il fondamento giuridico del titolo di debenza L’incontestabilità delle risultanze del conto in conseguenza dell’approvazione tacita dello stesso, a norma dell’art. 1832 c.c., si riferisce agli addebiti ed agli accrediti considerati nella loro consistenza pecuniaria, ma non estende la sua efficacia anche al titolo giuridico in base al quale le annotazioni stesse sono effettuate. Va altresì considerato che l’approvazione (o la mancata impugnazione) del conto non può comportare che il debito resti definitivamente incontestabile, anche quando esso risulti fondato su di un negozio o su di una clausola invalida o inefficace. Nella specie l’attore ha fatto valere la nullità delle clausole relative alla determinazione complessiva degli interessi, così allegando ragioni che attengono al titolo, sicché non vi è motivo per ritenere preclusa l’impugnazione.
VII - Sulla base di quanto sin qui esposto e tenuto conto della nullità delle clausole innanzi richiamate (quelle relative alla determinazione degli interessi mediante rinvio all’uso piazza, alla capitalizzazione trimestrale degli interessi; alla Commissione di Massimo Scoperto; ai giorni valuta), al rapporto in esame ( sorto in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 154/92) vanno applicati, in sostituzione, il tasso legale (ex art. 1284, ultimo comma, c.c.), il regime di capitalizzazione annuale ed il regolamento delle valute alla data in cui sono stati effettuati i versamenti ed i prelevamenti dei correlativi importi. La consulenza tecnica d’ufficio del prof. Amedeo MAIZZA ha correttamente determinato l’effettivo dare-avere tra le parti, ricalcolando gli interessi al tasso legale e depurando il conto da tutti gli oneri non espressamente pattuiti. E’ risultato un saldo creditore per il cliente di € 4.328,34, per il c.c. n. 576981, e di € 21.096,47, per il c.c. n. 576982. Il Mazzo è, dunque risultato creditore della Banca della somma complessiva di € 25.424,81.
VIII - Le risultanze dell’istruttoria — e segnatamente i dati acquisiti attraverso la C.T.U. - hanno dimostrato che il Mazza non versava in una situazione equiparabile all’insolvenza e, quindi, non ricorrevano circostanze tali da giustificare la segnalazione alla Centrale Rischi. Ciò nonostante, la domanda risarcitoria non può essere accolta. Dagli atti processuali non è emersa alcuna idonea prova né della sopravvenuta difficoltà del ricorso al credito né, più in generale, di una vicenda di discredito personale dell’attore nel circuito bancario, quali conseguenze della indebita segnalazione alla Centrale Rischi. L’attore non ha neppure allegato concrete vicende di pregiudizio patrimoniale. In tale contesto non pare quindi possibile al giudicante procedere ad una liquidazione equitativa del danno, mancando qualsiasi parametro specifico per tale apprezzamento. Invero, la liquidazione equitativa del danno, ai sensi dell’art. 1226 c.c., presuppone che il pregiudizio economico del quale la parte reclama il risarcimento, sia certo nella sua esistenza ontologica, mentre se tale certezza non sussiste, il giudice non può procedere alla quantificazione del danno in via equitativa. non sottraendosi tale ipotesi all’applicazione del principio dell’onere della prova quale regola del giudizio, secondo il quale se l’attore non ha fornito la prova del suo diritto la sua domanda deve essere rigettata (cfr., ex plurimis, Cass. 30 maggio 2002 n. 7896).
IX - Tenuto conto dell’esito complessivo della controversia, si ritiene di dichiarare compensato un terzo delle spese processuali e condannare la società convenuta al pagamento dei restanti due terzi, secondo la liquidazione fatta in dispositivo, con distrazione a favore dell’avv. Antonio TANZA, anticipatario.

P.Q.M.

Il Tribunale di Lecce, pronunziando sulla domanda proposta da Pasquale Mazzo con atto notificato il 3.2.2000 nei confronti della Banca del Salento e sul successivo ricorso in riassunzione depositato il 18.9.2003, così provvede:
1) accoglie per quanto di ragione la domanda e, per l’effetto, condanna MPS Gestione Crediti Banca S.p.A, con sede in Siena, nella sua qualità, al pagamento a favore di Pasquale Mazzo della somma di € 25.424,81, oltre interessi legali dal 27 marzo 1998 fino al soddisfo;
2) rigetta il capo di domanda relativo alla declaratoria di nullità del mutuo ipotecario nonché la domanda risarcitoria connessa alla segnalazione alla Centrale Rischi,
3) condanna la società convenuta al pagamento a favore dell’attore di due terzi delle spese processuali, liquidate, per l’intero, in euro 6.031,13, di cui euro 723,00 per diritti, euro 4.638,00 per onorario ed euro 670,13 per spese, oltre spese esenti, LV.A. e C.A.P.; dichiara compensato il restante terzo.
Così deciso in Lecce, il 18 luglio 2006.

