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Tribunale Lecce / Tribunale di Cosenza

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2015

TRIBUNALE di LECCE, Pres. II Sez. Civ., Dott. Giovanni ROMANO, SENT. N. 5237/2015 del 02.11.2015


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Lecce, Seconda Sezione Civile, in persona del G.U. Dott. Giovanni ROMANO ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. 3134/2010 del Ruolo Generale promossa
DA
S. s.r.l., in persona del l.r. p.t., sig. Rocco Serravezza, rappresentata e difesa dall'Avv. Antonio Tanza, mandato in atti;

-attrice-

CONTRO

UNICREDIT BANCA DI ROMA S.p.A., rappresentata e difesa dall'Avv. Nicole Petrucci, mandato in atti;

-convenuta-

All'udienza del 10.12.2014 i difensori delle parti precisavano le conclusioni come in atti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 3.6.2010, S. s.r.l. esponeva: che aveva intrattenuto, con Unicredit Banca di Roma S.p.A., (ex Rolo Banca 1473 s.p.a. -Agenzia di Lecce) un rapporto bancario di c/c con affidamento mediante scopertura, n. 1620 (c/c aperto il 7.7.1997, presso la Rolo Banca 1473 s.p.a. -Agenzia di Lecce); che non erano state pattuita le condizioni economiche del rapporto; che, successivamente, il conto aveva assunto il n. 927634 sempre presso l'Agenzia di Lecce Unicredit e, in seguito, presso l'Agenzia di Casarano e, da ultimo, il n. 000000927634 presso Unicredit Banca di Roma S.p.A.- Agenzia di Casarano; che, alla data del 30.06.2009, il c/c n. 000000927634 presentava un saldo debitore per il correntista di € 9.229,91; che, a detto conto, erano collegati il c/c n. 2437 e il c/c n. 1101312; che la S. aveva sempre contestato l'eccessivo lievitare delle pretese della banca e inutilmente chiesto una composizione bonaria; che, infatti, nella gestione dei rapporti, l'Istituto di credito aveva applicato l'illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi e la c.m.s., commissione che doveva ritenersi nulla sia perché priva di causa sia per indeterminatezza dei criteri di computo, nonché strumentalmente computato la decorrenza della valuta; che lo ius variandi era stato illegittimamente esercitato nella determinazione delle condizioni economiche del rapporto; che, inoltre, in violazione dell'art. 117 d. lgs. n. 385/1993, il contratto base non indicava le convenzioni di tasso ed i costi applicabili al rapporto.
Tanto premesso, chiedeva al Tribunale di dichiarare la nullità parziale del contratto di apertura di credito, in relazione alle clausole di determinazione e di applicazione degli interessi anatocistici, della c.m.s. , delle competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese e di accertare l'esatto ammontare del credito, con condanna della convenuta, Unicredit Banca di Roma S.p.A., alla restituzione delle somme indebitamente pretese ed illegittimamente addebitate e/o riscosse, con la condanna alla rifusione delle spese con distrazione al difensore anticipatario.
Instauratosi il contraddittorio, Unicredit Banca di Roma SPA. costituitasi in giudizio, eccepiva, preliminarmente, la prescrizione estintiva quinquennale ex art. 2948 n. 4 c.c. e, in subordine, la prescrizione estintiva ordinaria; opponeva, altresì, la soluti retentio, quanto alle somme corrisposte per il pagamento degli interessi capitalizzati trimestralmente; deduceva, inoltre, che al contratto di c/c n. 1620 era allegato il foglio informativo analitico con l'indicazione delle condizioni economiche del rapporto, sicché l'eccezione di nullità, anche sotto tale profilo, era priva di fondamento; che, in definitiva, la Banca aveva correttamente applicato le condizioni contrattuali e, quanto alla capitalizzazione degli interessi, chiedeva, in linea subordinata, disporsi l'applicazione della capitalizzazione annuale, concludendo in termini.
Nel corso dell'istruttoria è stata acquisita documentazione prodotta dalle parti ed è stata disposta ed espletata c.t.u. contabile.
All'udienza del 10.12.2014, sulle conclusioni precisate come in atti, la causa è stata trattenuta in decisione, previa concessione dei termini, ex art. 190 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La S. s.r.l. ha chiesto accettarsi l'illegittimità degli addebiti effettuati dall'Istituto di credito convenuto, nella gestione del rapporto di c/c originariamente distinto dal n. 1620 e, successivamente, dal n. 000000927634, a titolo di interessi anatocistici, per le commissioni di massimo scoperto imputate in assenza di previsione contrattuale, per l'applicazione di valute fittizie, per l'applicazione in maniera illegale di interessi ultralegali.
