Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


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Lo stato dell'arte

Signoraggio

IL NOSTRO COMMENTO ALLA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

Questa battaglia di Adusbef sul signoraggio è stata, nonostante la pronuncia della Cassazione (i cui dettagli potrete leggere più sotto), di estrema importanza in quanto ha contribuito a creare un dibattito nel paese e sugli organi di stampa, contribuendo a creare una maggiore coscienza del problema anche da partre di coloro che non sono addetti ai lavori.
Nonostante la sentenza della Cassazione, il problema non appare ancora risolto. La S.Corte infatti non entra nel merito, ma chiarisce solo la carenza di competenza del giudice: in altre parole, dice soltanto che non è compito dei giudici sindacare le funzioni statuali di politica monetaria e di adesione ai trattati.
E' come se la Corte lasciasse intravedere tra le righe che dovrebbe essere compito del legislatore riordinare la materia, almeno dando certezza ai cittadini - per tacer del resto - che questi soldi non finiscano in mani private.
Adusbef non ha mai alimentato false illusioni nei cittadini di un facile recupero del signoraggio, né mai ha consigliato la via giudiziaria come l'unica via possibile. Tanto è vero che Adusbef ha avviato una sola causa, quella vinta presso il Giudice di pace di Lecce!
Abbiamo pubblicato integralmente gli atti di causa solo per consentire a tutti di potersi documentare su un problema così importante.
Anche dopo la sentenza di Cassazione, come vedrete, continuiamo a pubblicare tutti gli atti, perchè anche i più distratti (magari qualche politico!) si accorgano del problema.
Abbiamo saputo che molti hanno purtroppo speculato sulle speranze che si erano accese con la sentenza del Giudice di Pace di Lecce. Nonostante quella sentenza, invece, il nostro consiglio è stato sempre improntato alla massima prudenza e alla massima chiarezza.
Cosa dire in conclusione? E' stata una battaglia che è stato giusto e importante combattere, nonostante una apparente sconfitta giudiziaria: ora tra la gente vi è molta più coscienza del problema e speriamo che in altre sedi, più politiche, si possa affrontare la
quaestio del Signoraggio partendo da un punto avanzato di maggiore consapevolezza. La battaglia contro il signoraggio non finisce con una pronuncia della Cassazione!
Ringraziamo tutti coloro che vorranno continuare a supportarci in questa e in altre battaglie.

VICEPRESIDENZA ADUSBEF

SIGNORAGGIO: SENTENZA DELLA CASSAZIONE

SIGNORAGGIO: LA CASSAZIONE ACCOGLIE IL RICORSO DELLA BANCA D'ITALIA

ROMA - Non compete ai giudici sindacare il modo in cui gli Stati svolgono le funzioni di politica monetaria, di adesione ai trattati internazionali e di partecipazione agli organismi sovranazionali.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione annullando senza rinvio una che nel 2005 aveva condannato la Banca d'Italia per "esproprio illecito" di moneta: secondo il magistrato onorario che accolse l'esposto di un cittadino pugliese, la Banca centrale europea e "la sua articolazione italiana, ovvero la Banca d'Italia", si erano appropriate illegalmente della moneta italiana con l'emissione dell'Euro, e che quindi, a suo dire, "non esisteva il debito pubblico, trattandosi invece di credito pubblico" e "la massa monetaria messa in circolazione nell'ambito dei pa esi aderenti al sistema dell'euro apparterrebbe alla collettività dei cittadini con la conseguenza che ciascuno potrebbe rivendicare il reddito, pro quota, derivante dalla stampa e dalla circolazione di questa massa monetaria, oggi invece percepito dalla Banca Centrale Europea e poi ridistribuito tra le diverse Banche centrali nazionali".
Su tale originale premessa il giudice di pace condannò Bankitalia al pagamento di 87 euro per "sottrazione del reddito da signoraggio monetario" nel periodo compreso tra il '96 e il 2003.
Contro la sentenza del giudice di Pace la Banca d'Italia ha presentato ricorso per cassazione chiedendone l'annullamento oltre che la condanna al risarcimento danni per "lite temeraria" per il cittadino pugliese.
Le sezioni unite civili della Suprema Corte, cassando punto per punto le motivazioni del giudice di pace, hanno accolto il ricorso di via Nazionale sottolineando, tra l'altro, che accettare un simile pronunciamento, comunque, metterebbe in discussione "le scelte con cui lo Stato, attraverso i suoi competenti organi istituzionali, ha configurato la propria politica monetaria, in coerenza con la decisione di aderire ad un sistema elaborato in ambito europeo e di fare parte delle istituzioni create all'interno di detto sistema".
Nella depositata oggi, i giudici di Piazza Cavour sanciscono quindi che tra le funzioni che rientrano nelle prerogative della sovranità degli Stati (come le politiche monetarie, nel caso specifico), non può interferire alcuna giurisdizione, sia civile che penale, tanto meno amministrativa o dei giudici onorari.
L'autore della citazione in giudizio per la Banca d'Italia è stato quindi condannato al pagamento di circa 1500 euro per le spese processuali.
La Suprema Corte non ha accolto la richiesta di risarcimento danni per "lite temeraria", constatando la buona fede del cittadino pugliese.

Mauro Novelli
Roma, luglio 2006

CITAZIONE DI BANCA D'ITALIA DINANZI AL GIUDICE DI PACE DI LECCE

UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI LECCE
ATTO DI CITAZIONE


Il signor De Gaetanis Giovanni, associato ADUSBEF Onlus , (C.F.: ***), nato a *** il 20.11.19** e residente in *** (Le) alla via ***, rappresentato e difeso, giusta procura a margine del presente atto, congiuntamente e disgiuntamente dall'avv. Antonio Tanza e dall'avv. Antonio Pimpini ed elettivamente domiciliato in Lecce alla via Martiri d'Otranto n. 4 presso e nello Studio dell'avv. Antonio Tanza

PREMESSO

- che l'esponente è Cittadino Italiano, ed è altresì, facente parte dell'Unione Europea;
- che attualmente, l'emissione dell'Euro, nuova Moneta del circuito comunitario, è stata affidata alla Banca Centrale Europea, della quale le singole Banche Centrali dei Paesi Membri sono divenute articolazione su base nazionale, munite di legittimazione processuale passiva;
- che, ciò posto, la mera funzione di emissione va distinta da quella del prestito di denaro, sul decisivo rilievo che la prima ha finalità meramente tipografica e di conio, mentre la seconda presuppone la qualità di proprietario del bene, oggetto del prestito;
- che, pertanto, prestare denaro è prerogativa esclusiva del proprietario;
- che la BCE emette denaro prestandolo, recte addebitandolo alla collettività comunitaria, in assenza di alcuna norma che la riconosca proprietaria del bene giuridico moneta;
- che l'emissione della Moneta, attraverso il prestito, poteva ritenersi legittima quando la Moneta era concepita come Titolo di Credito Rappresentativo della Riserva, e, per ciò stesso, convertibile in oro, a richiesta del portatore della banconota;
- che, infatti, solo in detta ipotesi, la Banca Centrale poteva affermarsi proprietaria della Moneta, in quanto titolare della Riserva Aurea;
- che, tuttavia, una volta abolita la convertibilità e la stessa Riserva - anche nelle transazioni delle Banche Centrali - avvenuta con la fine degli accordi di Bretton Woods il 15 agosto 1971, la Banca di Emissione non è più proprietaria della Moneta, ma, ciònonostante, continua a comportarsi come se lo fosse, in quanto persevera nell'emettere Moneta, prestandola;
- che, al contrario, attualmente, il valore della Moneta nasce solo per convenzione sociale della Collettività, analogamente a quello che avviene per il francobollo di antiquariato, che ha valore per convenzione, e senza Riserve auree;
- che, infatti, la Moneta è misura del valore, ed è necessariamente anche valore della misura, in quanto ogni unità di misura ha la qualità corrispondente a quella dell'oggetto misurato, ed è creata dalla convenzione sociale;
- che, pertanto, la Moneta è un bene di Proprietà della Collettività, che accettandola, ed a causa della sola accettazione, crea il valore indotto, incorporandolo nel simbolo Monetario;
- che è evidente che il predetto valore Monetario nasce a costo nullo, per convenzione, ad eccezione delle sole spese di stampa;
- che, peraltro, la Moneta deve avere la qualità della rarità, perché ogni unità di misura deve avere la qualità corrispondente a quella dell'oggetto misurato (ecco perché anche la Moneta come misura del valore, e valore della misura dei beni economici, è un bene economico);
- che l'attuale sistema è affetto da una gravissima patologia, con gravissimi danni per tutte le collettività nazionali, in quanto la Banca Centrale Europea dovrebbe emettere la Moneta, accreditandola, mentre ha illecitamente trasformato la Collettività da proprietaria in debitrice del proprio denaro, in un ammontare del debito non dovuto, pari a tutto il denaro in circolazione;
- che, in conseguenza di tale illecito comportamento, il costo del denaro per la Collettività, è pari al 200%, oltre agli interessi, e agli accessori tutti, così da configurare l'aggressione della grande usura delle Banche Centrali, in danno delle Collettività Nazionali;
- che il nocumento, subito dal singolo Cittadino, è pari alla quota di Debito Pubblico indicata come gravante sul singolo componente della Collettività, mentre questi è creditore di tale somma, in conseguenza della perdita della Proprietà della Moneta, e dell'equivalente debito dovuto.
Pertanto, l'esponente - come in Atti rappresentato, domiciliato, e difeso

