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Tribunale di Parma / Ascoli piceno

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2015

Tribunale di Parma, Dott. Marco Vittoria, Sent. n. 483 del 9 marzo 2015

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI PARMA
SECONDA SEZIONE CIVILE

in persona del Giudice Unico Dott. Marco Vittoria ha emesso la seguente:

S E N T E N Z A n. 483/15

nella causa civile iscritta al n. 1326/10 R.G. avente ad oggetto "RAPPORTI BANCARI"
promossa da
M. srl, rappresentata e difesa dall'Avv. Antonio Tanza, del Foro di Lecce, e dall'Avv. Luca Verderi, del Foro di Parma, con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Parma, v.le Gorizia n. 17, giusta procura a margine dell'atto di citazione;

-ATTORE-

contro

Banca di SARDEGNA SPA, rappresentata e difesa dall'Avv. Mara Lori e dall'Avv. Fabrizio Ferri, con domicilio eletto presso lo studio del procuratore in Parma, Strada Cavallotti n. 28, giusta procura in atti;

-CONVENUTO-

Conclusioni: all'udienza del 19.11.2014 i procuratori hanno concluso come da separato foglio allegato al verbale.
Concisa esposizione delle ragioni in fatto e in diritto della decisione
Con citazione ritualmente notificata M. srl ha convenuto in giudizio il B.d.S. spa esperendo azione di ripetizione di indebito, fondata sulla nullità delle clausole praticate dalla Banca convenuta al rapporto di conto corrente n. 14320-0 (poi divenuto 14320-7), ed ai rapporti collegati n. 14321/00 (conto anticipi fatture), n. 14323 (conto anticipi), n. 20422/2 (conto effetti sbf).
In particolare, l'attrice ha denunciato la indeterminatezza della clausola di determinazione degli interessi passivi; la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici; la nullità della clausola che applicava le c.m.s..
Costituitasi in giudizio, la Banca ha chiesto il rigetto delle domande attoree e la condanna alla refusione delle spese di lite.
Venendo, analiticamente, all'esame delle questioni sottoposte all'attenzione del Tribunale, è sufficiente osservare che l'odierna controversia si inserisce nel solco di un, ormai annoso, contenzioso su cui è possibile invocare principi giurisprudenziali consolidati, quasi sino ad una granitica certezza.
Si procede, dunque, con la massima brevità.
Sul punto, è sufficiente richiamare la giurisprudenza consolidata in tema di nullità delle clausole in contestazione, cui ci si attiene per consolidata giurisprudenza anche di questo Giudice.
E così, per giurisprudenza consolidata deve considerarsi nulla, siccome indeterminata, la clausola che pretende di computare gli interessi facendo richiamo, in via assolutamente generica, alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza (v. clausola sub n. 7 contratto, allegato n. 2 Consulenza).
Sul punto, è sufficiente rimandare a quanto affermato dalla nota sentenza Cass. n. 10376/06 ove una ponderosa ricostruzione della giurisprudenza stratificatasi sul punto .
Ne consegue lo scomputo delle voci a tale titolo addebitate al cliente e l'applicazione del saggio legale, via via succedutosi nel tempo, in costanza di rapporto.
Nessuna questione invece in relazione agli interessi dal lato attivo, dal momento che gli stessi non costituiscono oggetto di domanda, sì come definita in sede di citazione e precisata in memoria ex art. 183, VI co. n. 1 c.p.c.
Sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi è conforme ai criteri legali di interpretazione del contratto, in particolare all'interpretazione sistematica delle clausole, l'interpretazione data dal giudice di merito ad una clausola di un contratto di conto corrente bancario, stipulato tra le parti in data anteriore al 22 aprile 2000, e secondo la quale la previsione di capitalizzazione annuale degli interessi, pattuita nel primo comma di tale clausola, si riferisce ai soli interessi maturati a credito del correntista, essendo, invece, la capitalizzazione degli interessi a debito prevista nel comma successivo, su base trimestrale, con la conseguenza che, dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 cod. civ. (il quale osterebbe anche ad un'eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale), gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare alcuna capitalizzazione (C. SS. UU. n. 24418/10). Si rimanda alla profonda disamina del Relatore (Rodorf), per le argomentazioni che giustificano tale soluzione, già applicata da questo Giudice anche prima di tale pronuncia.
Così è, per l'appunto, anche nel caso di specie.
Sul punto, consta rilevare che la Banca convenuta ha insistito nell'eccepire l'intervenuta prescrizione del diritto alla restituzione: l'eccezione non risulta tuttavia formulata in maniera puntuale e precisa, non avendo la Banca fatto riferimento alle singole, individue rimesse, aventi funzione solutoria.
Quanto alle c.d. c.m.s., sul punto si registrano soluzioni difformi in giurisprudenza, a proposito della ritenuta invalidità dell'istituto della CMS per mancanza di causa; ciò su cui, però, la giurisprudenza è pacifica (e non potrebbe essere altrimenti, visto il chiaro disposto dell'art. 117 TUB), è nel ritenere che la clausola che prevede la commissione di massimo scoperto, perché sia valida, debba rivestire i requisiti della determinatezza o determinabilità dell'onere aggiuntivo che viene ad imporsi al cliente (Tribunale Novara 16 luglio 2010 n. 774, in JurisData; Tribunale Teramo 18 gennaio 2010 n. 84, in Giurisprudenza locale - Abruzzo 2010; Tribunale Busto Arsizio 9 dicembre 2009, in Foro It. 2010, 2, I, 672; Tribunale Monza 14 ottobre 2008 n. 2755, in JurisData; Tribunale Vibo Valentia 28 settembre 2005, in Corti calabresi (Le) 2007, 1, II, 216; Tribunale Torino 23 luglio 2003, in Giur. merito 2004, 283); più in particolare, è stato sancito dalla giurisprudenza, che la determinatezza o determinabilità della clausola si configura quando in essa siano previsti sia il tasso della commissione, sia i criteri di calcolo e la sua periodicità (Tribunale di Parma, 23 marzo 2010, in Il Caso.it, I, 2273; Trib. Busto Arsizio 9.12.2009 cit.; Tribunale di Biella, 23 luglio 2009, in IlCaso.it, I, 2367; Tribunale Cassino 10 giugno 2008 n. 402 in Guida al diritto 2008, 39, 78; Tribunale Genova sez. VI 18 ottobre 2006, in Foro Padano, 2007, 3-4, I, 493; Tribunale Monza 12 dicembre 2005, in Banca Borsa Tit. Cred. 2007, 2, II, 204). La soluzione è assolutamente condivisibile perché costituisce piena applicazione della norma di cui all'art. 1346 c.c., secondo cui ogni obbligazione contrattuale deve essere determinata o, quanto meno, determinabile e, più nello specifico, dell'art. 117, comma 4° TUB, che impone la forma scritta ad substantiam per ogni prezzo, condizione od onere praticati nei contratti bancari. In particolare, tale onere di specifica indicazione e determinazione è tanto più essenziale, quanto meno è definito e determinato l'istituto della commissione di massimo scoperto; posto, infatti, che non vi è alcuna definizione normativa e nemmeno scientifica o tecnico-bancaria della fattispecie, che si è affermata nella prassi creditizia e si è evoluta e modifica nel tempo, si rileva come anche la sua pratica applicazione da parte dello stesso sistema bancario sia difforme e non univoca.
La c.m.s. è stata infatti diversamente definita o individuata - limitandosi alle due accezioni principali e più diffuse - come il corrispettivo per la semplice messa a disposizione da parte della banca di una somma, a prescindere dal suo concreto utilizzo (ed in tal senso si parla, a volte, anche di commissione di affidamento), oppure come la remunerazione per il rischio cui la banca è sottoposta nel concedere al correntista affidato l'utilizzo di una determinata somma, a volta oltre il limite dello stesso affidamento (nozione, quest'ultima, che sembra essersi imposta più di recente). Da tale diversità di natura e giustificazione, è derivata anche la sopra accennata diversità di metodologie applicative, dal momento che, in coerenza con il primo profilo della cms, questa viene calcolata sull'intero ammontare della somma affidata, mentre, nella seconda ipotesi, il calcolo avviene soltanto sul massimo saldo-dare registrato sul conto in un determinato periodo (sul periodo da prendere a riferimento si registrano, poi, le più svariate soluzioni, a volte prendendosi in considerazione il trimestre, ed a volte anche periodi ben più brevi, sino addirittura allo scoperto giornaliero). Del resto, non c'è nemmeno univocità in ordine alla periodicità di calcolo delle c.m.s. che in alcuni casi vengono computate dalla banca addirittura come un accessorio degli interessi, seguendo la medesima periodicità (pratica, quest'ultima, espressamente ritenuta illegittima dalla Cassazione, sez. 3, sentenza n. 11772 del 6/08/2002); tale varietà trova conferma nel recente intervento legislativo (ovviamente inapplicabile ratione temporis alla fattispecie in esame), di cui alla L. 28 gennaio 2009, n. 2 (di conversione, con modifiche del D.L. 29 novembre 2008, n. 185), che non ha saputo fornire una definizione della c.m.s., limitandosi a regolamentarne alcuni aspetti ed anzi prendendo atto della varietà applicativa dell'istituto (si veda, in particolare, l'art. 2bis, comma 1, secondo periodo: "sono altresì nulle le clausole comunque denominate, che prevedono una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del cliente titolare di conto corrente indipendentemente dall'effettivo prelevamento della somma, ovvero che prevedono una remunerazione accordata alla banca indipendentemente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente"). In sostanza, il termine commissione di massimo scoperto non è affatto riconducibile ad un'unica fattispecie giuridica, sicché l'onere di determinatezza della previsione contrattuale delle c.m.s. deve essere valutato con particolare rigore, dovendosi esigere, se non una sua definizione contrattuale, per lo meno la specifica indicazione di tutti gli elementi che concorrono a determinarla (percentuale, base di calcolo, criteri e periodicità di addebito), in assenza dei quali non può nemmeno ravvisarsi un vero e proprio accordo delle parti su tale pattuizione accessoria, non potendosi ritenere che il cliente abbia potuto prestare un consenso consapevole, rendendosi conto dell'effettivo contenuto giuridico della clausola e, soprattutto, del suo "peso" economico; in mancanza di ciò, l'addebito delle commissioni di massimo scoperto si traduce in una imposizione unilaterale della banca che non trova legittimazione in una valida pattuizione consensuale.
Ne consegue che non può ritenersi sufficientemente determinata (a differenza, ad esempio, di quanto avviene per la pattuizione del tasso di interessi ultralegali), la mera indicazione, nel foglio allegato alle condizioni generali di contratto, di un tasso percentuale accompagnato dalla dizione "commissione di massimo scoperto", senza ulteriori indicazioni sulla periodicità dell'applicazione, sui criteri di calcolo e sinanco sulla base di computo e senza nemmeno una specifica clausola nelle condizioni generali di contratto, che indichi e giustifichi la facoltà della banca di imporre tali commissioni. In linea di massima, i dati che provengono dall'esperienza consentono di dire che la commissione di massimo scoperto (c.m.s.) è una voce di costo capitalizzata trimestralmente al pari degli interessi passivi. Taluni autori sostengono che se il sistema di calcolo di detta commissione è parametrato a quello degli interessi vi dovrebbe essere una capitalizzazione della somma dovuta a tale titolo su base trimestrale a chiusura del conto debitore, tuttavia trattandosi di posta che non partecipa alla natura dell'interesse non sono applicabili alla medesima le conclusioni in tema di anatocismo: il riferimento al calcolo trimestrale sarebbe soltanto un criterio di calcolo il quale non ne snatura la funzione, che sarebbe quella di remunerare la banca dell'obbligo di tenere a disposizione dei clienti una certa giacenza liquida da erogare a semplice richiesta. La giurisprudenza della suprema corte, però, va di contrario avviso precisando che, in caso di previsione della capitalizzazione trimestrale deve ritenersi che la commissione sia un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi e, quindi, la clausola anatocistica è nulla come gli interessi anatocistici (Cass. 11722/2002). In merito, conclusivamente, il Tribunale ritiene di poter aderire alla tesi giusta la quale la commissione di massimo scoperto può essere considerata valida ed efficace, solo ove il conto corrente sia collegato ad un'apertura di credito, non partecipa della natura degli interessi - tanto che non a caso la Banca d'Italia, con circolare I ottobre 1996 intervenendo in merito alla rivelazione dei tassi di interesse per l'individuazione della soglia usuraria ha chiarito che la commissione di massimo scoperto non entra nel calcolo del T.E.G. (tasso effettivo globale) - sicché alla stessa non può applicarsi il divieto anatocistico relativo ai soli interessi e dovrà calcolarsi solo alla chiusura definitiva del conto sempre che sia stata determinata specificamente e per iscritto. In caso di determinazione della medesima con il rinvio alle condizioni usualmente praticate sul mercato la stessa (v. art. 7 contratto conto corrente) deve ritenersi nulla per il medesimo argomento utilizzato in ordine alla stessa clausola 7 del contratto bancario relativamente alla determinazione degli interessi "uso piazza". Nel caso di specie, consta rilevare che la pattuizione inserita nel foglio allegato alle condizioni generali di contratto fa menzione di commissioni sul massimo scoperto per il calcolo delle quali si rimanda ai criteri usualmente praticati sulla piazza.
E' evidente che la clausola, così unilateralmente congegnata, non riveste i caratteri di sufficiente precisione e determinatezza utili, da un canto, a rendere edotto l'utente dei costi cui si espone, dall'altro canto, a veicolare una regola recepibile dall'ordinamento.
Per questi motivi, ogni addebito per c.m.s. andrà ritenuto indebito.
Tanto premesso, deve, infine aggiungersi che, per quanto attiene alla mancata contestazione degli estratti conto da parte del cliente la giurisprudenza - sia di merito che di legittimità - ha stabilito, con motivazione convincente e condivisa da questo Tribunale, che essa rileva solo ai fini del riconoscimento dei movimenti ivi documentati senza comportare alcun riconoscimento in ordine alla validità dei rapporti sostanziali a fondamento delle operazioni compiute. Più precisamente la mancata contestazione dell'estratto conto trasmesso dalla banca al cliente rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti unicamente sotto il profilo contabile restando impregiudicata la facoltà del correntista di contestare la validità e l'efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti che hanno dato luogo agli addebiti ed agli accrediti (Cass. Sez. I civ. 14.5.1998 n. 4846, cass. 11.9.1997 n, 8989 e da ultimo Cass. n. 4490/2002).
Pertanto, sulla scorta delle precedenti indicazioni, è possibile, seguendo il filo delle considerazioni svolte dal Consulente nominato, ricostruire con esattezza, in ordine di valuta, le somme di denaro effettivamente dovute dai debitori, con riguardo al periodo - su cui esiste certezza assoluta - così come indicato dal CTU.
Dall'esame svolto, occorre dunque far proprie il risultato finale delle ipotesi ricostruttive operate dal Consulente, - applicando dal lato passivo il saggio legale, - applicando dal lato attivo i criteri di calcolo già computati dall'Istituto di credito e non oggetto di contestazione,
- scomputando gli addebiti operati per la capitalizzazione trimestrale, - scomputando gli addebiti operati a titolo di c.m.s.
In base a tali conteggi, condensati nella soluzione offerta sub n. 3) (p. 11 della Consulenza) il saldo positivo a favore del correntista dei rapporti relativi ai singoli conti è dunque 'divenuto' il seguente: € 144.323,48, saldo relativo a tutte le posizioni complessivamente venute in esame.
Su tale somma decorrono interessi, nella misura indicata in dispositivo, come da insegnamento della Suprema Corte.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza, a norma dell'art. 91 c.p.c.
Si rimane leggermente al di sotto dei valori medi di riferimento, avendo la difesa attinto a modelli già in uso, limitando lo sforzo di approfondimento relativo al singolo, individuo caso in esame.

P. Q. M.

Il Tribunale di Parma, definitivamente pronunciando nella causa civile n. 1326/10 RG, così decide:
accoglie la domanda, per quanto di ragione e, per l'effetto, condanna B.D.S. SPA al pagamento, in favore di M. srl, di € 144.323,48, oltre interessi al saggio legale, maggiorati del valore pari alla differenza, tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi dell'art. 1284 cod. civ., comma 1, dalla notificazione della domanda al saldo; condanna parte convenuta alla refusione delle spese di lite, in favore di parte attrice, che liquida in complessivi € 12.000,00, oltre € 450,00 per esborsi, rimborsi al 15%, IVA e cpa, come per legge; pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese di Consulenza, liquidate come in corso di causa.