La domanda è fondata e, per quanto di ragione, merita accoglimento.
Per evidenti ragioni di ordine logico-giuridico va, in primo luogo, presa in esame l'eccezione di prescrizione.
Fino ad un recente passato, costituiva opinione diffusa che il momento iniziale del termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi su un'apertura di credito in conto corrente decorresse dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, sicché è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro. (Cass. sez. I 09-04-1984, n. 2262).
Com'è noto, le Sez. Un. Cass., con sentenza resa il 2 dicembre 2010, n. 24418, rivisitando la tradizionale impostazione, hanno affermato il principio secondo cui non può ipotizzarsi il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giuridico, definibile come pagamento, puntualizzando -altresì- come non sia concepibile attribuire tale significato alle rimesse aventi funzione di ripristino della provvista. Dunque, fin tanto che si rimanga entro il limite del fido, i versamenti non sono idonei a far scattare la prescrizione del diritto alla ripetizione prima della chiusura definitiva del conto; al contrario, per ogni pagamento, effettuato in costanza del rapporto ed avente funzione propriamente solutoria, il cliente dovrà attivarsi entro dieci anni a partire dal giorno del versamento.
Con sentenza 05 aprile 2012 n. 78, la Corte Costituzione ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (c.d. Milleproroghe), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10 (comma aggiunto dalla legge di conversione), il quale prevede che "In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione d'importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto".
Peraltro, l'eccezione di prescrizione, in quanto eccezione in senso stretto, deve fondarsi su fatti allegati dalla parte, quand'anche suscettibili di diversa qualificazione da parte del giudice.
Ne consegue che la parte, ove eccepisca la prescrizione, ha l'onere di allegare e provare il fatto che, permettendo l'esercizio del diritto, determina l'inizio della decorrenza del termine ai sensi dell'art. 2935 c.c. "restando escluso che il giudice possa accogliere l'eccezione sulla base di un fatto diverso, conosciuto attraverso un documento prodotto ad altri fini da diversa parte in causa" (Cass. n. 16326/2009).
Se è vero che elemento costitutivo dell'eccezione di prescrizione è l'inerzia del titolare del diritto, sicché, è sufficiente, ai fini della compiuta articolazione dell'eccezione, che venga dedotta detta inerzia e la volontà di profittare dell'effetto estintivo che deriva dal suo protrarsi (per il tempo determinato d'ufficio dal giudice in base alla legge), tuttavia è necessario che tale elemento costitutivo sia a sua volta specificato mediante l'indicazione del momento iniziale dell'inerzia. Tale principio rileva particolarmente nel caso in cui si discuta di prescrizione del diritto agli interessi, la cui caratteristica di maturare con il decorso dei tempo fa sì che il dato cronologico concorra ad individuare lo stesso oggetto del diritto, che si assume coperto dalla prescrizione (Cass. n. 21321/2005).
L'Istituto bancario, al fine di eccepire l'intervenuta prescrizione dell'azione di indebito, ha, dunque, l'onere di fornire elementi probatori diretti a dimostrare che il relativo versamento sia da considerare solutorio, circostanza che deve essere eccepita e provata dalla banca che intenda avvalersi di detta eccezione (cfr. Cass. Civ. 4519/2014; Cass. 3465/2013; Trib. Taranto, 28 giugno 2012; Trib. Campobasso, 22.04.2012; Trib. Novara, 1.10.2012).
La S.C. ha, altresì, escluso che in materia si sia in presenza di un overruling (Cass. 3.9.2013 n. 20172).
Orbene, nel caso in esame, la banca ha genericamente opposto la prescrizione estintiva quinquennale (pacificamente non operante nella fattispecie) e, quanto all'eccezione di prescrizione ordinaria; come si è già esposto, non ha allegato il diverso termine di decorrenza della prescrizione e, in particolare l'effettiva sussistenza di pagamenti per i quali sarebbe decorso il termine prescrizionale. L'eccezione di prescrizione va, quindi, disattesa