C I T A

la Banca Centrale Europea, e, per essa, la locale articolazione, individuata nella Banca Centrale d'Italia S.p.A., in persona del Governatore legale rappresentante p. t. corr. per la carica presso la Sede della Società in Roma alla Via Nazionale, 91, a comparire innanzi al designando Giudice di Pace di Lecce, via Brenta, all'udienza che si terrà il giorno 26.11.2004, ore 9.30 c.c., con l'invito a costituirsi nei modi e termini di legge con espresso avvertimento che non costituendosi incorreranno nelle decadenze si procederà in loro contumacia, per ivi sentire accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

Piaccia all'illustrissimo Giudice di Pace di Lecce, contrariis reiectis, in accoglimento della domanda, così provvedere:
accertare incidenter tantum e dichiarare che la Proprietà della Moneta è della Collettività Nazionale ed Europea, mentre la Banca Centrale ha unicamente il compito di provvedere alla stampa.
In conseguenza di ciò, dichiarare che l'intera Massa Monetaria in circolazione è di proprietà dei componenti dell'Unione Europea, e che, per l'effetto, il Debito Pubblico non esiste, dovendosi, al contrario, ritenerlo Credito Pubblico.
In conseguenza di ciò, condannare l'Istituto di Emissione al pagamento della somma, forfettariamente indicata, di Euro 1.100,00, con espressa rinuncia al sovrappiù, prudenzialmente indicata per le causali di cui in narrativa, ovvero in quella somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia, nei limiti della competenza del Giudice adito.
Condannare, altresì, il convenuto al pagamento delle spese, diritti ed onorari di causa.
Si dichiara ai sensi delle vigenti norme che il valore della causa è contenuto in euro 1.100,00.
In via istruttoria:
Si producono:
1) Copia della Carta d'Identità del Sig. Giovanni De Gaetanis e Certificato di Residenza, con l'attestazione della Nazionalità e della Cittadinanza.
2) B. Tarquini (ex Procuratore Generale di Cassazione)"La banca, la moneta e l'usura", Napoli, Controcorrente, 2003;
3) G. Auriti "Applicazione di una teoria dell'utilità ad una teoria del diritto e delle persone giuridiche" estratto dagli atti del 2° Congresso Nazionale di Filosofia del Diritto (Sassari, 2 giugno 1955 ), Milano, Giuffrè, 1956;
4) G. Auriti "L'ordinamento internazionale del sistema monetari", Teramo, Edigrafital, 1996;
5) G. Auriti " Il valore del Diritto", Teramo, Edigrafital, 1996;
6) F. Cianciarelli "Le origini storiche della moneta", Teramo, Edigrafital, 1996
7) F. Cianciarelli "Predoni, padroni planetari", Cosenza, 2M, 1998
8) S. Frigiola "La fabbrica del debito, dell'usura e della disoccupazione", Rimini, Pragmateia ass. culturale - 1999
9) G. Auriti "Il paese dell'utopia", Chieti, Tabula Fati, 2002;
Riservati i mezzi di prova.
Lecce, 12 ottobre 2004

Avv. Antonio Tanza
Avv. Antonio Pimpini

C.T.U. (Consulenza Tecnica d'Ufficio)

Scarica la perizia tecnica d'ufficio redatta dal dott. Maurizio Mazzeo da Lecce, consulente di fiducia del Giudice di Pace di Lecce (la perizia pesa 264 kb, è consigliabile cliccare qui col tasto destro del mouse e poi premere "salva oggetto con nome...").

C.T.P. (Perizia di parte attrice)

Quesito rivolto al CTU:
“accerti il CTU di chi sia la proprietà della moneta ed, in particolare, dica se questa sia
della collettività nazionale o di altro ente e, nell’ipotesi che essa appartenga alla collettività,
accerti il danno medio derivante dal cosiddetto “debito di signoraggio”

Premessa
Al fine di semplificare l’esposizione, con il termine banca o banca d’emissione si identificano sia la
B.d’I. che la B.C.E., posto che, stante il quesito, entrambe al momento dell’emissione monetaria, si
sono appropriate e continuano ad appropriarsi del signoraggio che si determina sul territorio
italiano, per poi ripartirselo fra loro.
Si ricorda che il signoraggio è l’utile realizzato in occasione dell’emissione monetaria determinato
dal valore nominale o facciale della moneta, meno il valore materiale della sostanza utilizzata per
realizzare la moneta stessa. Poiché da decenni le principali monete non contengono metalli preziosi
né risultano convertibili in essi, la materia con le quali vengono realizzate è formata da carta ed
inchiostro, percui il valore del signoraggio in caso di carta moneta è quello facciale meno le spese
tipografiche, in caso di moneta scritturale il solo valore nominale addirittura senza le spese
tipografiche.
La B. d. I ha cessato di emettere la Lira dal 1° gennaio 2002 è subentrata la B.C.E. che ha sostituito
la Lira con l’Euro. Si è avvalsa e si avvale del braccio operativo della Banca d’Italia, ha mantenuti i
medesimi comportamenti ed atteggiamenti preesistenti con la B. d. I. , l’unica differenza consiste
che prima Bankitalia s’impossessava del 100 % del signoraggio, ora solo del 92 % giacché l’8 %,
per loro accordi interni, va alla BCE. (all. n. 1).
Occorre anche precisare che la BCE non risulta iscritta in Italia al “registro delle imprese” e
tuttavia svolge sul territorio regolare attività imprenditoriale congiuntamente alla B. d. I. Poiché
secondo il nostro ordinamento giuridico la BCE era obbligata a dover depositare presso l’ufficio del
registro copia della procura con sottoscrizione, (art. 2205 – 2206 cc) ne deriva che debbono essere
applicati i criteri generali di riconoscimento, per cui la B. d. I. risulta rappresentativa della B.C.E. a
tutti gli effetti.
Si cerca di evitare, per quanto possibile le citazioni, considerando preminente ed esaustiva la logica
delle argomentazioni. Si considerano per acquisiti i contenuti dell’importante bibliografia già
allegata agli atti espressamente richiamata:
• Bruno Tarquini (ex.Procuratore Generale di Cassazione) “La banca, la moneta e l’usura”,
Napoli – Controcorrente, 2003
• Giacinto Auriti, “Applicazione di una teoria dell’utilità a una teoria del diritto e delle persone
giuridiche” estratto degli atti del 2° Congresso Nazionale di Filosofia del Diritto (Sassari 2
giugno 1955), Milano, Giuffrè, 1956
• Giacinto Auriti “L’ordinamento internazionale del sistema monetario”. Teramo, Edigrafital,
1996.
• Giacinto Auriti “Il valore del Diritto” Teramo, Edigrafital, 1996.
• F. Cianciarelli “Le origini storiche della moneta” Teramo, Edigrafital, 1996
• F. Cianciarelli “Predoni, padroni planetari”, Cosenza, 2M, 1998
• Savino Frigiola “La fabbrica del debito, dell’usura e della disoccupazione” , Rimini Pragmateia
ass. culturale 1997
• Giacinto Auriti “Il paese dell’utopia”, Chieti, Tabula Fati, 2002
• Marco Della Luna “ bozza di citazione alla BCE”
I documenti allegati assumono valore dimostrativo a sostegno delle argomentazioni affrontate.
Per identificare di chi sia la proprietà della moneta al momento della sua creazione, posto che
nessuna norma italiana od europea lo stabilisce e per meglio comprendere l’attuale disinvolto
atteggiamento delle banche d’emissione nei giorni nostri, giova inquadrare, anche se in maniera
schematica e succinta, l’evoluzione storica dei comportamenti umani e sociali inerenti all’uso ed
alle metamorfosi subite nel tempo dalla moneta, intesa come strumento di misura dei valori, per
facilitare e permettere gli scambi commerciali di beni e prodotti tra i diversi soggetti e le diverse
popolazioni, nei tempi reali alla transazione, ed ancor più utile e necessari in occasione delle
compravendite differite nel tempo.

Prime forme di scambio
Sino a quando lo scambio dei beni avvenne mediante il baratto diretto, il mercato non utilizzò alcun
strumento monetario.
Con l’andar del tempo, pian piano, il baratto cadde in disuso, prima parzialmente poi totalmente,
per passare ad utilizzare, anche se in maniera primitiva e rudimentale, i primi strumenti di misura
dei valori. S’iniziò con alcuni “beni – prodotti”, i quali avevano anche la caratteristica di poter
essere utilizzati e consumati direttamente quali: il grano, l’orzo, il sale, fave di cacao, the pressato
ecc. ecc.
In seguito, con il passar del tempo, nella lenta ma continua ricerca di migliorare la qualità e la
funzione degli strumenti di misura dei valori, prevalse la tendenza di utilizzare oggetti sempre più
specifici e convenzionali quali : conchiglie, perline, scaglie di guscio di tartarughe e di madreperla,
cristalli più o meno pregiati, pezzi di metallo più o meno rari, pezzi di legno particolari, ecc. ecc..

Nascita delle monete
Successivamente furono utilizzati oro, argento, bronzo e rame, con tecniche sempre più raffinate,
sino a giungere alla coniazione delle monete.
La necessità di razionalizzare continuamente lo strumento di misura dei valori, sulla spinta degli
scambi commerciali tra i vari paesi e le diverse civiltà, venute in contatto fra loro, ha fatto si che i
governanti del tempo assumessero, nell’interesse generale del mercato, l’iniziativa di utilizzare
l’oro, l’argento ed il rame, per coniare monete, al fine di garantire alla collettività il peso delle varie
monete ed il titolo di purezza dei metalli utilizzati.
Sino a quando il valore delle monete era conseguito quasi totalmente dal valore intrinseco del
metallo, sul mercato non si verificarono squilibri apprezzabili (scomparsa di ricchezza dal mercato)
poiché, il piccolo agio che il governante emittente tratteneva per sé (prima forma, anche se
estremamente blanda di signoraggio), corrispondeva quasi sempre al valore dei costi di conio e di
amministrazione, i quali sotto le varie remunerazioni delle voci di spesa, finivano per ritornare in
circolo sul mercato stesso.