Così deciso, in Parma
09.03.2015 Il Giudice

Tribunale di Ascoli Piceno, Dott. Annalisa Giusti, Sent. n. 731 del 18 giugno 2015


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di ASCOLI PICENO


Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Annalisa Giusti ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 731/2015


nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 876/2006 promossa da:
xxx rappresentato e difeso dagli Avv. ti Massimo MICALETTI ed Antonio TANZA;

- ATTORE -

Contro BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.p.a., in persona del legale rappresentate pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Alessandro BONELLI

- CONVENUTA -

Conclusioni: come da verbale di udienza in data 10.3.2015

FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato l'attore conveniva in giudizio la Banca Nazionale del Lavoro spa, deducendo di aver in corso, a far data dal 1 ottobre 1978, con essa Banca un'apertura di credito con affidamento mediante scopertura su c/c ordinario n. 4503, lamentando la nullità della clausola di determinazione dell'interesse ultralegale, denunciando l'illecita applicazione dell'anatocismo trimestrale, affermando l'inammissibilità della provvigione di massimo scoperto, sostenendo che la Banca utilizzava valute fittizie a discapito dell'interesse dell'attore e chiedendo, previa declaratoria di nullità di dette clausole contra legem, la rideterminazione dei rapporti dare avere con la banca
Si costituiva la B.N.L. S.p.A., contestando tutto quanto ex adverso argomentato, dedotto ed eccepito, chiedendone la totale reiezione in quanto destituito di ogni fondamento, con ogni conseguenza pur in fatto di spese di lite.
Dopo la trattazione e l'effettuazione di una consulenza tecnica contabile, all'udienza del 10.3.2015, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all'art 190 cpc.
La considerazione dell'imprescindibile necessità di dare compiuta risposta alle innumerevoli questioni tecniche versate in atti suggerisce di procedere alla stesura motivazionale del presente provvedimento in via schematica, secondo le modalità che seguono.
A) SULLA VALIDITÀ DELL'ATTO DI CITAZIONE:
La preliminare eccezione - sollevata dalla convenuta - di nullità dell'atto di citazione per difetto di indicazione dei fatti posti a fondamento della domanda è infondata in quanto:
? L'attore ha legittimamente indicato le ragioni fattuali e giuridiche poste a fondamento della propria domanda giudiziale (esistenza di un rapporto di conto corrente affidato con la controparte; asserita illegittimità di alcune clausole negoziali apposte alle convenzioni disciplinanti il rapporto; conseguente asserita illegittimità di una parte dei "costi" addebitati dalla banca sul conto medesimo; consequenziale necessità di depurazione contabile del presunto saldo debitore dalle illegittime poste conteggiate dalla Banca etc.: cfr. l'atto di citazione);.
? La convenuta- a fronte di siffatti circostanziati addebiti dell'attore- ha di conseguenza potuto legittimamente spiegare le proprie (altrettanto circostanziate) difese di rito e di merito, assumendo la pretestuosità ed infondatezza delle avverse doglianze per i motivi in fatto ed in diritto di cui alla sua comparsa di risposta.
? Risulta, quindi, pienamente definito- sin dai primi atti processuali- l'oggetto della controversia e- per l'effetto- su detto oggetto si è legittimamente formato, sin dall'inizio del giudizio, il legittimo e pieno contraddittorio processuale, a comprova della sufficiente "integrità" ex art. 163 c.p.c. dell'atto introduttivo del giudizio.
C) SULL'ECCEZIONE RELATIVA ALLA MANCATA CONTESTAZIONE DEGLI ESTRATTI CONTO
L'istituto di credito ha poi dedotto che la mancata contestazione da parte dell'attore degli estratti conto periodicamente inviati precluderebbe, comportandone la decadenza, la contestazione degli addebiti effettuati sul conto corrente.
Va, al riguardo, osservato che l'approvazione del conto ex art. 1832 c.c. (applicabile al conto corrente bancario in forza del richiamo operato dall'art. 1857 c.c.) rende incontestabili le relative annotazioni, derivanti dalla mancata impugnazione, nella loro realtà effettuale, ma non comporta la decadenza da eventuali eccezioni relative alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori (contratto ed altre pattuizioni) da cui dette annotazioni derivano (cfr ex multis Cass. n. 11626/2011; Cass. n. 3574/2011; Cass n. 6514/2007; Cass. n. 11749/2006; Cass. n. 10376/2006) e dalla conseguente azione di ripetizione delle somme indebitamente percepite dalla banca.
La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, affermato che la mancata contestazione dell'estratto conto e la connessa, implicita approvazione delle operazioni in esso annotate riguardano unicamente gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, nonché la verità contabile, storica e di fatto, delle operazioni annotate.
L'approvazione del conto non impedisce l'ammissibilità di censure concernenti la validità e l'efficacia dei rapporti obbligatori dai quali esse derivano e, pertanto, che le singole registrazioni sono conseguenza di un negozio nullo, annullabile, inefficace, o comunque di una situazione illecita (così in motivazione Cass. n. 11626/2011), quale, in ipotesi, l'addebito sul conto di somme non contemplate dal contratto e, pertanto, in difetto di consenso del correntista.
La relativa eccezione va, pertanto, disattesa.
D) SOLUTI RETENTIO
La banca ha, poi, chiesto il rigetto della domanda attorea in ragione del disposto dell'art. 2034 c.c., per il quale non è ammessa la ripetizione della prestazione eseguita in adempimento di una obbligazione naturale.
L'assunto non può essere condiviso.
Nella specie, infatti, l'eventuale corresponsione di interessi non dovuti non è avvenuta in esecuzione di un dovere morale o sociale, bensì, piuttosto, in ossequio al disposto di una specifica clausola contrattuale (della quale viene chiesto dichiararsi la nullità, sia pure con effetto ex tunc, solo in questa sede) e, quindi, in adempimento di una obbligazione giuridica, ancorché invalida. La prestazione non può, pertanto, definirsi spontanea, considerato, altresì, che la banca opera direttamente sul conto corrente, senza alcuna possibilità, per il correntista, di manifestare una specifica contraria volontà al riguardo.
Il presupposto del pagamento spontaneo non è neppure ravvisabile quando la banca procede agli addebiti sul conto in difetto di una precisa regolamentazione contrattuale, trattandosi evidentemente di pretesa non rispondente al riconoscimento da parte del cliente di una prassi valida nei rapporti con la banca, né tantomeno del dovere morale di corresponsione delle relative poste debitorie.
E) SULLA NULLITÀ DEL TASSO DI INTERESSE CORRISPETTIVO "USO PIAZZA" PATTUITO NEL CONTRATTO:
Nel merito l'attore ha, innanzitutto, eccepito la nullità della clausola di determinazione degli interessi ultralegali mediante il mero rinvio al c.d. "uso piazza" (cfr. l'art. 7 delle norme che regolano i contratti di conto correnti di corrispondenza ed i servizi).
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4490/2002 ha chiarito che, nel regime anteriore alla entrata in vigore della disciplina dettata dalla legge sulla trasparenza bancaria 17 febbraio 1992, n.154, poi trasfusa nel testo unico 1 settembre 1993, n. 385, le clausole che regolano l'applicazione di interessi passivi per la clientela in misura superiore a quella legale devono essere caratterizzate dalla sufficiente univocità.
Per i contratti stipulati in epoca anteriore alla legge n. 154/1992, ma ancora in vigore, non essendo applicabile la nuova normativa, la validità della clausola relativa agli interessi deve, infatti, essere valutata esclusivamente in base all'art. 1284 comma terzo c.c.
Non è quindi necessario che "i contratti indichino il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati", alla stregua del disposto dell'art. 117 del T.U., essendo condizionata la validità della pattuizione contenente la determinazione degli interessi unicamente al rispetto del requisito della forma scritta ed alla fissazione di un saggio di interesse determinabile e controllabile in base a criteri oggettivamente indicati.
Qualora la clausola sia nulla, i tassi debitori applicabili, anche per il periodo successivo all'entrata in vigore della legge n. 154/1992, sono nulli laddove abbiano superato la misura legale.
Quanto, in particolare, alla validità della clausola di determinazione del tasso d'interesse con riferimento alle condizioni praticate usualmente dalla banca, va richiamato il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale la clausola in parola è nulla in quanto, perché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sensi dell'art. 1284 c.c., comma 3, che è norma imperativa, la stessa deve avere un contenuto assolutamente univoco e contenere la puntuale specificazione del tasso di interesse; ove il tasso convenuto sia variabile, è idoneo, ai fini della sua precisa individuazione, il riferimento a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono sufficienti generici riferimenti, dai quali non emerga con sufficiente chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione (cfr. ex multis Cass. n. 17679/2009; Cass. n. 2317/2007; Cass. n. 4095/2005).