Riguardo alla clausola capitalizzazione trimestrale degli interessi, può ritenersi ormai ius receptum che le clausole dei contratti bancari che prevedano la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente devono considerarsi nulle per contrasto con l'art. 1283 c.c., il quale, nell'ammettere l'anatocismo soltanto dalla domanda giudiziale oppure per effetto di una convenzione posteriore alla scadenza degli interessi, o ancora in presenza di usi normativi, non consente di identificare questi ultimi con le norme bancarie uniformi predisposte dall'Associazione Bancaria Italiana, alle quali può essere riconosciuto soltanto il carattere di usi negoziali, in quanto prive del requisito soggettivo costituito dalla convinzione di prestare osservanza, attraverso il comportamento tenuto, ad una norma giuridica già esistente o che si ritiene debba far parte dell'ordinamento giuridico (c.d. opinio iuris ac necessitatis) (cfr. Cass., Sez. 1^, 11 novembre 1999, n. 12507; 16 marzo 1999, n. 2374; Cass., Sez. 3^, 30 marzo 1999, n. 3096). Tale principio, com'è noto, è stato ribadito anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 76 Cost., il D.Lgs.n. 342 del 1999, art. 25, comma 3, il quale aveva fatto salva, fino all'entrata in vigore della delibera CICR di cui al comma secondo del medesimo articolo, la validità e l'efficacia delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza: si è infatti chiarito che, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, tali clausole restano disciplinate dalla normativa anteriormente vigente, e si è escluso, in particolare, che il requisito soggettivo necessario per la configurabilità dell'uso normativo sia venuto meno soltanto per effetto del predetto orientamento giurisprudenziale, osservandosi che la funzione della giurisprudenza è, meramente ricognitiva dell'esistenza e del contenuto della regola, e non già creativa della stessa, con la conseguenza che, in presenza dell'affermazione di una regola rivelatasi poi inesistente, la ricognizione correttiva spiega efficacia retroattiva (cfr. Cass., Sez. Un., 4 novembre 2004, n. 21095; Cass., Sez. 1^, 19 maggio 2005, n. 10599; 25 febbraio 2005, n. 4093). E' stato altresì precisato che, in quanto fondate non già sull'esclusione dell'esistenza di una consuetudine consistente nel prevedere la capitalizzazione trimestrale degl'interessi debitori nei contratti bancari, ma sull'impossibilità di ravvisare un uso normativo idoneo a giustificare, nel medesimo settore, una deroga ai limiti posti all'anatocismo dall'art. 1283 cit., le ragioni di nullità individuate per le clausole di capitalizzazione non investono esclusivamente il profilo della periodizzazione trimestrale, ma si estendono alla pratica dell'anatocismo in sé e per sé considerata, indipendentemente dalla cadenza con cui la stessa venga applicata. Si è pertanto esclusa la possibilità di riconoscere la legittimità della capitalizzazione annuale, in luogo di quella trimestrale, affermandosi comunque che, prima ancora di difettare del carattere di normatività, un uso siffatto non è individuabile neppure nella realtà storica, o almeno in quella dell'ultimo cinquantennio anteriore agli interventi normativi degli ultimi anni del secolo scorso, caratterizzato dalla diffusione dell'illegittima pratica della capitalizzazione trimestrale, alla quale non si è mai però affiancata quella della capitalizzazione annuale degli interessi debitori, né una pratica che implicasse un bilanciamento con gl'interessi creditori (cfr. Cass., Sez. Un., 2 ottobre 2010, n. 24418; Cass., Sez, 3^, 14 marzo 2013, n. 6550 e, da ultimo, Cass. 29/09/2015 n. 19314).
Peraltro, la legittimità della pratica in questione non potrebbe essere desunta neppure dall'art. 1831 c.c., che, in tema di conto corrente ordinario, prevede la chiusura periodica del conto e la liquidazione del saldo, trattandosi di una disposizione non richiamata dall'art. 1857 c.c., tra quelle applicabili alle operazioni bancarie in conto corrente, e non suscettibile di estensione in via analogica, avuto riguardo alla diversità di struttura e funzione riscontrabile tra il contratto di conto corrente ordinario e quello di conto corrente bancario (cfr. Cass., Sez. 1^, 2 luglio 2014, n. 15135; 5 luglio 2007, n. 15218; 18 gennaio 2006, n. 870).
Inoltre, è appena il caso di osservare che l'approvazione del conto non impedisce l'ammissibilità di censure concernenti la validità e l'efficacia dei rapporti obbligatori dai quali esse derivano e, pertanto, che le singole registrazioni sono conseguenza di un negozio nullo, annullabile, inefficace, o comunque di una situazione illecita (così in motivazione Cass. n. 11626/2011), quale, in ipotesi, l'addebito sul conto dì somme non contemplate dal contratto e, pertanto, in difetto di consenso del correntista.
Le considerazioni innanzi espresse portano, altresì, al rigetto della eccezione di soluti retentio.