GIUDICE UNICO
Dott. Oronzo De Pascalis


Depositata in Cancelleria il 21 novembre 2006
Il Cancelliere
Dott. Fabrizio Petrelli

XXVI

TRIBUNALE Dl LECCE
Seconda sezione civile.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale di Lecce in persona del G.U. Dr.ssa Grazia Errede ha pronunciato la seguente

SENTENZA N. 2043/06



Nella causa iscritta al n.1805/98 RG. promossa

Da


TUTT’AUTO 90 S.A.S. di Oronzo Versienti & C. corrente in Campi Salentina, VERSIENTI ORONZO, VERSIENTI MARCELLO E QUARTA GIUSEPPA, tutti elettivamente domiciliati in Lecce presso lo studio dell’Avv. Antonio Tanza che lo rappresenta e difende giusta procura in atti

-Attori e convenuti in riconvenzionale –


Contro

BANCA CARIME S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t, elettivamente domiciliata in Lecce presso Io studio dell’Avv. Vito Albione, rappresentata e difesa dall’Avv. Giorgio Costantino giusta procura in atti

- Convenuta e attrice in riconvenzionale -


All’udienza all’uopo fissata i procuratori di entrambe le parti precisavano le proprie conclusioni riportandosi ai rispettivi scritti difensivi e chiedendo l’integrale accoglimento delle richieste in essi formulate.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 20.7.1997 gli attori esponevano che la TUTT’AUTO 90 S.A.S. di Oronzo Versienti & C. aveva intrattenuto dal 9.5.1991 con la Banca convenuta un rapporto bancario di apertura di credito con affidamento su conto corrente ordinario n. 018010107443 (ovvero 101001074) e castelletto commerciale, garantito da fideiussione di Versienti Marcello, Oronzo e Quarta Giuseppa prestata il 20.6.1991. Deducevano che in data 29 1.1996 la banca aveva richiesto il rientro della somma di lire 47.090.411.
Assumevano inoltre che Versienti Marcello dal 15.11.1990 aveva a sua volta intrattenuto con lo stesso Istituto di credito un rapporto bancario consistente in apertura di credito con affidamento mediante scopertura sul conto corrente n.018010103908 (ovvero 10101039/2) e castelletto commerciale, garantito da fideiussione prestata da Versienti Oronzo e Quarta Giuseppa in data 7.1.1991. Deducevano quindi che in data 29.1.1996 la Banca aveva richiesto il rientro della somma di lire 13.648.514.
Contestavano quindi la misura di entrambi i crediti della banca deducendo: 1) nullità della clausola relativa all’applicazione degli interessi ‘uso piazza’ per indeterminatezza e indeterminabiità; 2) nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi non ricorrendo alcun uso normativo; 3) indebita applicazione della capitalizzazione sulla commissione di massimo scoperto per inesistenza di accordo contrattuale a riguardo; 4) erronea determinazione, a svantaggio dell’attore, dei giorni di valuta; 5) inesattezza del tasso effettivo globale applicato. Chiedeva pertanto dichiararsi la nullità parziale del contratto di apertura di credito e rideterminarsi l’esatto dare-avere tra le parti contrattuali, condannando , nell’ipotesi di indebito pagamento di somme da parte attrice, la banca alla restituzione delle somme eventualmente riscosse oltre interessi legali dalla data della riscossione, con vittoria di spese e distrazione a favore del procuratore antistatario.
Costituendosi in giudizio la Banca convenuta contestava integralmente le avverse richieste ed argomentazioni. Deduceva in particolare che nel corso delle trattative volte al ripianamento dilazionato dell’esposizione debitoria gli attori, ciascuno in relazione al rispettivo rapporto bancario, avevano espressamente riconosciuto il proprio debito nei confronti della Banca, impegnandosi ad estinguerlo nei termini e nei modi richiesti dall’istituto di credito senza tuttavia dare seguito a tale impegno tanto che con comunicazione in data 6.8.98 essa deducente aveva revocato tutti gli affidamenti concessi alla TUTT’AUTO 90 s.a.a chiedendo la restituzione della somma di lire 37.034.799.