Banche d’Emissione
Ben presto i banchieri mediante l’oro e l’argento che possedevano finirono per esercitare,
praticamente in esclusiva, l’attività dei prestiti e dei pagamenti, sia nei confronti dei privati che per
conto degli Stati, apportando l’innovazione di prestare ed utilizzare i titoli di credito, da loro emessi,
rappresentativi al posto dell’oro e dell’argento posseduti.
Nel 1694 appare la prima moneta cartacea ad opera del Banco d’Inghilterra, divenuta poi Banca
d’Inghilterra nel 1717, la quale immette sul mercato un milione di sterline di “notes of bank”,
corrispondenti al debito di 700.000 “sterline-oro” che il Re Guglielmo d’Orange, protestante, aveva
contratto con il Banco stesso, per finanziare la campagna di guerra per conquistare e sottrarre il
regno d’Inghilterra agli Stuart, cattolici.

Signoraggio iniziale.
Con il pretesto che risultava più facile maneggiare la carta rispetto alle monete metalliche, definite
pesanti ed ingombranti, i banchieri convinsero facilmente popolazioni e governanti ad utilizzare i
loro certificati di pagamento ed i titoli rappresentativi dell’oro e dell’argento, per ogni tipo di
transazione.
Con questo passaggio apparentemente razionale, innocente ed ingenuo i banchieri, all’insaputa delle
comunità, dei governanti e delle relative pubbliche amministrazioni, iniziarono a lucrare quanto non
dovuto e pattuito a danno dell’intero sistema economico e produttivo poiché, realizzarono ed
utilizzarono nelle transazioni i certificati ed i titoli convertibili, da loro stessi emessi, rappresentativi
dell’oro e dell’argento, ottenendo di fatto il raddoppio della ricchezza posseduta e della capacità
d’intervento nei traffici bancari.

Convertibilità
Sino a quando rimase la convertibilità in oro dei “titoli / carta moneta” messi in circolazione, questi
assunsero e mantennero la veste giuridica di “fede di deposito”. Man mano che nel tempo il
rapporto del titolo cartamoneta / oro andava modificandosi, (si cominciò presto a stampare, e quindi
prestare, cartamoneta in quantità più che proporzionale all’oro posseduto) si passò dalla parità
effettiva alla quasi parità, con la conseguente modifica dell’aspetto giuridico del titolo, in falsa
cambiale, (priva della scadenza) con la classica ed ambigua dicitura stampigliata sulla banconota:
“Lire mille pagabili a vista al portatore”. Dicitura addirittura scomparsa sulla cartamoneta
dell’Euro.
Si sorvola sui vari periodi nei quali si alternarono “circolazione forzosa” della “moneta carta”
(senza convertibilità con l’oro), a periodi con parità, a quelli con quasi parità più o meno
modificate, come quella della Lira del 1925 per la quale, la copertura e quindi la convertibilità
aurea, era decaduta al 40 % del valore facciale del titolo monetario. Successivamente, a causa delle
incerte convertibilità monetarie, che spesso si modificavano anche all’improvviso, con contraccolpi
nelle operazioni di cambio delle varie monete, emersero non pochi e preoccupanti disagi. (quota
novanta, crisi del 1929, ecc.)

Patti di Bretton Woods
Alla fine dell’ultimo conflitto mondiale, con i patti di Bretton Woods del 22 luglio 1944, si tentò di
mettere ordine nel sistema monetario internazionale. In sintesi gli accordi prevedevano che il
Dollaro restasse l’unica moneta convertibile in oro, con il cambio fisso di 35 Dollari per oncia, e
tutte le altre monete, con cambi flessibili rispetto al dollaro, potevano costituire riserva, oltre che
con l’oro, anche con il Dollaro stesso.
Di fatto, con questa impostazione, le varie monete, Lira compresa, mantennero una sorta di
convertibilità, anche se indiretta ed alquanto limitata attraverso il Dollaro, che a sua volta risultava
convertibile in oro.
Sino a quando furono vigenti i patti di Bretton Woods, le banche centrali iscrivevano all’attivo dei
propri libri contabili l’oro, l’argento e la valuta estera che possedevano, mentre i titoli monetari da
loro emessi li iscrivevano al passivo poiché, pur stante in essere solo la parvenza della convertibilità
monetaria, ciò era sufficiente per considerarli un debito, anche se in gran parte del tutto teorico e
fittizio, della banca verso il mercato poiché, in qualunque momento la cartamoneta emessa, a loro
dire, poteva essere, a richiesta del possessore, convertita in oro prima, od in Dollari dopo l’entrata in
vigore dei patti di Bretton Woods.

Fine della convertibilità
Il 15 agosto 1971, avendo l’America pressoché esaurite le proprie scorte d’oro, il Presidente Nixon
denunciò i patti di Bretton Woods per cui, da quel momento in poi, nessuna moneta, Lira compresa
poteva risultare essere convertibile.
A seguito e dopo di ciò, poiché ogni moneta, Dollaro compreso, mantenne praticamente inalterato il
proprio valore, si poté dimostrare inconfutabilmente, quanto già intuito e capito culturalmente prima
che, contrariamente a quanto veniva sostenuto sino a quel momento dagli ambienti bancari, il valore
della moneta non era determinato o conferito dalla sua riserva, la quale peraltro nel tempo si era
sempre più assottigliata, ma unicamente dal fatto che la moneta nella sua veste di strumento di
misura del valore, contestualmente rappresentava e rappresenta anche il valore della misura.
Il valore della moneta è dunque convenzionale, come tutti gli altri valori, che si determina e si
concretizza per induzione dalla comunità che la utilizza, rappresentata nel suo insieme dallo Stato
d’appartenenza.

Accertamento logico
Per determinare chi sia il proprietario della moneta al momento dell’emissione, occorre stabilire ed
individuare con precisione il momento nel quale, il semplice foglietto di carta stampata diventa ed
assume la caratteristica di moneta, e quindi titolo di valore reale a tutti gli effetti. Nella fase della
confezione tipografica della carta moneta, nasce un semplice foglietto stampato, privo di qualunque
valore, se non quello intrinseco relativo alla carta e all’inchiostro, così come qualunque altro
stampato predisposto da qualunque altra officina tipografica.
Per meglio chiarire questo aspetto di tutto rilievo, giova ripercorrere ed analizzare ciò che avviene
al momento della emissione ed immissione della moneta, così come dichiarato nella attuale
comparsa dei convenuti, ed in altra precedente, sempre della Banca d’Italia. (all. n. 2).
La Banca d’Emissione emette, dopo aver provveduto a stamparla a propria cura e spese, la
cartamoneta, (è ancora semplice merce), ne cede la proprietà allo Stato, ottenendo in contropartita
titoli e valori mobiliari, (quelli del debito pubblico) non già corrispondenti al valore della “merce =
carta + stampata”, (di pochi centesimi), bensì a quello facciale stampigliato sulla cartamoneta
stessa.

Signoraggio attuale
Esattamente questo è il signoraggio di cui s’impossessa la Banca d’Emissione, che consiste nella
differenza tra il valore facciale della cartamoneta ed il costo di carta ed inchiostro per stampare i
biglietti. (operazione descritta a bilancio della B.d’I. sotto la voce “titoli di Stato da con cambio ex
legge 483 / 93” all. n. 3).
Si viene a creare la stessa situazione di quando, il presidente di una squadra di calcio, dopo aver
ordinato in una tipografia la stampa dei biglietti per l’ingresso allo stadio, nel momento della
consegna e del pagamento, in vece dei pochi centesimi per biglietto, si senta avanzare dal tipografo la richiesta di corrispondere il valore facciale da lui stampigliato sui biglietti d’ingresso, con la
motivazione che:
“il biglietto vale l’importo facciale in esso stampigliato, poiché corrisponde a quanto è disposto a
sborsare lo spettatore per assistere alla partita di calcio”.
E’ del tutto evidente che non è il tipografo che conferisce il valore corrispondente a quello facciale
al biglietto, bensì, il diffuso desiderio dei tifosi di assistere alla partita, tutta l’organizzazione di
uomini e mezzi, nonché l’apparato necessario allo svolgimento dell’incontro calcistico,
rappresentato dal presidente della società calcistica, proprietaria della squadra di calcio e delle varie
infrastrutture ed attrezzature .