Il riferimento del contratto alle condizioni usualmente praticate dalla banca deve, pertanto, ritenersi del tutto generico e, conseguentemente, non idoneo a costituire valida pattuizione degli interessi ultralegali.
Stante la tesi difensiva sul punto articolata dalla banca, va altresì osservato che la mancata contestazione degli estratti conto, oggetto di tacita approvazione in difetto di contestazione, ex art. 1832 c.c., non vale a superare la nullità della clausola relativa agli interessi, perché l'unilaterale comunicazione del tasso d'interesse non può supplire al difetto originario di valido accordo scritto richiesto dall'art. 1284 c.c. (Cass. n. 17679/2009) né può essere considerata equipollente ad un nuovo accordo in ordine alla determinazione degli interessi.
Al riguardo, non può neppure essere valorizzato l'omesso esercizio da parte del cliente del diritto di recesso previsto dall'art 118 T.U. n. 385/1993, da intendersi quale accettazione tacita del tasso debitore, considerato, peraltro, che una nuova pattuizione sugli interessi dovrebbe rivestire la forma prescritta dall'art. 117 T.U. n. 385/1993.
Né può sostenersi, come fatto dalla convenuta, la legittimità di detti tassi in virtù delle variazioni contrattuali susseguitesi nel tempo ed a cui la banca era legittimata in considerazione dello jus variandi alla stessa attribuito. Invero, una variazione legittima di un tasso di interesse presuppone la validità dell'originario tasso di interesse "previsto nei contratti di durata" oggetto della variazione, posto che, intanto, un tasso di interesse originario può essere legittimamente ed unilateralmente variato in quanto quel tasso originario fosse valido e come tale produttivo di effetti tra le parti, e ciò in virtù del principio generale, recepito dal nostro ordinamento, secondo cui "quod nullum est, nullum producit effectum" (cfr. per tutte da ultimo Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4015 del 21/02/2007).
È noto, altresì, il generale principio normativo per cui "il contratto nullo non può essere convalidato se la legge non dispone diversamente" (art. 1423 c.c.), onde giammai una variazione unilaterale di una originaria clausola nulla (quella in ipotesi priva di forma scritta ovvero di rinvio all'uso piazza per la determinazione degli interessi ultralegali passivi) avrebbe potuto sanare quella invalidità originaria, così come è parimenti noto che l'esecuzione spontanea del contratto da parte dei contraenti non ne sana la nullità (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8993 del 05/06/2003; Cass. N. 11156 del 1994).
Inoltre è opportuno ricordare come in tutti i suesposti casi di nullità del tasso di interesse, la conoscenza successiva del saggio applicato (nella specie, attraverso l'invio degli estratti conto) non varrebbe a sanare l'originario vizio di nullità della pattuizione, per carenza del requisito della determinabilità, la cui esistenza l'art. 1346 cod. civ. esige "a priori", al punto che non può essere individuato successivamente, tanto più quando il saggio non sia determinato da entrambe le parti ma da una di esse, che l'abbia portato a conoscenza dell'altra, attraverso documenti che abbiano il fine esclusivo di fornire l'informazione delle operazioni periodicamente contabilizzate e non anche di contenere proposte contrattuali, capaci di assumere dignità di patto in difetto di espresso dissenso (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14684 del 02/10/2003; Cass. 1 febbraio 2002 n. 1287).
Considerato che il contratto di conto corrente in relazione al quale si controverte è stato aperto prima della entrata in vigore della Legge n. 154 del 17 febbraio 1992, ne deriva inesorabilmente la nullità ex art. 1346 c.c./1284 c.c della clausola di rinvio agli usi su piazza per la determinazione degl'interessi (cfr. la citata Cass. Sentenza n. 4095 del 25/02/2005; per il principio della nullità delle clausole di pattuizione di interessi ultralegali prive di "criteri sicuramente ed obiettivamente rilevabili per la determinazione del tasso di interesse ultralegale" cfr. da ultimo Cass. Sent. N. 22898/2005, in motivazione).
Si tratta inoltre di clausola che- in quanto stipulata anteriormente all'entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancaria 17 febbraio 1992, n. 154- sarebbe in ogni caso divenuta inoperante a partire dal 9 luglio 1992 - data di acquisto dell'efficacia delle disposizioni della citata legge qui rilevanti, ai sensi dell'art. 11 della medesima - atteso che la previsione imperativa posta dall'art. 4 della legge là dove sancisce la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse, se non incide, in base ai principi regolanti la successione delle leggi nel tempo, sulla validità delle clausole contrattuali inserite in contratti (come nella specie) già conclusi, impedisce tuttavia che esse possano produrre per l'avvenire ulteriori effetti nei rapporti ancora in corso. Ad un tal riguardo, per rapporti in corso devono intendersi i rapporti, anteriormente costituiti, non ancora esauriti, alla data di inizio dell'operatività della norma sopravvenuta, per non avere il debitore, indipendentemente dalla pregressa "chiusura" del conto corrente bancario, adempiuto alla propria obbligazione, atteso che la già riferita innovazione impinge sulle stesse caratteristiche del sinallagma contrattuale, generatore di conseguenze obbligatorie protraentisi nel tempo (cfr. testualmente Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13739 del 18/09/2003; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4490 del 28/03/2002).
Conclusivamente deve essere dichiarata la nullità del contratto di conto corrente di cui trattasi nella parte in cui, mediante il rinvio al sopra cennato art 7, determina gli interessi ultralegali applicati al rapporto mediante il mero rinvio "alle condizioni praticate usualmente dalle Aziende di credito sulla piazza".
Da ciò deriva che, in assenza di prove circa una rinegoziazione delle condizioni contrattuali avvenute per iscritto, all'intero rapporto di conto corrente andranno applicati gli interessi al tasso legale ovvero a quello previsto ex art 117 TUB a seconda dell'epoca delle annotazioni.
Ciò posto, ritiene il Tribunale di dover in toto richiamare, sul punto, condividendole nella loro interezza, le conclusioni a cui è pervenuto il ctu nominato sul punto e trasfuse nella relazione peritale in atti che, per analiticità e completezza, qui si deve intendere per trascritta e richiamata per relationem.
Orbene, al proposito, il CTU ha correttamente operato sostituendo l'illegittimo tasso "normalmente praticato sulla piazza" applicato dalla banca con il tasso di interesse legale di cui all' art. 1284 c.c. fino all'entrata in vigore della L. n. 154/92 e, a far data dal 9 luglio 1992 sono stati applicati i tassi bot .
Invero, l'irretroattività di una norma, infatti, non esclude che lo jus superveniens, pur non potendo spiegare effetti per il passato, possa trovare applicazione, dal momento della sua entrata in vigore, con riferimento ai rapporti contrattuali di durata ancora in essere. Ed infatti, anche la giurisprudenza che ha ritenuto "nulla la clausola in forza della quale gli interessi dovuti dal correntista si intendono determinati alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, anche quando essa sia contenuta in contratto di conto corrente bancario stipulato anteriormente all'entrata in vigore della L. 154/92", ha affermato che "il tasso di interesse risultante dalla applicazione della clausola nulla va sostituito (...) con il tasso indicato dall'art. 117, 7° comma d. lgs. 385/93, per le obbligazioni sorte in epoca successiva" (così, Trib. Monza, 4.2.1999, in id. 1999, I, 1340; Trib. Roma, 19.2.1998 id. 1998, I, 2998 e Trib. Bari, ord. 18.7.2002).
Il contratto di conto corrente bancario si configura, infatti, come contratto di durata, cosicché la novella legislativa - pur priva di effetti retroattivi - troverebbe applicazione per il futuro.
Si condivide, inoltre, la scelta del ctu, posto che, in caso di nullità degli interessi applicati dall'istituto di credito, corrisponde ad un criterio sanzionatorio, enucleato dalla giurisprudenza di merito, l'applicazione del tasso minimo in relazione ai tassi debitori dovuti dal correntista e quello massimo per le operazioni passive così come previsto dall'art117 comma 7 TUB (cfr Corte Appello Milano 4.2.2009; Corte appello Torino 13.1.2015).