Invero, nella fattispecie, la corresponsione di interessi non dovuti non è avvenuta in esecuzione di un dovere morale o sociale, bensì, piuttosto, in ossequio al disposto di una specifica clausola contrattuale (da ritenersi, per quanto innanzi osservato, nulla in parte qua) e, quindi, in adempimento di una obbligazione giuridica, ancorché invalidamente assunta. La prestazione non può, pertanto, definirsi spontanea, considerato, altresì, che la banca opera direttamente sul conto corrente, senza alcuna possibilità, per il correntista, di manifestare una specifica contraria volontà al riguardo. Peraltro, il presupposto del pagamento spontaneo non è neppure ravvisabile quando la banca procede agli addebiti sul conto in difetto di una precisa regolamentazione contrattuale, trattandosi evidentemente di pretesa non rispondente al riconoscimento da parte del cliente di una prassi valida nei rapporti con la banca, né tantomeno del dovere morale di corresponsione delle relative poste debitorie
Passando ad esaminare le risultanze dell'indagine peritale, va rilevato che il CTU, in ossequio ai quesiti formulati anche in via alternativa, ha correttamente operato la c.d. "riclassificazione" del conto, espungendovi le commissioni non espressamente pattuite e/o pattuite senza la previsione in forma scritta degli indici di computo.
E', però, opportuno puntualizzare che la c.m.s. non può ritenersi nulla perché priva di causa; d'altronde, secondo una diffusa opinione, la c.m.s. rinviene la sua ragion d'essere proprio nella funzione di remunerazione spettante alla banca per la tenuta a disposizione di fondi a favore del correntista, indipendentemente dall'effettivo utilizzo del conto (cfr. Cass., 18.1.2006, n. 870).
Occorre, tuttavia, -si ribadisce- che la c.m.s. sia applicata sulla base di un titolo negoziale validamente formato e non già per unilaterale determinazione da parte dell'Istituto di credito
Resta da affrontare un'ultima questione.
Non essendo stato acquisito l'estratto conto integrale, il CTU, per operare la c.d. riclassificazione del conto, si è avvalso dello strumento tecnico del "raccordo fra saldi".
L'operazione in questione è stata censurata dal CTP dell'Istituto di credito convenuto, prof. Boscia. Tuttavia, il CTU, nelle sue deduzioni avverso le osservazioni mosse dal prof. Boscia, ha evidenziato i criteri cui si è attenuto, sottolineando -tra l'altro- che la Banca, pur avendo a disposizione gli estratti conto, non ha inteso produrli quanto ai pochi trimestri mancanti e ribadendo che, ad ogni modo, il raccordo è tecnicamente corretto, riguardando brevi periodi.
Oppone la difesa dell'attrice che l'onere di provare il credito incombe sul titolare del diritto e l'attore, che postula l'inesistenza del credito della banca convenuta, non è il titolare del diritto, di cui postula l'inesistenza.
Sennonché, va osservato che la S.C. ha avuto di recente occasione di approfondire la questione, giungendo a conclusione che "il principio applicabile è che chi esperisce una azione di accertamento negativo deve fornire la prova della fondatezza della propria domanda" (cfr. Cass. 07/05/2015 n. 9201).
Peraltro, S., oltre a chiedere l'accertamento effettivo del saldo, ha anche proposto azione di condanna della convenuta alla restituzione delle somme indebitamente percepite e, pacificamente, l'onere della prova nella causa avente ad oggetto il pagamento d'indebito, grava sull'attore.
Acquisito ciò, va tuttavia, osservato che S. non si è sottratta all'onere probatorio su di essa gravante e, sopperendo con lo strumento del raccordo dei saldi ai pochi trimestri per i quali non vi è lo scalare; il CTU ha potuto attendibilmente ricostruire il saldo dei vari conti
In definitiva, tenuto conto della nullità della clausola anatocistica e delle commissioni indebitamente applicate in assenza di valida pattuizione, rigettata l'eccezione di prescrizione, si ha che - come accertato dal CTU-, dalle cui conclusioni non v'è ragione di discostarsi, il saldo dei c/c -come da ipotesi n. 1 della c.t.u.- risulta:
quanto al conto a 1620, a + 14.840,48;
quanto al c/c n. 2437, a - 18.154,44;
quanto al c/c n. 1101312, a + € 6.921,67.
Operata la compensazione legale, Unicredit va, quindi, condannata alla restituzione in favore di S. della somma di € 3.616,71 (v. rel. CTU, pag. 4), oltre interessi legali dalla domanda.
Stante la sua prevalente soccombenza, Unicredit S.p.A. va condannata alla rifusione, in favore dell'attrice e con distrazione al suo difensore anticipatario, avv. Tanza, delle spese processuali, liquidate sulla base dei vigenti parametri come da dispositivo.
Le spese di c.t.u. vanno poste definitivamente a carico della convenuta.