Valore e proprietà della moneta
Alla stessa stregua della pretesa assurda del tipografo, non può essere la Banca d’Emissione a
conferire il valore, corrispondente a quello facciale, stampigliato sulla cartamoneta stessa da essa
predisposta.
Puntuale conferma in tal senso giunge dalla risposta all’interpellanza alla Camera dei Deputati del
17 marzo 1995. Il Sottosegretario di Stato per il Tesoro Carlo Pace, sostenne che la Banca d’Italia
non “fosse proprietaria dei valori monetari avendo per legge solo il compito istituzionale di
emettere moneta e quindi crearla” (Bruno Tarquini – La Banca la moneta l’usura pag. 27).
Non deve trarre in inganno se la Banca d’Emissione, oltre a stampare la moneta, esegua per conto
dello Stato una serie di servizi ed incarichi secondari, riguardanti l’amministrazione e la gestione
della moneta stessa. Anche se tali incarichi, vengono conferiti medianti leggi o decreti legge dello
Stato, è del tutto inutile che la controparte tenti disperatamente di ammantarsene, nella speranza di
far apparire ed accreditare la privatissima Banca d’Italia, composta di soci altrettanto privati, come
organo pubblico dello Stato. Essa non è lo Stato, è esterna allo stato, è controparte controinteressata dello Stato. In ogni caso, anche se le disposizioni alla Banca d’Italia vengono impartite per decreto legge, sempre e solo di ordini di servizio si tratta, sulla natura dei quali non può essere tentata, ed ancor peggio accettata, alcuna interpretazione estensiva per quanto concerne il ruolo della ex Banca d’Emissione.
Orbene risulta evidente che il valore alla moneta non può essere conferito da chi materialmente ne
cura l’aspetto fisico e tipografico (in questa fase è ancora una semplice merce di proprietà della
Banca), pertanto, se non altro che per esclusione, non resta altra possibilità, se non quella di
affermare che il valore della moneta viene conferito dalla comunità che la utilizza, riconosciuta e
rappresentata dallo Stato d’appartenenza di ogni Paese.
A questo punto, risulta abbastanza incomprensibile pensare come possa essere stato possibile
chiedere, ed ancor più ottenere dallo Stato il pagamento dell’intero valore facciale monetario, come
descritto dalla stessa Banca, quando in occasione dell’emissione monetaria “la Banca d’Italia cede la proprietà dei biglietti, i quali, in tale momento, come circolante, vengono appostati al passivo
nelle scritture contabili dell’Istituto di emissione, acquistando in contropartita, o ricevendo in
pegno, altri beni o valori mobiliari (titoli, valute ecc.) che vengono, invece, appostati nell’attivo”.

Debito Pubblico
Questi sono i titoli di Stato, corrisposti alla Banca d’Italia in contropartita alla emissione monetaria,
responsabili della formazione del debito pubblico, che si sviluppa di pari passo con la
monetizzazione del mercato stesso.
La moneta diventa valore monetario nel momento in cui la collettività, rappresentata dal suo organo
pubblico quale è lo Stato, per convenzione l’accetta, nella previsione di utilizzarla come strumento
di misura del valore sotto tutti gli aspetti: per il potere d’acquisto e di pagamento che rappresenta,
per la capacità di essere tesorizzata e per la possibilità di poter determinare un importo certo in caso
d’indebitamento o di pagamento differito.

Accertamento giuridico
Come abbiamo già visto, il titolo monetario, al momento dell’emissione da parte della Banca
preposta, non ha ancora il valore di moneta corrente e pertanto sotto l’aspetto giuridico non può
essere identificato già moneta, giacché ancora privo del requisito essenziale, determinato
dall’accettazione da parte del mercato nazionale, e per esso da parte dello Stato.
L’accettazione della moneta, universalmente riconosciuta, attribuisce in quel preciso istante, per
convenzione, pieno valore alla moneta stessa la quale, contestualmente assume anche la veste di
strumento di misura del valore.
Il valore della cartamoneta è quindi convenzionale, pertanto la proprietà del valore determinato
dalla convenzione di tutti i cittadini, deve essere riconosciuto ed attribuito a chi ha i poteri di
rappresentanza della intera collettività e quindi allo Stato. Tale valore non può essere riconosciuto
alla compagine privata, la quale attualmente cala sul territorio un simbolo monetario come l’Euro,
la cui contraffazione non è previsto contrastarla da leggi specifiche dello stato, ma da una semplice
e privata © di copyright, la qual cosa può al massimo valere per quanto attiene all’aspetto grafico e
decorativo del titolo monetario.
Dall’atteggiamento e dal tono dei suoi difensori, la Banca d’emissione, giocando anche la
inopportuna carta della rispettabilità, vorrebbe far credere di essere convinta di ritenersi proprietaria
della moneta per titolo originario, ben sapendo di non possederne i requisiti poiché, quando
trasferisce i titoli da lei approntati, questi ancora moneta non sono, in quanto privi del requisito,
quale l’accettazione, conferito dalla collettività nazionale tramite lo Stato.
Tutto al più, oltre ad eventuali altri servizi richiesti da remunerarsi a parte, può essere riconosciuto
dallo Stato alla Banca d’Emissione, il costo tipografico per il puro e semplice biglietto di carta
stampata, in conformità all’art. 939 C.C.
Questa impostazione oltre ad essere giuridicamente corretta, eviterebbe allo Stato, come già
avvenuto in qualche altra circostanza nel passato, di dover comprare ogni anno valori che già di
fatto gli appartengono.
La cosa di per se non è di poco conto, se si considera che, a vantaggio della Banca privata ed a
danno dello Stato e dei propri cittadini, con questa disinvolta operazione di concambio si alimenta
ogni anno il debito sia pubblico che privato, proprio nel momento della emissione ed immissione
monetaria; debito che finisce per ricadere sulle spalle di tutti i cittadini e dell’intero sistema
produttivo nazionale, al punto tale che risultiamo tutti indebitati: Stati, privati cittadini, Pubbliche
Amministrazioni, aziende, famiglie, istituzioni, tranne le banche centrali ed il sistema bancario, con
bilanci sempre più floridi ed attivi.
Il disinvolto atteggiamento del modus operandi della Banca, trova perfetto riscontro ed ancor più si
evidenzia, se si osserva la tecnica utilizzata dalla Banca per contabilizzare le proprie operazioni
amministrative in simili frangenti.
Giova ripetere integralmente l’enunciato della stessa Banca “la Banca d’Italia cede la proprietà dei
biglietti, i quali, in tale momento, come circolante, vengono appostati al passivo nelle scritture
contabili dell’Istituto di emissione, acquistando in contropartita, o ricevendo in pegno, altri beni o
valori mobiliari (titoli, valute ecc.) che vengono, invece, appostati nell’attivo”.
La Banca con una ardita manovra riesce a farsi corrispondere dallo Stato, a prezzo di valore facciale
pieno della moneta emessa, dei pezzi di carta stampati, di valore irrisorio, per quanto protetti siano
dal © di copyright in favore della Banca Centrale Europea. Iscrive il valore dei titoli ottenuti, quelli
del debito pubblico, nelle proprie partite contabili attive.
Non ancora sazia e soddisfatta, utilizza anche la destrezza, quasi per svista, di continuare ad
iscrivere la medesima somma, sempre quella della moneta emessa, anche tra le voci passive della
propria contabilità, (al punto 1 della situazione patrimoniale passiva nel bilancio Bankitalia, con la
denominazione “banconote in circolazione”), come se fosse ancora vigente la convertibilità che,
come abbiamo visto, risulta definitivamente inoperante e decaduta sin dal 15 agosto 1971,
contestualmente alla denuncia ed alla abolizione dei patti di Bretton Woods.
All’artifizio contabile di far scaturire da un’unica operazione, quale è l’emissione monetaria, due
voci contabili, una attiva ed una passiva di pari importo, già di per se stravagante e censurabile, si
aggiunge l’aggravante per il fatto che, il numero corrispondente alla voce passiva è un aggregato
delle somme delle banconote emesse in precedenza con quelle dell’anno di riferimento del bilancio,
mentre i numeri iscritti nelle voci attive, riguardanti i titoli del debito pubblico, vengono decurtati
alla regolare scadenza dei medesimi. (all. n. 4). Deve anche essere aggiunto che mentre i titoli di
stato, iscritti all’attivo vengono regolarmente pagati, la somma iscritta al passivo corrispondente alla
voce “banconote in circolazione”, sicuramente non sarà mai pretesa da alcuno.

Conseguenze:
L’attivo di bilancio nella situazione patrimoniale della Banca viene eluso da una fittizia e reiterata
passività, che non poteva essere più considerata da oltre 30 anni. Fatto di tutta rilevanza se si
osserva che, mentre la BCE incassa l’8 % del signoraggio che si determina in ogni Nazione,
compresa l’ Italia, e non paga le tasse per privilegio comunitario, (non si capisce a quale titolo
ottenuto), (all. n. 5), la Banca d’Italia incamera il restante 92 % del signoraggio che si determina sul
suo territorio d’influenza.
Pertanto non solo elude le tasse in base ai risultati di bilancio, che in Italia deve pagare come
qualunque altra S.p.A., ma per conseguenza riesce ad assottigliare anche quanto deve essere
corrisposto allo Stato, in base al proprio Statuto (all. n. 6).Art. 54 dello Statuto Bankitalia ultima
parte, ove recita che l’utile di bilancio, dedotte le somme da destinare a riserva e gli utili in ragione
del 10 % da destinare ai partecipanti, ora privati, deve essere conferito allo Stato.

Constatazioni
Appare di tutta evidenza l’inopportunità di continuare ad utilizzare una struttura del tutto privata,
esterna agli organi dello Stato, quale è la Banca d’Italia, per esercitare la vitale funzione di
monetizzare il mercato nazionale, proprio per evitare di far crescere un debito pubblico vero con
manovre inutili e fittizie, come ora avviene. Ciò risulta assolutamente auspicabile per evitare le
perniciose conseguenze che ricadono sui cittadini e sull’economia dell’intera Nazione. Il tutto
sarebbe risolto nel momento che lo Stato provvede a monetizzare il mercato, come peraltro già
accaduto in periodi passati più o meno recenti (all. n. 7). Così facendo la moneta appena emessa
viene iscritta direttamente all’attivo nello stato patrimoniale del bilancio dello Stato, senza
alimentare alcun debito fittizio in favore di apparati parassitari del tutto privati. Se lo Stato è
credibile e solvibile quando stampa ed emette i titoli del debito pubblico, certamente lo deve essere
anche quando emette e stampa la propria moneta.