Affermava pertanto la natura confessoria delle citate dichiarazioni provenienti dagli attori, ed inoltre l’esistenza di un accordo scritto sugli interessi che rinviava per la rispettiva determinazione a quelli usualmente praticati dalle aziende di credito, e che tale accordo doveva ritenersi valido e legittimo anche in considerazione della mancata contestazione nei termini degli estratti conto portanti —tra l’altro- gli interessi computati dalla Banca. Assumeva altresì essere parimenti legittima la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi sul rilievo che, nella pratica bancaria, ricorresse quell’ ‘uso contrario’ che, giusto il disposto dell’art. 1283 c.c., consentiva il ricorso all’anatocismo, come pure asseriva la legittimità dell’applicazione della commissione di massimo scoperto e l’infondatezza delle questioni riguardanti la valuta. Concludeva chiedendo il rigetto della domanda attrice e spiegando domanda riconvenzionale per il pagamento della somma riveniente dal saldo passivo del c/c n. 01810107443 pari a lire 37.034.799 oltre interessi al tasso convenzionale.
Istruito il giudizio con la produzione documentale delle parti e consulenza tecnica contabile d’ufficio, all’udienza del 27.4.2006 la causa veniva trattenuta in decisione con termini di legge per deposito e scambio di conclusionali e repliche.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Risulta dall’incarto processuale che in data 9.5.1991 la TUTT’AUTO s.a.s di Oronzo Versienti & C. stipulava con la Banca convenuta un contratto di conto corrente di corrispondenza al cui art. 7, co. 3, non veniva prevista né la indicazione in cifre del tasso d’interesse né la indicazione della commissione di massimo scoperto, rinviandosi sul punto alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza.. Del pari, nello stesso articolo (co.2) si prevedeva la produzione degli interessi sugli interessi in via trimestrale con la capitalim2ione degli stessi e delle competenze.
Risulta parimenti che identico rapporto contrattuale era stato stipulato, facendo ricorso alla medesima modulistica predisposta dalla Banca, in data 15.11.1990 tra Versienti Marcello e l’Istituto di credito convenuto.
Preliminarmente, deve essere disattesa l’argomentazione, sostenuta dalla banca convenuta, circa la valenza confessoria delle comunicazioni del 21.2.96 e del 14.5.96 con le quali gli attori riconoscevano la rispettiva esposizione debitoria nei confronti della Banca relativamente ad entrambi i e/e dedotti in giudizio, in particolare riconoscendo sia la fonte negoziale del diritto, sia ‘la veridicità e la corrispondenza alle reciproche risultanze delle scritture contabili’, sia che ‘gli incrementi per addebito di interessi, competenze e commissioni sono stati tutti controllati’ espressamente approvando ed accettando ‘le singole operazioni anche per modalità e tassi approvati’. Premesso infatti che entrambe le comunicazioni facevano seguito alla proposta di rientro dilazionata del debito formulata dall’istituto di credito convenuto con comunicazione del 29.1.1996, ritiene il giudicante che nel caso in esame difettasse l’animus confitendi trattandosi di dichiarazioni fatte in un contesto finalizzato a definire in modo transattivo le reciproche posizioni tra le parti. A ben vedere, pare viceversa ricorrere nella fattispecie una ipotesi tipica di ricognizione di debito avente quale unico effetto la relevatio ab onere probandi, per la quale il destinatario della promessa è dispensato dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale dalla cui esistenza o validità non può tuttavia prescindersi, con il conseguente venire meno di ogni effetto vincolante della promessa stessa ove rimanga giudizialmente provato che il rapporto fondamentale non è mai sorto o è invalido. Ed allora, con riferimento alle censure mosse ai contratti bancari dagli attori in via principale valgano le considerazioni che seguono.
Quanto alla validità della clausola relativa agli interessi cd. ‘uso piazza’ di cui all’art. 7 del regolamento contrattuale, vale la pena di ricordare il noto ed oramai consolidato orientamento nomofilattico —da cui non sì ha motivo di discostarsi- secondo il quale ‘La convenzione relativa alla determinazione degli interessi è validamente stipulata in ossequio al disposto di cui all’art.1284 co.3 c.c., quando il relativo tasso risulti determinabile e conirollabile in base a criteri in essa oggettivamente indico.ti e richiamati. Una clausola contenente un generico riferimento alle condizioni usualmente praticate dalle ‘aziende di credito sulla piazza’ può pertanto ritenersi univoco se coordinata alla esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi di cartello, ma non anche quando tali accordi contengano r!ferimenti a diverse tipologie di tassi e non consentano, per la loro genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso fare concreto riferimento. Nel caso di rinvii agli usi di piazza, pertanto, è necessario accertare, con riferimento al singolo rapporto dedotto, secondo la disciplina del tempo, se l’elemento estrinseco di riferimento permetta una sicura determinabilità della prestazione di interessi, pur nella variabilità dei tassi nel tempo, senza successive valutazioni discrezionali da parte della banca’ (Cass. sent. 4696 dell’8.5.98; conf. Cass. sent. 6247 del 23.6.98). Tale essendo il paradigma ermeneutico di riferimento, nel caso di specie si osserva che la banca convenuta non ha fornito prova a riguardo della certezza della misura del tasso, non preoccupandosi di offrire una reale spiegazione in ordine alla loro modalità di formazione e rilevamento. Ne consegue che uno degli elementi fondamentali (il tasso convenzionale di interesse sui conti debitori) nella determinazione del saldo finale indicato dalla banca viene sostanzialmente a mancare per indeterminatezza dell’oggetto e conseguente nullità della clausola contrattuale (arti 1418-1346 c.c.). Inoltre, premesso che i contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della legge n. 154 del 1992 — quali quelli dedotto in giudizio- sono interessati dalla nuova disciplina solo a partire dalla data di entrata in vigore della stessa, con riferimento alla clausola contrattuale in esame (quella relativa alla determinazione degli interessi ‘uso piazza’) troverà applicazione il disposto dell’art. 1284, co.3 c.c., con decorrenza dall’inizio del rapporto e sino alla data in cui è entrata in vigore la nuova disciplina. Successivamente a tale data le clausole nulle vanno sostituite sulla base dei criteri stabiliti dalla legge n. 145/92 prima e dal T.U. 385 del 1993 dopo.
In particolare, sebbene l’art. 117 T.U. faccia riferimento ai tassi dei buoni del tesoro emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto, la norma va necessariamente applicata in riferimento ai tassi dell’anno precedente la entrata in vigore della legge, non rispondendo alla ratio della nuova disciplina il rinvio al tasso praticato al momento della stipula di un contratto, poiché verosimilmente risalente nel tempo.
Con riferimento all’anatocismo, devesi rilevare anche d’ufficio la nullità della relativa clausola di previsione inserita all’art.7 dei contratti bancari in atti, risultando ormai pacifico il principio di diritto secondo il quale ‘La clausola di un contratto bancario che preveda la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente deve reputarsi nulla in quanto basata su un uso negoziale (ex art. 1340 c.c.) e non su un uso normativo (ex artt. 1 e 8 delle pre-leggi al c.c.) come esige l’art. 1283 c.c., laddove prevede che l’anatocismo non possa ammettersi (salve le ipotesi della domanda giudiziale e della convenzione successiva alla scadenza degli interessi) in mancanza di usi contrari’. L’inserimento della clausola nel contratto, in conformità alle cosiddette norme bancarie uniformi predisposte dall’ABI non esclude la suddetta nullità, poiché a tali norme deve riconoscersi soltanto il carattere di usi negoziali, non quello di usi normativi (Cass. sent.12507 dell’i 1.11.99).
Com’è noto la Cassazione, mutando il precedente indirizzo, ha escluso l’esistenza di un uso normativo in deroga al divieto di anatocismo di cui all’art. 1283 c.c.: ‘La previsione contrattuale della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basata su un uso negoziale e non su una vera e propria norma consuetudinaria è nulla, in quanto anteriore alla scadenza degli interessi’ (Cass. sent. 2374 del 16.3.99). Peraltro, poco dopo l’affermazione di tale principio lo stesso legislatore è intervenuto introducendo, con l’art. 25 del D.lgs. n. 342/99, al primo comma dell’art. 120 TU due nuove disposizioni. Con la prima (che ha introdotto il comma 2 dell’art. 120) ha attribuito al CICR il potere di stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria (con delibera del 9.2.2000 il CICR ha provveduto all’incombente riconoscendo la possibilità di capitalizzazione degli interessi creditori e debitori simmetrici).