P. Q. M.
IL TRIBUNALE,

definitivamente pronunciando, così dispone:
1. accoglie la domanda per quanto di ragione e, per l'effetto, accertato che il saldo dei c/c -come da ipotesi n. 1 della c.t.u.- risulta essere, quanto al conto n. 1620, + € 14.840,48; quanto al c/a n. 2437, - € 18.154,44; quanto al c/c n. 1101312, + € 6.921,67; rigettata l'eccezione di prescrizione, condanna la convenuta, Unicredit Banca di Roma S.p.A., al pagamento in favore di S. s.r.l. della somma di € 3.616,71 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo;
2. condanna la convenuta, alla rifusione, in favore dell'attore, con distrazione all'avv. Antonio Tanza, anticipatario, delle spese processuali che liquida in complessivi € 4.570,00 di cui € 370,00 per esborsi e € 4.200,00 per onorario, oltre spese forfetarie, iva e cap.
3. pone definitivamente a carico della banca convenuta le spese di c.t.u. come liquidate in corso di causa.
Lecce, 1° ottobre 2015

IL G.U.
Dott. Giovanni ROMANO
Depositata il 2 novembre 2015


Tribunale di Cosenza, dott. Gino Bloise, Sentenza n. 1774/2015 pubbl. il 04/11/2015 RG n. 5469/2009


Repubblica Italiana
In nome del Popolo Italiano
Tribunale Ordinario di Cosenza
Prima Sezione Civile

Il Giudice, dott. Gino Bloise, ha pronunciato la seguente

Sentenza n. 1774/2015

nella causa civile iscritta al n. 5469 R.G.A.C. dell'anno 2009,
promossa da:
XXX s.r.l. in Liquidazione, in persona dei liquidatori e legali rappresentanti pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Vittorio Gallucci ed Antonio Tanza ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Cosenza, piazza F. e L. Gullo n. 88, giusta procura in atti;

attrice

contro
Monte dei Paschi di Siena s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Maria Toscano ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Riccardo Manfredi, in Cosenza, via Adige n. 38, giusta procura in atti;

convenuta

avente ad oggetto: conto corrente bancario - clausole - nullità - ripetizione di indebito; conclusioni delle parti: come da verbale di udienza del 19 maggio 2015.