Costituzione
Anche sotto l’aspetto costituzionale s’impone che lo Stato si riappropri della Sovranità Monetaria
per sostituire con la moneta accreditata quella attualmente addebitata. Ciò non solo gioverebbe al
miglioramento dell’economia generale e personale dei cittadini, attualmente oppressi dal debito,
vessati materialmente e moralmente, (siamo arrivati al punto che i suicidi per insolvenza non fanno
più notizia) ma si vengono anche a soddisfare numerosi e diversi dettami della nostra Costituzione,
palesemente violati e disattesi in questa materia.
l’Art. 1 della Costituzione Italiana al seconda comma riporta testuale:”La sovranità appartiene al
popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.” La sovranità monetaria risulta
parte integrante ed inscindibile di quella nazionale, quindi non può essere ceduta a soggetti diversi
dallo Stato italiano e, se ceduta, gli atti di cessione e gli atti che ne conseguono (leggi, trattati, decreti, titoli di debito pubblico, pagamenti ecc.) sono tutti nulli ed invalidi, ab origine, perché
contrari alla Costituzione ed eversivi dell’ordinamento democratico costituzionale.
l’Art. 3 della Costituzione Italiana al seconda comma riporta testuale:”E’ compito della repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Senza disporre delle leve economiche e monetarie, qualunque governo di qualunque colore non solo
è impossibilitato ad attuare i propri programmi di sviluppo, ma anche di poter governare ed
impostare una qualunque politica economica e sociale.
l’Art. 11 della Costituzione Italiana riporta testuale: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di
offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali;
consente in condizione di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un
ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le
organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.” La limitazione della sovranità nazionale come
quella monetaria, subita dal nostro Paese, serve unicamente a trasferire ricchezza, faticosamente
prodotta dall’intera popolazione, ad una consorteria di banchieri privati, a danno e con grave
discapito delle posizioni sociali e produttive nazionali. La BCE non ha il fine di assicurare la pace e
la giustizia tra le Nazioni; quindi il presente Articolo non consente la cessione di sovranità
monetaria alla BCE.
l’Art. 23 della Costituzione Italiana riporta testuale:”Nessuna prestazione personale o patrimoniale
può essere imposta se non in base alla legge.”
Infatti nessuna legge prescrive che una popolazione per utilizzare uno strumento econometrico,
quale è la moneta, debba prima accendere il debito pubblico per pagare l’intero valore facciale del
titolo monetario e poi continuare a pagare gli interessi sul debito pubblico, la qual cosa si traduce in
una pesante tassa occulta che si riversa sulle spalle di tutti i cittadini.
Sinallagma
Lo Stato, impegnandosi a pagare interessi e a rimborsare il denaro emesso e prestato dalla banca
d’emissione si impegna ad una prestazione in cambio di niente. Anche secondo questo aspetto non
risultano soddisfatte le condizioni di prestazioni corrispettive fra la Banca d’Italia / BCE e lo Stato
italiano. Appare sempre più evidente che, grazie a politici alquanto sprovveduti, che si sono
susseguiti sino ad ora, lo Stato è finito per assumere solo oneri che trasferisce automaticamente in
carico della comunità nazionale.
Per quanto attiene al debito pubblico è doveroso che lo Stato, attraverso le sue competenti sedi quali
il Ministero dell’Economia ed altri, sia vigilante e si autotuteli, verificando contestualmente in quale misura tale debito pubblico, formato dalle presenti modalità di emissione monetaria, possa essere
eliminabile usando la monetizzazione diretta del mercato da parte dello Stato.
Alle obiezioni, di quanti più o meno in buona fede, paventano il rischio d’inflazione, con
l’emissione diretta da parte dello Stato, (in ogni caso sempre meglio della deflazione) occorre far
presente che non è la quantità di moneta che deve restare costante, od ancor peggio diminuire, ma il
rapporto tra circolazione monetaria (strumenti di misura del valore) e beni da misurare. In tal senso
ai nostri giorni sussistono sistemi e strumenti di rilevazione perfetti ed assolutamente attendibili
Proprio per mantenere costante tale rapporto la massa monetaria deve crescere, senza creare nuovo
debito al momento dell’emissione, man mano ed in armonia all’incremento economico del mercato
ed all’incremento demografico nazionale, pena la stagnazione e la recessione.
La controparte sostiene il contrario e cioè: “i cittadini accettano la moneta solo perché vale”, ed
insinuano che tale valore è conferito dalla Banca d’Emissione.
Definitiva riprova per smentire la controparte la si ottiene immaginando quale valore possa avere
una qualunque moneta o un qualunque strumento econometrico, in un’isola deserta o con un solo
abitante.
Si comprende facilmente che se il valore della moneta viene conferito da chi la emette o per il © di
copyright sopra apposto, allora tale valore dovrebbe sussistere comunque, indipendentemente dalla
presenza o meno degli utilizzatori interessati ad utilizzarla.
Poiché così non è, si comprende e si evince che non può esistere ricchezza nel regno dei morti,
giacché presupposto indispensabile della ricchezza è proprio la vita, per l’appunto la vita dei
cittadini, grazie alla quale prende valore la moneta sul presupposto di poterla utilizzare per il
soddisfacimento dei propri bisogni futuri, individuali e collettivi.

Quantificazione del danno
Il danno causato dal capovolgimento dell’attribuzione della proprietà della moneta, al momento
dell’emissione, conferita alla Banca Centrale in vece che alla collettività e quindi allo Stato
d’appartenenza, determina al Paese, al sistema economico nazionale, alla comunità, all’intero
mercato, alle singole imprese, ed ai singoli cittadini un danno grave, oltre che economico, anche
strutturale di tutta rilevanza.
Per averne una prima idea dell’ordine di grandezza del fenomeno, e sino a che punto il sistema
“economico – monetario”, così come impostato risulti perverso, è sufficiente effettuare alcune
semplici riflessioni e constatazioni:
Da moltissimi anni a questa parte il bilancio primario dello Stato è risultato e risulta fortemente
attivo; diventa passivo dopo aver pagato gli interessi sul debito pubblico (all. n. 21). Da ciò se ne
deduce che le singole annualità passive di bilancio, che poi incrementano il debito pubblico, non
sono determinate dalle maggior spese effettuate dallo Stato rispetto alle riscossioni tributarie, bensì dal pagamento di debiti e relativi interessi, che si sono formati al di fuori della gestione ordinaria
del bilancio generale dello Stato, inteso come l’elencazione dei tributi ed imposte riscossi, registrati
all’attivo, e le spese per l’erogazione dei servizi ed investimenti pubblici, registrati al passivo.
Tali debiti, per l’appunto, non determinati dalle maggiori spese per erogazione di servizi ai cittadini,
sono proprio quelli causati dalla consegna dei titoli del debito pubblico al sistema bancario e
monetario in contropartita, come abbiamo visto, all’emissione della moneta. Prima di esaminare
tabelle ed impostare conteggi analitici per quantificare il danno medio da accertare, è opportuno
soffermarsi anche sul seguente importante aspetto:
Lo Stato ha pagato e paga, da molti anni a questa parte, interessi passivi pari ad oltre il 30 % del
proprio bilancio annuale (all. n. 8) Le conseguenze che ne derivano possono dar luogo a due
fenomeni distinti e completamente diversi a seconda di come vengono risolti i rispettivi casi:
1°) se tutte le somme rastrellate sul mercato e confluite nelle casse dello Stato, per tasse ed imposte,
sotto qualunque voce di spesa, legittime ed anche illegittime, ritornano sul mercato stesso, (e non è
il nostro caso) il rapporto preesistente tra circolazione monetaria e beni da misurare resta costante,
non si verifica sul mercato nessun tipo di squilibrio, pertanto non si determina né inflazione né
deflazione.
2°) Poiché una parte di dette somme (tasse ed imposte riscosse come a bilancio dello Stato) non
rientrano in circolo sul mercato stesso, in quanto confluiscono direttamente nelle casse
dell’apparato bancario, sotto la voce pagamento degli interessi passivi, ne deriva che si viene ad
alterare il rapporto preesistente tra “circolazione monetaria” e valori e beni da misurare. (senza
considerare l’incremento della quantità dei beni verificatesi nel frattempo, anch’essi da
considerare) Ritorna in circolo sul mercato una quantità inferiore di moneta, rispetto a quella
esistente prima del prelevamento fiscale.
In questo caso si verifica la deflazione causata dalla minor quantità di denaro ritornato in circolo sul
mercato stesso. Per mitigare gli effetti nefasti della deflazione vedi (all. n. 9), vera piaga esistente da
sempre sul nostro territorio, causa d’infiniti guai per la popolazione: dall’emigrazione prima -
all’usura – dalla disoccupazione ai suicidi per insolvenza poi, ecc. ecc., si è costretti, per ripristinare
il rapporto preesistente, (circolazione monetaria beni da misurare) a ricorre a nuova immissione
monetaria sul mercato, che fa nascere, come abbiamo visto, nuovo debito sia pubblico che privato.
Tale nuovo debito si somma a quello preesistente che genera interessi da pagare sempre più alti,
perpetuando così questo perverso meccanismo. (oltre al debito pubblico che s’incrementa
annualmente (all. n. 10), quello privato ha raggiunto mediamente la quota di 16.000 Euro per
famiglia -32 milioni di vecchie lire).
Nella sua rozza e perversa applicazione, la tecnica utilizzata per soggiogare l’intera popolazione,
mediante l’amministrazione del debito così artatamente costruito, risulta di una efficacia quanto mai
straordinaria.
Lo schema operativo è abbastanza semplice ed ovviamente tutto ciò può solo avvenire con la
compiacenza e la complicità di alcuni ambienti politici:
Prima si monetizza il mercato quindi s’incrementa il Debito Pubblico, in contropartita alla quantità
di moneta emessa; successivamente la moneta viene ritirata dal mercato a vario titolo, senza
eliminare contestualmente i titoli del debito pubblico corrispondenti, ceduti in contropartita
all’emissione monetaria, che restano in essere. Si ritorna poi a rimonetizzare il mercato con la
medesima tecnica e così via all’infinito.
Con questa ed altre tecniche similari si è costruito il grosso del debito pubblico.
Significativa importanza in tal senso hanno le operazioni inerenti ai famosi “residui passivi”
(residui perenti per le Pubbliche Amministrazioni); Residui provenienti dai fondi assegnati in
gestione ad organi periferici ai sensi dell'art. 2 della legge 17 agosto 1960, n. 908 e seguenti. In
queste circostanze, le somme stanziate alle Pubbliche amministrazioni per la realizzazione di opere
e non ancora spese entro il termine prescritto vengono eliminate, ma non i titoli del debito pubblico
corrispondenti alla loro emissione che viceversa e continuano ad accumularsi il passivo esistente.
Mentre sussiste una abbondante normativa, aggiornata periodicamente, per quanto riguarda le
procedure (all. n. 11) finalizzate a togliere ogni anno dalla circolazione un’importante massa
monetaria, in precedenza emessa, non vi è alcun cenno per quanto attiene alla eliminazione dei titoli
passivi dello Stato rilasciati in contropartita alla su citata moneta.
Ovviamente se la moneta fosse emessa dallo Stato, in nome e per conto dei cittadini, cadrebbe
anche la necessità di dover ovviare a queste dimenticanze.
Anche se reperire le documentazioni su questi argomenti non risulta agevole, come si evince dagli
allegati (all. n. 12), pur tuttavia utilizzando i documenti che ci è consentito disporre, si può giungere
ugualmente, usando il buon senso comune, a conclusioni certe ed inconfutabili perché oggettive.