Con la seconda, che ha introdotto il comma 3 dell’art. 120 TU, ha stabilito che ‘Le clausole relative alla produzione di interessi su interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2A, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera che stabilia” altresì le modalità ed i tempi dell’adeguamento. in difetto di adeguamento le clausola divengono inefficaci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente’. Su tale ultima previsione è tuttavia intervenuta la Corte Costituzionale con la pronuncia n. 425del 2000, dichiarandone la incostituzionalità nella parte in cui stabiliva la validità ed efficacia delle clausole relative alla capitalizzazione degli interessi passivi contenute nei contratti anteriori al D.lgs 432/99 e fino all’entrata in vigore della delibera CICR (22.4.00) che ha stabilito le modalità ed i criteri per la produzione di interessi su interessi. Di recente, le Sezioni Unite della Suprema Corte con la nota pronuncia n. 21095 del 7 ottobre-4 novembre 2004 hanno definitivamente escluso la possibilità di formazione di un uso negoziale che possa derogare al divieto di anatocismo. La clausola di applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi risulta affetta da nullità siccome non supportata da usi normativi ed inidonea a derogare la disposizione imperativa di cui all’art. 1283 c.c. Non può ritenersi vigente nel nostro ordinamento un uso normativo che autorizzi gli istituti di credito a procedere alla capitalizzazione trimestrale, poiché un uso di tal portata non risulta essere stato esistente nel nostro ordinamento in epoca anteriore o coeva al 1942, ed inoltre le norme bancarie uniformi emesse dall’ABI non sono fonti di produzione del diritto ma solamente schemi contrattuali uniformi che l’associazione delle imprese di credito propone ai suoi associati. Di fronte alla pratica generalizzata degli istituti di credito di inserire nei contratti bancari (peraltro stipulati con moduli prestampati predisposti dalle banche) la capitalizzazione trimestrale degli interessi, l’atteggiamento mentale dei clienti non è quello di accettazione di una pattuizione ritenuta conforme ad un precetto giuridico, ma piuttosto quella di una sorta di adesione necessaria (secondo la regola del prendere o lasciare) ad una clausola imposta dal contraente più forte.
Né tali condizioni possono essere contrastate dal rilievo della mancata contestazione -da parte del cliente-debitore- degli estratti di conto corrente inviati poiché detta contestazione afferisce al profilo contabile degli addebiti e degli accrediti, ma non si estende alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano, né l’approvazione o la mancata impugnazione del conto comportano che il debito fondato su un negozio nullo, annullabile o inefficace resti definitivamente incontestabile (cfr. Cass. sent.10186 del 26.7.200 1).
Come rilevato in giurisprudenza, inoltre, l’uso normativo postula la contestuale ricorrenza dì due requisiti, rispettivamente di carattere oggettivo e soggettivo consistenti nella uniforme e costante ripetizione di una determinata condotta accompagnata dalla consapevolezza di osservare una norma giuridica, sicchè l’uso -come la norma- deve possedere i requisiti della generalità e dell’astrattezza. In tale contesto, poco rileva che la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente alla banca trovi generale riscontro nei loro rapporti, posto che l’applicazione della capitalizzazione stessa discende dalla previsione contenuta negli schemi contrattuali predisposti dalle banche in base a norme bancarie uniformi aventi natura patrizia: la prassi così instaurata si collega al modo di operare di uno dei soggetti del rapporto —la banca- cui il cliente non può di fatto sottrarsi. Tale ricostruzione porta ad escludere che l’osservanza della prassi sia accompagnata dalla convinzione di attuare una regola volta a disciplinare giuridicamente determinate situazioni: in sostanza, nell’ambito dei rapporti bancari il cliente stipula sulla base delle condizioni generali fissate dalla banca, ed il fatto stesso che si avverta la necessità di inserire la clausola anatocistica tra quelle condizioni ne valorizza la natura negoziale, non normativa.