Motivi della decisione
In fatto

Con atto di citazione ritualmente notificato, la Jorio Farmaceutici s.r.l. in Liquidazione rappresentava di aver intrattenuto con MPS s.p.a., filiale di Castrolibero, l'apertura di credito in c/c n. 67697.84, sulla quale era confluito, tramite giroconto, il saldo passivo di altra precedente apercredito, e sulla quale venivano altresì contabilizzati altri rapporti di conto corrente; deduceva quindi di non essere in possesso del relativo contratto, probabilmente neppure mai sottoscritto, ed eccepiva, nell'ordine: l'illegittimità dello ius variandi esercitato dalla Banca in corso di contratto; la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi nonché di quelle che prevedevano una commissione di massimo scoperto, l'antergazione e la postergazione delle valute ed altri oneri, paventando altresì il probabile superamento, nell'esecuzione del contratto, dei tassi soglia antiusura; censurava nondimeno, per i medesimi motivi, l'intervenuta segnalazione a sofferenza alla CRI; concludeva invocando declaratoria di nullità del contratto per difetto di forma, ovvero delle clausole impugnate, con conseguente condanna della Banca alla restituzione di quanto indebitamente percepito, all'esito di CTU contabile, nonché alla rettifica della segnalazione in CRI e conseguente risarcimento dei danni, da liquidarsi in via equitativa; il tutto con vittoria di spese e competenze di lite.
Costituitasi con comparsa depositata il 15.02.2010, MPS s.p.a. eccepiva in via preliminare la mancata produzione dei contratti, che riverberava i suoi effetti in termini di genericità della domanda ed indeterminatezza dell'oggetto del giudizio; rappresentava quindi l'intervenuta prescrizione dell'azione di ripetizione; argomentava, nel merito, la legittimità di esercizio dello ius variandi, così come consentito dal T.U.B., l'adeguamento a reciprocità, secondo delibera CICR 09.02.2000, della capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi e passivi, la legittimità della commissione di massimo scoperto siccome approvata dal correntista, così come, del resto, le clausole relative alla determinazione della valuta e delle spese ed oneri di conto, la genericità della censura relativa al superamento dei tassi soglia antiusura; da ultimo, deduceva che nessuna segnalazione in CRI vi era mai stata; concludeva quindi, invocando, nell'ordine: declaratoria di nullità della citazione ovvero di prescrizione dell'azione ovvero ancora di rigetto della domanda siccome infondata, vinte le spese di lite.
Assegnati i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la causa veniva istruita a mezzo di consulenza tecnica d'ufficio, con quesito riformulato, dopo il deposito del primo elaborato, in seguito ai principi affermati da Cass. SS.UU. n. 24418/2010; all'udienza del 19.05.2015, sulle conclusioni delle parti, la causa veniva quindi trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per conclusionali e repliche.
Il fascicolo, giusta attestazione di cancelleria, veniva rinvenuto e consegnato al giudice solo in data 28.10.2015.

In diritto

La domanda attorea è fondata e, come tale, deve essere accolta, e tuttavia nei termini di cui appresso.
(...)
Premesso che, sull'argomento, si ritiene raggiunto un sufficiente grado di certezza giuridica in ragione della lunga e complessa evoluzione giurisprudenziale (per inciso: non vi è mai stato un uso normativo atto a giustificare tale pratica, di tal ché, per i conti accesi ante delibera CICR 09.02.2000, essa deve sempre considerarsi illegittima, dovendosi provvedere al ricalcolo della intera posizione dare/avere senza alcun tipo di capitalizzazione, come chiarito, tra le altre cose, da Cass. SS.UU. n. 24418/2010) sulla nullità della clausola, che va di conseguenza dichiarata; per essa, nondimeno, non è necessaria la produzione del contratto, atteso che la sua illegittimità prescinde dall'approvazione del correntista e la sua applicazione si evince dagli estratti del conto.
Sotto diverso profilo, nel caso di specie, è la stessa documentazione prodotta dalla Banca che attesta la capitalizzazione diseguale (trimestrale quella degli interessi passivi ed annuale quella degli interessi attivi), asseverando sia l'esistenza della clausola che la censura di illegittimità dedotta dall'attrice. Né vale invocare l'adeguamento - peraltro indimostrato - alla reciprocità imposta dalla più volte richiamata delibera CICR, atteso che sarebbe in ogni caso necessaria la prova di una successiva adesione del correntista alla modificazione della clausola, che nella specie manca del tutto.


Nello specifico, la rielaborazione del conto ha condotto ad un saldo attivo, per l'attrice, pari ad € 138.669,87, che costituisce sostanza della condanna della Banca alla ripetizione d'indebito; (...) Riguardo a tale conclusione, non può avere effetto preclusivo la spiegata eccezione di prescrizione, in primo luogo in ragione della sua stessa - generica - formulazione. Ed invero, l'eccezione era relativa alla intervenuta prescrizione della domanda di ripetizione, ed è rimasta tale anche in seguito alla riformulazione del quesito peritale in seguito alla più volte richiamata pronuncia delle sezioni unite della Corte di Cassazione. La Banca eccipiente, invero ed in quanto tale, avrebbe avuto l'onere di specificare la natura solutoria o ripristinatoria dei versamenti al fine di farne valutare l'eventuale intervenuta prescrizione, apparendo quindi, sotto tale profilo, incompleto il fatto estintivo della pretesa creditoria e, di conseguenza, inammissibile la deduzione di parte.



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