Metodi di conteggio
1°) Nel 1971 il debito pubblico,in Italia, era attestato al 20 % del PIL. (all. n. 13) Nello stesso anno
decadono i patti di Bretton Woods. Ciò significa che lo Stato da allora, decaduto l’obbligo della
convertibilità monetaria, avrebbe potuto benissimo emettere la propria moneta, come avvenuto
anche in alcune occasioni in passato (all. n. 14) incamerando il relativo signoraggio, la qual cosa
avrebbe evitato allo Stato d’indebitarsi e di pagare ogni anno cifre astronomiche sui relativi
interessi.
Il danno derivante allo Stato per non aver emesso direttamente la propria moneta, (biglietto di stato
a corso legale (all. n. 15) ha fatto si che il debito pubblico passasse dal 20 % sul PIL nel 1971 al 120 % nel 1994, per poi attestarsi intorno al 105 % negli anni 2000. A questo valore di tutto
rispetto, (il debito pubblico si è attestato intorno ad un milione 381.000 milioni di Euro) (all. n. 16)
la cifra è così imponente che la nostra mente ha difficoltà a quantificarla, vanno aggiunte le somme
pagate ogni anno per interessi passivi, anche questi importi risultano altrettanto rilevanti poiché la
media negli anni 90 è risultata di circa 180.000 miliardi di lire annue, (all. n. 17) per arrivare agli
attuali 76.500 milioni di Euro (all. n. 18).
2°) Importi altrettanto rilevanti, analizzati con metodo diverso, emergono osservando la scadenza ed
il rinnovo dei titoli di debito dello Stato (all. n. 19).
Al danno economico di per sé sicuramente rilevante, deve essere aggiunto anche quello strutturale
per quanto concerne il sistema Paese. L’oppressione economica realizzata su tutto il territorio in
conseguenza del pagamento degli interessi passivi di tali proporzioni, (del tutto evitabili se lo Stato
avesse mantenuto la proprietà ed emesso la propria moneta) relativi alla massa debitoria pubblica,
fittiziamente ed artatamente procurata, ha impedito sia all’apparato pubblico che a quello privato di
poter realizzare gli indispensabili investimenti nel campo della ricerca e in quella della innovazione
tecnologica. La perdita di competitività nei confronti dei paesi nostri concorrenti, forse non più
recuperabile, rischia di aver causato un danno alla collettività ed all’apparato produttivo nazionale
di dimensioni ancora maggiori di quelli prettamente economici, pur assolutamente rilevanti.
Ulteriore conferma alla grave situazione che si è venuta a determinare, scaturisce dall’attento esame
del documento (all. n. 20), dal quale si evince che la percentuale del debito pubblico rispetto al PIL
nell’anno 1941 era pari al 30 %, mentre nell’anno 1951, nel cui periodo si è verificato il disastro di
una guerra persa, la percentuale si era incrementata di appena il 2 %, attestandosi sui valori del 32
%.
Poiché nel 1971 la percentuale del debito pubblico era ridiscesa al 20 %, sempre rispetto al PIL, per
poi ritrovarcela nel 1994, trascorsi appena 23 anni, su valori superiori al 120 %, con un incremento
nel periodo del 600 %, senza che si sia verificato nell'arco dei 23 anni alcun cataclisma naturale o
guerra guerreggiata, principali cause, da sempre, dell'incremento del debito pubblico, dimostra che
il perverso meccanismo messo in atto per monetizzare il mercato mediante la creazione parallela del
debito pubblico, è costato all'intera comunità più di diverse guerre perse.

Conclusioni
Da quanto sopra esposto risulta evidente che:
1) Economicamente, il valore della moneta (compreso il suo potere d'acquisto) non è conferito
dalle banche emittenti, ma dal mercato e dalla comunità che la utilizza.
2) Giuridicamente, in base alla Costituzione italiana vigente, il potere di emettere denaro spetta
inalienabilmente allo Stato e ogni situazione, norma, convenzione o pratica diversa risulta
illegittima ed invalida; quindi la proprietà della moneta al momento della sua emissione e la titolarità del suo valore possono essere unicamente dello Stato, in rappresentanza della popolazione
amministrata.
3) In base ai principi del diritto civile, lo Stato, sta pagando ed impegnandosi a pagare forti
somme alla banca d'emissione, senza ricevere una adeguata prestazione in cambio, con grave danno
per l'intera popolazione; questo comportamento è illegittimo per i motivi giuridici suddetti.
Risposta alla prima parte del quesito
Conseguentemente, per quanto sopra esposto, la moneta ed il suo valore (potere d'acquisto) al
momento dell'emissione, non possono che appartenere, ed appartengono al popolo sovrano.
Non può essere attribuita la proprietà di un bene ad un soggetto giuridico il quale iscrive, nei propri
libri contabili, il bene stesso al passivo

Risposta alla seconda parte
Il danno arrecato dal signoraggio monetario esercitato ad opera e beneficio della banca d'emissione
in luogo dello Stato è stimabile in più componenti:
1) danno diretto composto dalle seguenti voci:
a) la totalità del debito pubblico esistente
b) la sommatoria degli interessi passivi pagati e da pagarsi
c) la sommatoria dei rimborsi del debito pubblico in conto capitale già eseguiti
d) la privazione dell'esercizio della sovranità politica del popolo e del cittadino
e) distorsioni nel mercato e nello sviluppo
2) danno indiretto -pure dovuto, perché il fatto che lo genera è un comportamento illecito che
vede il concorso della banca d'emissione con pubblici amministratori, con ruolo dominante
svolto dalla prima, la quale ne è la reale beneficiaria ed orchestratrice. La banca dimostra di
detenere di fatto il potere e di gestire a suo piacimento questo sistema illegittimo:
a) provoca l'indebita sottrazione di risorse, con la conseguente perdita di opportunità di
sviluppo dell'intero mercato e del mantenimento, sia per quanto riguarda il pubblico ed il
privato, della competitività internazionale dell'intero sistema Nazione
b) principale causa dell'indebita pressione fiscale
c) perdita di servizi pubblici e mancata realizzazione d'infrastrutture per mancanza di
fondi, come si verifica nel nostro Paese da oltre 30 anni
Il danno medio stimabile è sicuramente rilevante ed ingente, lo si può quantificare, per la sola
componente patrimoniale diretta, sommando gli importi di cui al punto 1) a) + b) + c).
Savino Frigiola

NOTE CONCLUSIVE

UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI LECCE
Note conclusive

Proc. n. 3712/04 RGC - GdP Avv. Cosimo Rochira
Per Giovanni ***, associato di ADUSBEF , con gli avv.ti Antonio Tanza del Foro di Lecce e Antonio Pimpini del Foro di Chieti
ATTORI
Contro Banca Centrale Europea - Banca Centrale d'Italia S.p.A., con gli avv.ti Marino Ottavio Perassi, Marco Mancini e Adriana Frisullo
CONVENUTA


€€€€€

Alla luce dell'istruttoria espletata e sulla base delle argomentazioni addotte, può affermarsi con il massimo grado di certezza il fondamento della domanda proposta dall'attore.