L’esclusione dell’uso normativo comporta la declaratoria di nullità della clausola, in quanto questa imponendo una capitalizzazione trimestrale anteriore alla scadenza degli interessi si pone in contrasto con la norma inderogabile dell’art. 1283 c.c.
Una volta ritenuta la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi, reputa questo giudice di dover aderire —condividendosene appieno le argomentazioni- a quell’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale non è possibile sostituire l’anatocismo trimestrale con quello annuale, posto che, come correttamente osservato ‘Atteso che la contrarietà a norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. involge l’intero contenuto della clausola (e non solo quindi la parte di essa relativa alla periodicità della capitalizzazione), è la pattuizione in contratto dell’anatocismo ad essere nulla, onde secondo i principi generali trattasi di contratto nullo ab origine privo di qualsiasi pattuizione di capitalizzazione trimestrale come annuale come di diversa periodicità Non vi è possibilità di sostituzione legale o di inserzione automatica di clausole prevedenti capitalizzazioni di diversa periodicità in quanto l’anatocismo è consentito dal sistema soltanto in presenza di determinate condizioni, in mancanza delle quali esso rimane giuridicamente non pattuito tra le parti.’ ( Trib. Pescara 3.6.2005, giudice dr.Falco; Trib. Mantova 21.1.2005, giudice dr. Bernardi ).
Quanto alle commissioni di massimo scoperto, dall’esame del contratto non risulta prevista alcuna pattuizione a riguardo, sicchè nulla è dovuto per il relativo titolo trattandosi peraltro di una voce di addebito nulla per mancanza di causa poiché sostanziantesi in un ulteriore e non pattuito aggravio di interessi corrispettivi rispetto a quelli convenzionalmente pattuiti per l’utilizzazione dell’apertura di credito (sul punto cfr. Trib. Lecce, 11.5.2005, Pensa c/ MPS GCB s.pa.).
Alla luce di quanto precede, tenuto conto della nullità della clausola ‘uso piazza’, di quella anatocistica, escluso l’ammontare delle commissioni di massimo scoperto, occorre prendere in considerazione il conteggio che determina l’ammontare del debito sulla base della sorte capitale e degli interessi calcolati in regime di saggio legale tempo per tempo vigente dell’interesse debitore, sicchè alla stregua dell’indagine demandata al CTU - improntata ai corretti parametri della disciplina contabile- per quel che concerne il rapporto bancario tra la TUTT’AUTO 90 s.a.s e la banca convenuta (dc n. 0107443) si perviene ad un credito in favore della banca —per il quale vi è domanda riconvenzionale di lire 9.416.435 (pari ad euro 4.863,18). Per quel che concerne il rapporto bancario tra facente capo a Versienti Marcello (c/c n. 0103908) si perviene invece ad un saldo a credito del cliente alla chiusura del conto pari a lire 13.446.360 (pari ad euro 6.944,46). Sugli importi come innanzi determinati a favore dì ciascun creditore spettano altresì gli interessi semplici dalla data di chiusura dei conti al soddisfo.
Sussistono inoltre giusti motivi, avuto riguardo all’esito della causa, per dichiarare compensate tra le parti le spese di lite.

PQM

Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da TUTT’AUTO 90 s.a.s. di Oronzo VersientI & C, nonché Marcello Versienti, Oronzo Versienti e Giuseppa Quarta contro Banca CARIME s.p.a., nonché sulla domanda riconvenzionale proposta dalla Banca nei confronti degli attori cosi provvede:
1) dichiara la nullità parziale dei contratti stipulati in data 15.11.1990 e 9.5.1991 con riferimento alla determinazione degli interessi;
2) condanna la banca convenuta al corrispondere in favore di Versienti Marcello la somma di euro 6.944,46 oltre agli interessi legali dal dovuto al soddisfo;
3) condanna TUTT’AUTO 90 s.a.s. di Oronzo Versienti & C., Marcello e Oronzo Versienti e Quarta Giuseppa in solido al pagamento in favore della Banca della somma di euro 4863,18 oltre interessi legali dai dovuto al soddisfo.
Rigetta ogni altra domanda e dichiara compensate tra le parti le spese di lite.
Lecce, lì 13. ottobre 2006

Il GIUDICE UNICO.
Dr.ssa Grazia ERREDE

Depositato in cancelleria il 21 Novembre 2006
IL CANCELLIERE
Dott. Fabrizio PETRELLI


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