F. SULLA ILLEGITTIMITÀ EX ART. 1283 C.C. DELL'ANATOCISMO "A DOPPIO BINARIO" PATTUITO NEL CONTRATTO ED APPLICATO AL RAPPORTO BANCARIO DI CUI È CAUSA:
Nel merito, l'attore ha chiesto dichiararsi l'invalidità del contratto di conto corrente nella parte in cui contempla la capitalizzazione trimestrale degli interessi applicati al rapporto.
Al riguardo, appare sufficiente ripercorrere brevemente le fasi del noto dibattito dottrinario e giurisprudenziale in materia, prendendo le mosse dall'intervento della Suprema Corte con
le note sentenze del 1999 (in particolare Cass. n. 2374/1999 che ha chiarito: "Tanto più nel caso di contratti stipulati dopo l'entrata in vigore della disposizione di cui all'art. 4 della legge 17 febbraio 1992 (trasfusa poi nel TU delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385) che vieta le clausole contrattuali di rinvio agli usi, si rivela nulla la previsione contenuta nei contratti di conto corrente bancario, avente ad oggetto la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, giacché essa si basa su di un mero uso negoziale e non su di una vera e propria norma consuetudinaria ed interviene anteriormente alla scadenza degli interessi", nonché Cass. n. 309/1999) con le quali è stata riconosciuta la natura negoziale e non normativa degli usi bancari in tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente e, quindi, la nullità delle relative clausole apposte nei contratti di conto corrente.
L'arresto della giurisprudenza di legittimità ha reso necessario l'intervento del legislatore che con l'art. 25 del D.L.vo 4 agosto 1999 n. 342 ha introdotto il secondo ed il terzo comma dell'art. 120 T.U.B. conferendo al CICR il compito di stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori.
A seguito dell'entrata in vigore della delibera CICR del 9.02.2000 deve essere considerata valida la pattuizione di capitalizzazione di interessi purché l'addebito e l'accredito avvengano a tassi e con periodicità contrattualmente stabiliti e sempre che, nell'ambito dello stesso conto corrente, sia prevista la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori.
Con riferimento agli effetti della declaratoria di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale, è necessario stabilire se, nella riliquidazione del saldo di conto corrente, l'interesse debba essere capitalizzato con diversa scadenza (semestrale o annuale), ovvero debba computarsi sul capitale puro.
Secondo una prima opinione giurisprudenziale sarebbe applicabile la cadenza annuale di capitalizzazione, in conformità alla cadenza temporale degli interessi ex art. 1284, 1° comma, c.c. ("il saggio degli interessi legali è determinato [...] in ragione di anno"), che sarebbe applicata dalle banche a favore della clientela ed anche contemplata dalla delibera del CICR.
Secondo l'impostazione preferibile, di contro, in conseguenza della nullità della clausola, contenuta in un contratto di conto corrente bancario, con cui si prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, non sussiste un diritto della banca all'anatocismo semestrale o annuale, non sussistendo alcuna possibilità di sostituzione legale o inserzione automatica di clausole che dispongano una capitalizzazione degli interessi passivi con una diversa periodicità.
Deve ribadirsi, in particolare, che il ricorso all'applicazione analogica di altre disposizioni, previste in materia di chiusura di conto o di saggio di interessi, non è invocabile nel caso di specie. L'art. 1831 c.c., che prevede la chiusura semestrale del contratto di conto corrente ordinario, non è applicabile al conto corrente bancario, sia in ragione del tenore letterale dell'art. 1857 c.c., che non richiama l'art. 1831 c.c. per il conto corrente bancario, sia in considerazione della profonda diversità di struttura tra il conto corrente bancario - che prevede l'esigibilità a vista del saldo ex art. 1852 c.c. - e il conto corrente ordinario, che prevede l'inesigibilità delle prestazioni ex art. 1823 c.c.
Il conto corrente ordinario è, infatti, un contratto con durata limitata alla periodicità stabilita convenzionalmente fra le parti; scaduto il termine, il contratto ha esaurito la sua normale operatività e si conclude con la richiesta di pagamento da parte di colui che alla chiusura del conto risulta avere una posizione a credito.
Il conto corrente bancario, invece, è un contratto di durata, in cui il rapporto non si rinnova ad ogni chiusura di conto; la chiusura, cioè, non è prodromica al saldo ed alla conclusione del contratto, ma è una mera operazione contabile che non è richiesta dal tipo negoziale (tanto da non essere prevista nelle norme che regolano i conti correnti bancari).
Va poi osservato che l'art. 1284 c.c. disciplina il saggio degli interessi, cioè l'entità del tasso e la decorrenza degli interessi legali, non derogando in alcun modo all'art. 1283 c.c., che è l'unica norma che stabilisce le condizioni per la produzione degli interessi sugli interessi (anatocistici) e della quale indubbia è la natura imperativa (contrariamente all'art. 1284 c.c., la cui natura dispositiva giustifica la derogabilità con la pattuizione di interessi convenzionali).
Tale impostazione ha, peraltro, trovato riscontro nella sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 24418/2010, per la quale, dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 c.c., gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna. In altri termini, secondo il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 24418/2010, a seguito della dichiarazione di nullità della clausola anatocistica contenuta nei contratti di conto corrente stipulati in data anteriore al 22.4.2000 (data di entrata in vigore della delibera del CICR), non sussiste alcuna possibilità di integrazione del contratto bancario, ovvero di sostituzione legale, o di inserzione automatica di clausole che prevedano la capitalizzazione con diversa periodicità, dovendosi escludere anche quella annuale.
Da ciò deriva che alcuna capitalizzazione è possibile per gli interessi maturati sino all'aprile del 2000.
Per quanto attiene, invece, gli interessi successivi, mentre per i nuovi contratti l'art 6 della
delibera CICR prevede espressamente che le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non sono espressamente approvate per iscritto, per i contratti in corso, la norma transitoria di cui all'art. 7 della citata deliberazione CICR, prevede che, qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche possono provvedere all'adeguamento, in via generale, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
Nel caso in cui, invece, le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela.
Quindi, per i contratti come quello in esame, ad un'assenza di capitalizzazione conseguente alla nullità della clausola anatocistica si è sostituita una capitalizzazione trimestrale, con un peggioramento delle condizioni.
Il richiamo alle condizioni precedentemente applicate, riportato nel menzionato art 7 , non può essere riferito, infatti, a parere del giudicante, alla capitalizzazione trimestrale, ma deve essere riportato alla nullità dell'anatocismo trimestrale.
In tali circostanze, in presenza di una modifica peggiorativa, si ritiene perdurino gli effetti della nullità, sino al riscontro di una specifica approvazione scritta da parte del cliente, difettante nel caso in esame, non potendo costituire adeguamento alla predetta delibera la comprovata pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale delle condizioni di capitalizzazione approvate dall'Istituto.
In altri termini, le nuove condizioni di anatocismo, adeguate al disposto della delibera sostituiscono infatti all'anatocismo applicato in modo illegittimo (e quindi nullo ex art. 1283 c.c.) in virtù del contratto di conto corrente in atti, un anatocismo valido e di pari periodicità ex art. 120 TUB, sicché si tratta, con evidenza, di condizioni comportanti un peggioramento di quelle precedentemente applicate (passaggio da un anatocismo non dovuto perché nullo ad un anatocismo valido ancorché di pari periodicità) e, pertanto, di condizioni esigenti l'approvazione del cliente (cfr. in tal senso Tribunale di Venezia 22 gennaio 2007; Tribunale di Novara 1.10.2012; cfr. altresì Tribunale di Monza 17.09.2012).
Ciò posto, per quanto attiene il tasso di interesse da applicarsi in concreto e senza capitalizzazione alcuna, deve condividersi, in parte qua, l'ordinanza del 16.07.2009 emessa dal precedente giudice istruttore, alla luce della quale, in assenza di elementi certi per l'individuazione del tasso di interesse, non può farsi riferimento, come sostenuto dall'opposta, alle norme che regolano i rapporti di conto corrente in vigore presso la Banca, ma, essendo il rapporto de quo sorto sotto la vigenza del TUB, dovrà applicarsi il disposto di cui all'art 117 Dlgs 385/93 e far riferimento, quindi, così come correttamente fatto nella ctu in atti, al tasso dei bot emessi nei dodici mesi precedenti alla chiusura periodica dei conti. dovendosi condividere in toto le osservazioni e l'interpretazione data alla suddetta norma dal professionista nominato.