I
ATTUALITA' DEGLI INTERESSI IN CAMPO

Appare, tuttavia, preliminare evidenziare come, per circostanze e coincidenze del tutto casuali, la materia trattata nell'odierno procedimento, introdotto con la pionieristica citazione notificata in data 19 ottobre 2004, ha assunto un'attualità eclatante a seguito del recentissimo, e tuttora in corso, dibattito politico sulla natura, organizzazione, proprietà e finalità della Banca d'Italia.
Il Parlamento italiano, infatti, sarà a breve chiamato a discutere in sede legislativa la riforma della Banca Centrale approntata dal Governo (Doc. 1 - Emendamento al testo del DDL Risparmio relativo alla Riforma della Banca d'Italia approvato dal Consiglio dei Ministri il 2 settembre 2005).
In verità, i mass media hanno dato risalto alla durata e ai poteri del Governatore, senza avvedersi che tale profilo rappresenta una conseguenza naturale e, per certi aspetti, ovvia, rispetto alla principale questione della proprietà dell'azionariato della banca centrale e quindi del diritto a partecipare agli utili (Doc. 2 "L'assetto proprietario sarà trasparente" di Isabella Bufacchi in "Sole 24 ore" del 26 agosto 2005; Doc. 3 "dossier sulle intercettazioni. La controffensiva di Castelli" di Marco Cremonesi in "Corriere della Sera" del 30 agosto 2004; Doc. 4 "Quel paradosso delle banche padrone dell'arbitro" di R. Boc. in "Sole 24 ore" del 31 agosto 2005).
In altri termini, il dibattito che è scaturito dalla cd. vicenda Fazio, non è tanto sulla regolamentazione del poteri e sulla durata in carica del Governatore, quanto una meritoria presa di posizione dello Stato Italiano di riappropriarsi di risorse (nella specie il cd. reddito di signoraggio), dal quale era stato, seppur in parte qua, espropriato in favore di soggetti privati.
Invero, è singolare, se non addirittura assolutamente inaccettabile, che l'istituto di emissione di uno stato sovrano sia, in primis, una società per azioni commerciale, nonché partecipato, per la maggioranza assoluta, da soggetti privati che nulla hanno a che vedere con le ragioni pubbliche che dovrebbero presidiare ogni determinazione relativa alla banca centrale.
La questione è assurda solo ove si pensi che la stessa Banca d'Italia nel suo statuto all'art. 3, comma 3, così recita: "Le quote di partecipazione possono essere cedute, previo consenso del Consiglio superiore, solamente da uno ad un altro ente compreso nelle categorie indicate nel comma precedente. In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici." (Doc. 5 - Statuto della Banca d'Italia approvato con Regio Decreto dell'11 giugno 1936 n. 1067 e ss).
L'art. 2 dell'emendamento al ddl sul risparmio del 2 settembre 2005 nello stabilire che: "La Banca d'Italia e' istituto di diritto pubblico. La maggioranza delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia e' detenuta dallo Stato; la restante parte delle quote puo' essere detenuta esclusivamente da altri enti pubblici." ribadisce quello che era già previsto nello Statuto, ma disapplicato per le varie connivenze tra potere bancario e politico.(cfr. Doc. 1 e Doc. 5).
In altri termini, come chiarito in modo mirabile nella stessa CTU allegata agli atti, il reddito dell'istituto, causato dall'attività e dalla circolazione di moneta posta in essere dalla collettività nazionale, dovrebbe vedere il Popolo e, quindi, lo Stato quale unico beneficiario e non certo soggetti terzi, aventi natura privata e finalità di lucro tra i principali fruitori.
Oramai è stato reso pubblico da uno studio di Mediobanca, riportato da molti giornali (cfr. Doc. 6 - "Gli azionisti" su "Sole 24 ore" del 16 febbraio 2002 pag. 7), che la Banca d'Italia, contrariamente a quanto previsto dalla legge, è l'unica Banca Centrale mondiale ad avere il capitale pressocchè interamente privato (cfr. Doc. 7 per vedere in dettaglio le 85 partecipazioni di ogni singolo ente privato nel capitale della Banca d'Italia: si tratta di banche e società assicuratrici).
Detta illegittime partecipazioni, oltre all'ingiusto lucro derivante dal c.d. diritto di signoreggio, fruttano una comoda giustificazione dei bilanci interni a detti istituti.
Infatti, il valore della quota di partecipazione passa da un minimo di € 41,30 (Carige) ad un massimo di € 13.780,90 (Bnl): ad oggi, dunque, la valutazione del valore della quota è da considerarsi soggettivo, non esistendo un criterio oggettivo per stabilire le singole quote, e i bilanci delle banche azioniste fanno emergere quelle enormi differenze di valutazione testè riportate (cfr. schema su Doc. 2).
Il Legislatore ha, pertanto, preso spunto da tale situazione per ribadire l'illegittimità di quella che era una peculiarità (assolutamente negativa) esclusiva dell'Italia, segnatamente di avere (di fatto) soci privati che fruiscono del reddito di signoraggio a titolo di utile d'impresa.
Tale situazione andrà a cessare per applicazione delle norme (già esistenti: art. 3 del predetto Statuto) e ulteriore determinazione legislativa, ma, sulla base dei principi generali dell'ordinamento giuridico, non è legittima anche attualmente, posto che gli utili devono alternativamente essere attribuiti allo Stato o, per esso, ad ogni singolo componente la collettività nazionale.
Ne discende che all'inerzia dello Stato può sostituirsi, in surroga, il singolo cittadino, come è avvenuto nel presente giudizio, in quanto il De Gaetanis ha agito per conseguire il risarcimento del danno derivante dall'illecita attribuzione del reddito da signoraggio in favore di soggetti che, ab origine e per la loro natura, non hanno titolo a percepire alcun provento dalla circolazione monetaria..
Il dibattito in corso e l'unanime plauso per la restituzione alla proprietà pubblica della banca d'Italia, previa trasformazione in ente pubblico e sospensione del diritto, medio tempore, dei soggetti privati a conseguire il dividendo, conforta il Giudicante nell'adozione della decisione, posto che la giustezza in diritto e, comunque, l'equità della sua determinazione coincide con il comune sentire e con i principi cardine dell'ordinamento giuridico, che impediscono a terzi, non aventi titolo o legittimazione, di arricchirsi indebitamente.
Il Giudice oggi adito ha, quindi, la possibilità di conformare il diritto vigente alle esigenze di giustizia ormai recepite de iure condendo.

II
LA PROPRIETA' DELLA MONETA

Dalla relazione peritale emerge, altresì, un secondo dato assolutamente sorprendente, quello della individuazione delle fonti e della loro gerarchia.
Al riguardo, nella ricostruzione della disciplina in atto, il perito dell'Ufficio ha evidenziato l'assenza di una disciplina legislativa che regolamenti, in maniera chiara e univoca, il reddito monetario e il bilancio della banca d'Italia e, soprattutto, che ne individui i criteri e le modalità operative.
Infatti, l'unica fonte è lo statuto della società per azioni banca d'Italia che evidenzia solo l'illegittimità della proprietà della Banca d'Italia.
Orbene, la prima domanda alla quale l'interprete non può sottrarsi è quella di chiarire se una norma regolamentare interna di una spa espressa nel suo statuto, possa essere idonea a regolare una materia che involge interessi nazionali e collettivi, così da sostituirsi ad un atto che, al contrario, avrebbe dovuto avere forza e valore di legge.
Ai fini della presente controversia, la dedotta circostanza assume un contenuto oltremodo decisivo, posto che, per un verso, dimostra che lo strumento utilizzato per distribuire il reddito di signoraggio a soggetti privati, si fonda su un atto inidoneo ed inefficacie per la generalità, quale è la norma statutaria di una società di capitali. In conseguenza di ciò, la domanda proposta dall'esponente non trova alcun ostacolo derivante dalla presenza di un atto di legge che, per la natura cogente della sua portata, per essere rimosso impone o la sua abrogazione, ovvero la declaratoria d'incostituzionalità. Nel caso di specie l'inesistenza di una disciplina normativa consente di accogliere le tesi dell'attore senza alcun problema di gerarchia di fonti.


III
IL VALORE DEL SIGNORAGGIO

Un ulteriore profilo che connota la controversia per cui è causa è quello connesso alla natura e al valore del procedimento che ci occupa.
Invero, ai sensi dell'art. 113 II comma cpc, la presente procedura, anche alla luce delle argomentazioni tecniche del CTU, deve essere annoverata tra quelle da decidersi secondo equità.
Ne consegue che il Giudice deve trarre il proprio convincimento tenendo conto della giustizia del caso concreto, nel senso che le regole di diritto, la cui applicazione consente ugualmente l'accoglimento della domanda, devono coniugarsi a regole di buon senso e di equo contemperamento dei contrapposti interessi.
Dal ché, nel caso di specie, sussiste l'interesse pubblico, oltremodo confortato dalla ormai imminente riforma della banca d'Italia, acché il reddito da signoraggio venga attribuito alla collettività nazionale e, per essa, attesa l'inerzia dello stato, ad ogni cittadino.
Nello stesso tempo, le ragioni di contestazione avverse, siccome espresse da un soggetto ormai privato di alcuna possibilità d'interloquire e in conflitto d'interessi con lo Stato e con la collettività nazionale, devono essere espunte dal giudizio, in quanto in contrasto con le ragioni di equità che governano la presente procedura.
Se, infatti, la controversia fosse stata tra quelle che imponevano la pronuncia seconda diritto (cfr. art. 113 I comma cpc), le controdeduzioni avverse, sino al momento della riforma, dovevano essere ritenute espressione di un soggetto legittimato e, quindi, necessitanti di espressa contestazione.
Nel caso inverso, segnatamente quello che ci occupa, ove la decisione è ispirata e regole di equità, il Giudice può pronunciarsi anche anticipando, sulla scorta di regole di prudenza e di giustizia del caso concreto, quello che è il contenuto della imminente riforma della banca d'Italia.
Pertanto, posto che la ormai imminente normativa ha stabilito l'esclusione di soggetti privati dalla partecipazione agli utili della banca d'Italia, disponendo la neutralizzazione di tale diritto nel periodo intermedio sino all'approvazione definitiva della legge di riforma, riconducendo alla titolarità statuale il diritto a percepire il reddito da signoreggio, non vi sono dubbi che la decisione di accoglimento della domanda risulta conforme al comune sentire.
Ulteriore corollario alla conformità dei principi rivendicati con la proposta domanda a quelli in corso di applicazione, è che l'Autorità Giudiziaria andrà ad evitare che il danno arrecato nel tempo abbia a protrarsi anche nel periodo intermedio, dopo l'avvenuto riconoscimento del fondamento delle ragioni dell'esponente.