G) SULL'INDEBITA APPLICAZIONE DELLA COMMISSIONE DI MASSIMO SCOPERTO
L'attore ha poi chiesto accertarsi e dichiararsi l'illegittima applicazione da parte della banca di commissioni di massimo scoperto, in difetto di valida giustificazione causale, rappresentando le c.m.s. un addebito ulteriore rispetto agli interessi passivi convenzionalmente pattuiti, e, in ogni caso, in difetto di pattuizione scritta.
A fronte dell'acceso dibattito della giurisprudenza di merito in ordine alla validità, sotto il profilo causale, delle pattuizione contrattuali che contemplano le c.m.s., la Corte di Cassazione ha chiarito che le commissioni possono essere assimilate, per un verso ad un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi, come potrebbe inferirsi dall'essere conteggiate, nella prassi bancaria, in una misura percentuale dell'esposizione debitoria massima raggiunta e, quindi, sulle somme effettivamente utilizzate nel periodo considerato, solitamente trimestrale, come per gli interessi passivi e, per altro verso, a un onere remunerativo dell'obbligo della banca di tenere a disposizione dell'accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo (Cass. n. 11772/2002).
In sintesi, la c.m.s. può avere una natura assimilabile a quella degli interessi passivi oppure costituire un corrispettivo autonomo rispetto agli interessi.
La Corte di Cassazione, in un altro intervento sulla questione, ha ritenuto che la c.m.s. abbia la funzione di "remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del correntista indipendentemente dall'effettivo prelevamento della somma" e, quindi, ne ha definitivamente avallato la validità sotto il profilo causale (Cass. n. 870/2006, in motivazione).
Successivamente, la materia è stata investita da due interventi legislativi, che hanno ribadito la validità delle commissioni di massimo scoperto, disciplinandone presupposti e modalità applicative.
Il primo intervento è costituito dal decreto legge 29 novembre 2008 n. 185, convertito in legge 28 gennaio 2009 n. 2 e, il secondo, dal decreto legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito in legge 3 agosto 2009 n. 102.
In particolare, le nuove disposizioni hanno previsto la validità della c.m.s. nell'accezione più limitata, individuata dalla stessa normativa, ma, nel contempo, hanno previsto un'altra commissione, denominata "corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme", che di fatto sembra integrare la stessa c.m.s. nella più ampia accezione conosciuta in precedenza.
L'obbligazione del cliente di corrispondere alla banca un ulteriore compenso per l'apertura di credito, oltre alla misura degli interessi pattuiti, può quindi essere considerata sorretta da causa lecita, in quanto, appunto, remunerazione correlata all'obbligo, a carico della banca, di tenere sempre a disposizione del cliente il massimo importo affidato, o in quanto correlata al rischio crescente che la banca assume, in proporzione all'ammontare massimo dell'utilizzo concreto di detto credito da parte del cliente.
Conclusivamente, deve ritenersi la validità, sotto il profilo causale, delle clausole che contemplano le commissioni di massimo scoperto, in quanto correlate ad un servizio che, ancorché previsto nel contratto, è estraneo alla causa delle operazioni ordinariamente regolate in conto corrente.
L'altro profilo di legittimità della c.m.s. attiene alle modalità della sua pattuizione, in termini di determinatezza o determinabilità, ai sensi dell'art. 1346 c.c.
Vale, infatti, anche per la commissione di massimo scoperto la questione della determinatezza o determinabilità dell'oggetto, per cui in assenza di univoci criteri di determinazione del suo importo, la relativa pattuizione va ritenuta nulla, con diritto del correntista alla ripetizione di quanto indebitamente versato. Invero, al pari di ogni altra pattuizione contrattuale detta commissione, deve essere determinata o, almeno determinabile al momento in cui il contratto è stato concluso.
Nella specie, il contratto concluso dalle parti non reca alcuna regolamentazione delle commissioni di massimo scoperto che, pertanto, come correttamente fatto nella consulenza tecnica in atti alle cui risultanze sul punto ci si riporta integralmente, deve essere epurato dei relativi addebiti a tale titoli conteggiati.
H) SULLA NULLITA' DELLA CLAUSOLA CHE PREVEDE LE VALUTE
Ulteriore aspetto del rapporto contestato da parte dell'attore è il cd gioco delle valute, ritenuto nient'altro che un espediente utilizzato dalla banca per allungare fittiziamente i giorni solari di esposizione del cliente, con conseguente aumento degli interessi passivi, decurtando, al contrario, i giorni in cui l'utente deposita denaro, con conseguente diminuzione degli interessi attivi per il correntista.
L'art 7 delle norme che regolano i rapporti di conto corrente e di corrispondenza prodotto dalla banca convenuta prevede termini esclusivamente per l'accredito l'addebito di assegni.
Il ctu nominato, esaminando il rapporto di cui trattasi ha riscontrato una congruità nelle modalità di applicazione delle valute sia per le operazioni di versamento che di accredito
I) SULLA USURARIETA' DEI TASSI DI INTERESSE APPLICATI
Con riferimento alla domanda attrice di nullità ed inefficacia degli addebiti effettuati dalla banca sul conto corrente, per contrarietà al disposto di cui alla legge n. 108/1996, limitatamente agli interessi eccedenti il c.d. tasso soglia nel periodo di riferimento, va rilevato che i criteri fissati dalla legge 7 marzo 1996, n. 108 per la determinazione del carattere usurario degli interessi non trovano applicazione con riguardo alle pattuizioni anteriori all'entrata in vigore della stessa legge, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell'art. 1, primo comma, D.L. 29 dicembre 2000, n. 394 (conv., con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2001, n. 24; cfr. ex multis n. 13868/2002; Cass. n. 17813/2002; Cass. n.4380/2003).
Invero, per i contratti precedenti l'entrata in vigore della disciplina sull'usura riformata nel 1996, anzitutto, la giurisprudenza riconosce con fermezza che l'usura originaria vada valutata con i vecchi criteri in vigore al momento della pattuizione (tempus regit actum), essendo allora difficile la prova della ricorrenza degli elementi che al tempo indicavano quando vi fosse usura: in particolare, per la necessità che la pattuizione di tassi elevati si accompagni all'approfittamento dello stato di bisogno (art. 644 cp vecchia formulazione). Difficoltà che deriva soprattutto dal fatto che la Cassazione indica che lo stato di bisogno è costituito dalla "mancanza di mezzi idonei a sopperire ad esigenze definibili come primarie, cioè relative a beni comunemente considerati come essenziali per chiunque" (Cass. pen., sez. II, 8 marzo 2000).
Per tali contratti precedenti la riforma del 1996, però, sempre la Cassazione indica che, una volta entrati in vigore i tassi soglia, gli effetti di tale contratto non ancora esauriti in quel momento risentirebbero della nuova disciplina (usura sopravvenuta). Anche se, in questo caso di usura bancaria detta appunto sopravvenuta, sorgerebbe un mero obbligo di rideterminazione degli interessi entro i limiti della soglia di usura, con la conseguenza che non potrebbero essere richiesti al cliente i tassi contrattuali eccedenti tale limite: queste sarebbero le conseguenze che derivano dalla ricorrenza di un'usura sopravvenuta.
In questo caso, infatti, in tema di usura sopravvenuta Cass. 11 gennaio 2013, n. 602 indica che "giurisprudenza ormai consolidata (da ultimo, Cass. N. 25182 del 2010) precisa che, con riferimento a fattispecie anteriore (come - pacificamente - nel caso che ci occupa) alla L. n. 108 del 1996, in mancanza di una previsione di retroattività, la pattuizione di interessi ultralegali non è viziata da nullità, essendo consentito alle parti di determinare un tasso di interesse superiore a quello legale, purchè ciò avvenga in forma scritta; l'illiceità si ravvisa soltanto ove sussistano gli estremi del reato di usura ex art. 644 c.p.: vantaggio usurario, stato di bisogno del soggetto passivo, approfittamento di tale stato da parte dell'autore del reato. Valide dunque le predette clausole contrattuali, è esclusa l'automatica sostituzione del tasso originariamente determinato con quello legale, come invece disposto dal giudice del rinvio. Al contrario, come sembra suggerire lo stesso ricorrente principale, trattandosi di rapporti non esauriti al momento dell'entrata in vigore della L. n. 108 (con la previsione di interessi moratori fino al soddisfo), va richiamato la L. n. 108 del 1996, art. 1 che ha previsto la fissazione di tassi soglia (successivamente determinati da decreti ministeriali); al di sopra dei quali, gli interessi corrispettivi e moratori ulteriormente maturati vanno considerati usurari (al riguardo, Cass. n. 5324 del 2003) e dunque automaticamente sostituiti, anche ai sensi dell'art. 1419 c.c., comma 2 e art. 1319 c.c., circa l'inserzione automatica di clausole, in relazione ai diversi periodi, dai tassi soglia".
Le conseguenze sono dunque differenti nelle due ipotesi di usura originaria e usura sopravvenuta: nell'usura originaria ex art. 1815 c.c. non è dovuto alcun interesse per il rapporto coinvolto dall'usura, essendo dunque da pagare il solo capitale; per l'usura sopravvenuta, invece, oltre al capitale sono da corrispondere gli interessi previsti, salvo per i periodi in cui questi superino i tassi soglia tempo per tempo vigenti, essendo allora da limitare il tasso a quello soglia.
Orbene, il C.T.U. ha verificato il rispetto dei tassi soglia vigenti ratione temporis applicando la formula Banca d'Italia, ovverosia
interessi x 365.000 + oneri su base annua + 100
numeri debitori Accordato
Dette istruzioni, oltre a rispondere all'elementare esigenza logica e metodologica di avere a
disposizione dati omogenei al fine di poterli raffrontare, hanno anche la natura di norme tecniche autorizzate.
Orbene, dovendosi quindi, far riferimento al conteggio del ctu che si fonda sulle istruzioni della Banca d'Italia, deve osservarsi che, a parere del Tribunale, correttamente il ctu ha trattato la c.m.s. come "onere".
E' noto che, a seguito delle precisazioni riportate nella legge n. 2/09, sono state emanate dalla Banca d'Italia, le "nuove" Istruzioni per la rilevazione dei tassi ai fini d'usura, divenute operative a partire dal 1 gennaio 2010, alla luce delle quali, il calcolo del Tasso Effettivo Globale, comunicato dalle banche e dagli altri intermediari finanziari, ricomprende ora le CMS e la remunerazione del fido congiuntamente ad ogni altra spesa collegata al credito.
Con le sentenze della Cassazione Penale n. 12028/, n. 28743/10 e n.46669/11, sono stati meglio precisati i criteri operativi della L. 108/96, rilevando la responsabilità civile per l'inosservanza della norma, salvaguardando tuttavia dai riflessi penali gli intermediari che, in passato, seguendo i criteri fissati dalla Banca d'Italia per la determinazione del TEGM, sono comunque incorsi in condizioni d'usura.
In particolare, nella prima delle sentenze richiamate, la Cassazione, ritenendo legittime le perplessità da più parti sollevate - anche dalla giurisprudenza di merito - in ordine alla conformità al dettato legislativo del metodo di rilevazione adottato dalla Banca d'Italia (e fatto proprio dal Ministro competente), nella parte in cui escludeva le CMS dal calcolo del TEG, perviene alla conclusione che "il chiaro tenore letterale del comma IV dell'art. 644 c.p. (secondo il quale per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all'erogazione del credito) impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito. Tra essi rientra indubbiamente la Commissione di massimo scoperto, trattandosi di un costo indiscutibilmente legato all'erogazione del credito, giacché ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente e funge da corrispettivo per l'onere, a cui l'intermediario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente". Tale interpretazione, aggiunge la Cassazione, risulta avvalorata dalla normativa successiva, introdotta dal D.L. 185/08, convertito nella legge 28/1/09 n. 2 che, all'art. 2 bis, 2° comma, precisa che "gli interessi, le commissioni, le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente (…) sono comunque rilevanti ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 del codice civile, dell'art. 644 del codice penale e degli art. 2 e 3 della legge 7/3/96, n. 108".
La disposizione in parola, stabilisce poi la Cassazione, "può essere considerata norma di interpretazione autentica del 4° comma dell'art. 644 c.p. in quanto puntualizza cosa rientra nel calcolo degli oneri ivi indicati, correggendo una prassi amministrativa difforme".
Sul piano civile, le "vecchie istruzioni" emanate dall'Istituto Centrale non tenevano conto delle CMS ai fini della determinazione del tasso soglia, atteso che, tra il 1997 e il 2009, prevedevano, ai fini della rilevazione del TEGM prevedevano che la c.m.s. fosse rilevata e trattata separatamente ("C5. Metodologia di calcolo della percentuale della commissione di massimo scoperto. La commissione di massimo scoperto non entra nel calcolo del TEG. Essa viene rilevata separatamente, espressa in termini percentuali") e, in coerenza con tale indirizzo, anche i D.M. trimestrali ribadivano che "i tassi non sono comprensivi della commissione di massimo scoperto eventualmente applicata. La percentuale media della commissione di massimo scoperto rilevata nel trimestre di riferimento è riportata separatamente in nota alla tabella".
Non è discusso che, ai sensi dell'art. 2 legge n. 108, la funzione del D.M. consista (cfr. tra molte Cass. pen. 18.3.2003 n. 20148) nel fotografare l'andamento dei tassi medi di mercato, praticati da banche e intermediari finanziari sottoposti a vigilanza (comma 1), distinti per classi omogenee di operazioni "tenuto conto della natura, dell'oggetto, dell'importo, della durata, dei rischi e delle garanzie" (comma 2) al fine di determinare e rendere noto alla generalità di banche e intermediari "il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari".
Per contro, deve fondatamente dubitarsi che le norme di rango primario (art. 644 c.p.; art. 2 legge n. 10) attribuiscano alla fonte secondaria il potere di fissare normativamente, e in modo vincolante per l'interprete, i criteri di determinazione del tasso di interesse usurario della singola operazione creditizia (TEG), atteso che l'art. 644 co. 4 c.p. individua il tasso usurario ("si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito") senza fare rinvio a un aggregato di costi predeterminato da una fonte secondaria. Anzi, il nomen juris è espressamente tenuto per irrilevante, visto che la remunerazione entra nel calcolo del tasso usurario "a qualsiasi titolo" (art. 644) e "comunque denominata" (art. 2-bis comma 2 del d.l. 185/2008), purché sia onere funzionalmente collegato all'erogazione del credito.
Orbene, nel caso come quello in esame in cui il rapporto non è esaurito prima del 1.10.2010, deve ritenersi, a parere del tribunale, che, che nonostante per la Banca d'Italia la CMS entri nel calcolo del T.E.G. dal 1 gennaio 2010, al fine di determinare la soglia oltre la quale gli interessi si presumono usurari, deve tenersi conto, nella determinazione del tasso effettivo globale praticato da un intermediario finanziario, della commissione di massimo scoperto anche nel periodo precedente, sulla base della L. 108/96.
In altri termini, la c.m.s. deve essere compresa nel calcolo del TEG non soltanto dall'1.1.2010 (prima rilevazione fatta in base alle Istruzioni della Banca d'Italia dell'agosto 2009), ma anche per il tratto anteriore, come commissione manifestamente collegata all'erogazione del credito e, quindi, rilevante per la determinazione del tasso usurario, secondo la definizione datane dall'art. 644 c.p., ancor prima della previsione dell'art. 2-bis comma 2 del d.l. 29.11.2009 n. 185 (conv. in legge 28.1.2009 n. 2). Invero, essendo rimasti immutati la L. 108/96 e l'art. 644 c.p., i nuovi criteri di determinazione del TEG adottati dalla Banca d'Italia vengono a costituire un adeguamento alla valenza interpretativa della L. 2/09, anch'essa ricognitiva di una norma preesistente. Pertanto, appare coerente con l'evoluzione intercorsa nella normativa secondaria che, nella verifica del rispetto delle soglie d'usura, anche per i periodi precedenti si impieghi il nuovo algoritmo individuato dalla Banca d'Italia che ricomprende le CMS. (cfr Corte di Appello di Cagliari 31.4.2014; il Tribunale di Roma 23.1.2014 che, richiamando la Cass. del 19 dicembre 2011, ha osservato che "la commissione di massimo scoperto deve essere tenuta in considerazione quale fattore potenzialmente produttivo di usura, essendo rilevanti ai fini della determinazione del tasso usurario tutti gli oneri che l'utente sopporta in relazione all'utilizzo del credito e ciò indipendentemente dalle istruzioni o dalle direttive della Banca d'Italia nelle quali si prevede che la commissione di massimo scoperto non debba essere valutata ai fini della determinazione del tasso effettivo globale, traducendosi questa interpretazione in un aggiramento della norma penale che impone alla legge di stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari".)
Da ciò discende, quindi, poiché il ctu nominato ha ritenuto che, confrontando i teg trimestrali come sopra determinati con i tassi soglia pubblicati, mai nel rapporto per cui è causa risulta esservi un superamento delle soglie di legge, non si dovrà far luogo nel rapporto di cui trattasi all'applicazione dell'art 1815 cc.-

Orbene, tenuto conto dei principi generali sopra elencati deve procedersi, sulla scorta delle risultanze dell'espletata ctu, al ricalcolo dei rapporti dare-avere tra l'attore e la banca.
Deve osservarsi, al riguardo, che il ctu, in ossequio al quesito formulato dal precedente magistrato assegnatario del procedimento, ha applicato tutti i principi sopra indicati con la sola esclusione per la capitalizzazione degli interessi che, come detto, secondo il giudicante non deve essere in alcun modo operata in presenza di clausola anatocistica nulla, avendo, invece, in tal caso, l'ausiliario incaricato, capitalizzato annualmente gli interessi attivi e passivi fino al 30.6.2006 e, successivamente, trimestralmente.
Orbene, sul punto, parte attrice, pur sostenendo nelle note conclusionali, il medesimo principio giuridico fatto proprio dal Tribunale in relazione a detto profilo, principio che sicuramente comporterebbe un maggior vantaggio per l'attore, tuttavia, verosimilmente in una condivisibile ottica di comparazione costi/benefici, ha concluso per la condanna della banca al pagamento della somma di euro 77.571,69, ovverosia per la somma indicata dal ctu e determinata mediante il ricorso alla predetta forma di capitalizzazione anziché alla capitalizzazione semplice.
Sulla scorta di tali emergenze, quindi, basandosi proprio sulle conclusioni rassegnate da parte attrice che, correttamente, si ritiene abbia preferito accontentarsi del riconoscimento di una somma leggermente inferiore piuttosto che insistere per un supplemento di ctu al fine del ricalcolo esatto delle spettanze attoree (che,ovviamente, avrebbe comportato il riconoscimento, in aggiunta, di modestissimi importi, a fronte del dilatarsi delle tempistiche processuali), ritiene il Tribunale che debba farsi riferimento, nella determinazione del saldo del conto, alle risultanze peritali in atti.
Orbene, il ctu riesaminando il rapporto bancario di cui trattasi ha evidenziato che lo stesso, alla data del 31.11.2005, presentava un saldo creditore a favore del correntista pari ad euro 77.571,69.
Parte attrice ha quindi diritto di ripetere dalla controparte tali somme pecuniarie (pari a complessivi 77.571,69) corrispondenti a quanto indebitamente addebitatole dalla Banca (a titolo di costi del credito nulli ovvero inesistenti) durante il rapporto quivi depurato .
Com'è noto, sussiste, infatti, indebito oggettivo tutte le volte in cui manchi la causa della prestazione e l'"accipiens" non abbia titolo per riceverla: tanto accade nei casi di nullità del contratto, ove l'azione "de qua" diventa esperibile per la restituzione delle prestazioni rese in base ad esso, ma anche nei casi (quivi ricorrenti) di nullità di specifiche clausole contrattuali (anatocismo, uso piazza etc.) e per la restituzione delle corrispondenti prestazioni e controprestazioni da tali clausole originate (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21096 del 28/10/2005; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 27334 del 12/12/2005; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14585 del 22/06/2007).
E l'indebito oggettivo opera non solo quando l'originaria causa di pagamento sia venuta meno, ma anche quando essa manchi fin dall'origine (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3994 del 23/02/2006).
È parimenti noto che nella ipotesi di azione di ripetizione di indebito ex art. 2033 cod. civ., gli interessi e quanto dovuto per maggior danno decorrono dalla domanda giudiziale ( domanda in senso tecnico - giuridico) e non già dalla data del pagamento della somma indebita, dovendosi avere riguardo all'elemento psicologico esistente alla data di riscossione della somma, a meno che il creditore non provi la mala fede dell'"accipiens", la cui buona fede si presume e può essere esclusa solo dalla prova della consapevolezza da parte dello stesso "accipiens" della insussistenza di un suo diritto al pagamento (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11259 del 30/07/2002).
Ne consegue che nell'ipotesi (ricorrente nella specie) di declaratoria di nullità di un contratto (ovvero di talune sue clausole), la disciplina degli eventuali obblighi restitutori è mutuata da quella dell'indebito oggettivo, ditalchè l'"accipiens", qualora sia in mala fede nel momento in cui percepisce la somma da restituire (mala fede nella specie né dedotta né tanto meno dimostrata dall'attore, rispetto alla citata presunzione normativa della buona fede dell'accipiens), è tenuto al pagamento degli interessi dal giorno del ricevimento (cfr. l'art. 2033 c.c.; cfr. ex multis Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20651 del 25/10/2005).
Ne consegue che nella specie la attrice ha diritto di ripetere ex art. 2033 c.c. la predetta somma di €. 77.571,69 (credito in linea capitale: cfr. la CTU), oltre interessi legali (ex artt. 2033/1224/1284 c.c.) dalla data della notifica della domanda giudiziale alla controparte sino al saldo effettivo.
Le spese processuali seguono la soccombenza integrale della convenuta e si liquidano in dispositivo, in favore dei difensori dichiaratisi antistatari.
Sempre in ossequio al principio della soccombenza, si ritiene che le spese per l'espletata ctu vadano poste integralmente ed in via definitiva a carico di parte convenuta.

PQM

Il Tribunale di Ascoli Piceno, definitivamente pronunciando nel giudizio n. 876/2006, ogni ulteriore domanda ed eccezione assorbita e/o disattesa così provvede:

RIGETTA

l'eccezioni di prescrizione e di decadenza proposte dalla Banca Nazionale del Lavoro spa;

DICHIARA

l'illegittimità degli addebiti effettuati dalla banca sul conto corrente n. 4503 a titolo di interessi ultralegali, commissioni massimo scoperto, interessi anatocistici, nei limiti e per le causali di cui in motivazione;

ACCERTA

Che il rapporto contrattuale bancario di cui è causa (meglio descritto in motivazione) presenta- alla data del 31.11.2005 ed in conseguenza delle depurazioni negoziali e contabili meglio descritte in motivazione- un saldo pari ad €. 77.571,69 in favore del correntista xxxx
Per l'effetto

CONDANNA

La convenuta, in persona del legale rappresentante pro tempore e per le causali di cui in motivazione, al pagamento in favore della parte attrice della predetta somma di € 77.571,69, oltre interessi legali ex art. 2033/1224/1284 c.c. sulla predetta somma dalla data della notifica alla controparte della domanda introduttiva del presente giudizio sino al saldo effettivo.

CONDANNA

parte convenuta alla refusione delle spese del presente giudizio che liquida in favore dei difensori dichiaratisi antistatari in complessivi euro 13.430,00 per compensi ed in euro 360,00 per esborsi oltre al rimborso forfettario spese generali nella misura del 15 % ed accessori di legge.

PONE

Le spese dell'espletata ctu a carico definitivo di parte convenuta con l'obbligo di procedere ai relativi conguagli.
Ascoli Piceno, 16 giugno 2015

Il Giudice
dott. Annalisa Giusti


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