IV
LEGITTIMAZIONE PASSIVA DELLA BANCA D'ITALIA

La domanda proposta è fondata nel merito anche alla luce delle seguenti considerazioni.
Nel corso della procedura si è accertato che la banca d'Italia, nella sua qualità di società commerciale, fino all'introduzione dell'euro, in via esclusiva e successivamente a tale evento, quale promanazione nazionale della BCE, si arroga il diritto di percepire il reddito monetario derivante dalla differenza tra il valore nominale della moneta in circolazione detratti i costi di produzione, in luogo dello Stato e dei cittadini italiani.
La CTU acquisita ha dato, inoltre, ampia e precisa conferma delle circostanze poste a fondamento della causa petendi della domanda avanzata.
In primis, anche se la circostanza non poteva essere dubitata, è la conferma che il reddito di signoraggio, così come precedentemente spettava al sovrano, che attraverso il conio sul metallo utilizzato ne decretava la proprietà, attualmente spetta allo stato che lo gestisce per il tramite della banca centrale nazionale, oggi BCE.
In tutti i Paesi l'istituto di emissione ha sempre avuto natura di diritto pubblico e i relativi utili sono andati a beneficio dello Stato, mentre in Italia si è assistito ad una singolare situazione, nel senso che la proprietà azionaria è attribuita, per la quasi totalità, in favore di soggetti privati, per nulla riconducibili allo stato.
Nell'operazione di ricostruzione contabile, il perito dell'Ufficio ha dovuto "negare, malgrado l'esplicita dichiarazione della norma, la natura di ente pubblico della banca stessa e di riconoscerle quella di società commerciale" (v. pag. 6 relazione peritale).
Successivamente, ha verificato che "lo statuto fissa anche le regole per la determinazione del reddito monetario e per la sua distribuzione tra le banche centrali dei paesi partecipanti all'euro" (v. pag. 6 CTU).
Di poi, in riferimento specifico alla domanda avanzata dall'attore, ha determinato il reddito monetario, come "la differenza tra gli interessi percepiti sulle attività e il costo, modesto, di produzione delle banconote", precisando che lo scarto tra il primo e il secondo importo "costituisce il moderno reddito di signoraggio, o reddito monetario" (v. CTU pag. 7).
Infine, dopo aver effettuato le verifiche contabili e di bilancio imposte dalla peculiarità della materia controversa, ha inteso correttamente determinare il danno da mancata fruizione del reddito monetario, riferendosi "esclusivamente agli utili di bilancio netti conseguiti dalla Banca d'Italia"(v. pag. 14 CTU), per cui, ai fini della determinazione della somma oggetto di causa, il CTU "ha ritenuto di considerare, quale corretta remunerazione del capitale sociale, la distribuzione deliberata ai partecipanti dell'utile di esercizio, corrispondente (in ossequio allo statuto) al 10% del capitale sociale".
Talché, dopo la determinazione del reddito di signoraggio da ridistribuire alla collettività nel periodo 1996 - 2003, il CTU ha provveduto a dividere detto importo per la popolazione italiana alla data del 31/12/2003, per giungere ad ottenere un danno medio per residente par ad 87 euri.
Ne discende che, a titolo di risarcimento, ed a prescindere dall'ammontare dell'importo, la richiesta dell'esponente ha ricevuto piena conferma giudiziaria nel suo fondamento giuridico, con l'effetto che la domanda deve essere accolta nell'an, salvo quanto di seguito in ordine al quantum.

V
SUL QUANTUM

La relazione peritale acquisita al processo, tuttavia, non appare condivisibile unicamente in relazione al criterio di determinazione dell'importo del risarcimento pro capite.
Il perito, infatti, ha ritenuto di dividere il reddito monetario per l'intera collettività nazionale, senza alcuna distinzione di sorta.
Orbene, detta determinazione, seppur meritoria de iure condendo, in quanto volta evidentemente a veder la prevalenza della cd. società organica, nell'ambito della quale non debbono sussistere differenze tra i singoli partecipanti al consorzio nazionale, non coglie nel segno nel sistema attuale, in quanto non tiene conto che nella suddetta determinazione sono inclusi anche soggetti estranei alla creazione del reddito monetario per motivi oggettivi e indipendenti dalla loro volontà.
Il riferimento è ai minori e a coloro che non producono reddito in quanto al di fuori del sistema produttivo che, di conseguenza, dovrebbero essere espunti dal novero dei soggetti beneficiari.
Ne consegue che il Giudice può procedere ad un diverso accertamento nel quantum con criterio equitativo, sull'evidente presupposto della difficoltà di accertamento dell'esatto ammontare del ristoro.
La circostanza, per vero, non rileva oltremodo né rende di minor impatto l'importanza dell'accertamento tecnico e la fondatezza della domanda, posto che si potrà agire - de in rem verso - a titolo di indebito oggettivo nel periodo di prescrizione e ovviamente de futuro.

VI
SULLE ECCEZIONI PROCESSUALI DI CONTROPARTE

Per mero tuziorismo, sebbene il Giudicante avrà già avuto modo di verificare l'infondatezza delle argomentazioni avverse al momento della loro formulazione, l'esponente intende precisare quanto segue.
" eccepito mancato coinvolgimento dei CTP alle operazioni di redazione della CTU. Il rilievo, sollevato all'udienza del 27/5/2005, non è affatto condivisibile in quanto le operazioni di elaborazione della perizia costituiscono atto esclusivo e personale del CTU che, invero, ha il solo onere di convocare le parti e i loro CTP per l'inizio delle operazioni peritali.Detto incombente è stato correttamente evaso, come riconosciuto ex adverso, per cui i criteri e il tema dell'indagine sono stati ampiamente trattati. E' onere, di poi, del CTP confutare l'elaborato, ma non certo pretendere che il CTU debba informarlo, mentre è in corso l'elaborazione, del suo contenuto;
" b) in ordine alla contestazione per aver il CTU svolto "inammissibili considerazioni giuridiche". Anche detto profilo, alla luce di quanto innanzi dedotto sub 2, non coglie nel segno. E' pacificamente emerso che, nella subiecta materia, manca un riferimento normativo nazionale, per cui l'indagine è stata effettuata sulla base della normativa interna alla società per azioni banca d'Italia e, soprattutto, in riferimento al suo bilancio. Trattasi, conseguentemente, di indagine squisitamente tecnica e non giuridica, per nulla in violazione del principio iura novit curia. Anzi, il vuoto legislativo in una materia di così rilevante interesse pubblico ha imposto di accedere ai dati di bilancio al fine di effettuare le verifiche tecniche del caso. Nessun dubbio, pertanto, può sussistere sulla correttezza e legittimità dell'operato del tecnico dell'Ufficio che ha espletato un mezzo oggettivo di prova.
" c) In ordine alla contestazione sulle analisi contabili e sulla mancanza di documentazione. La censura è generica e, quindi, da ritenersi mera espressione di stile, per nulla comprensibile nel suo contenuto, né apprezzabile nel merito, tenuto conto che il CTU ha allegato ampia e pertinente documentazione, nonché ha effettuato un'approfondita analisi degli atti legislativi, contabili e di bilancio necessari per rispondere al quesito sottopostogli.
" d) Sulla mancata accettazione del contraddittorio. Non si comprende il contenuto della mancata accettazione del contraddittorio, posto che l'esponente non ha formulato alcuna domanda nuova nel corso del giudizio, né ha mutato le conclusioni originariamente espresse. Al contrario, la domanda di risarcimento del danno è perfettamente coincidente con l'accertamento peritale, per quanto attiene l'an della pretesa, discostandosi nel solo quantum solo virtualmente, avendo l'esponente espressamente inserito la clausola di salvaguardia della condanna alla maggiore o minore somma accertata nel corso del giudizio.
" e) sulla contestazione per aver effettuato calcoli in lire e non in euro. L'assunto è errato. La circolazione monetaria è avvenuta senza soluzione di continuità o vuoti di circolazione nel passaggio tra moneta nazionale e moneta unica. L'intera disciplina transitoria ha disposto, invero, che tutto ciò che era determinato in lire, dopo l'avvento (mai tanto nefasto) dell'euro, si è trasformato ex lege in moneta corrente. Di conseguenza, la domande giudiziali avanzate successivamente all'ingresso dell'euro, sono automaticamente estese al periodo antecedente, con l'unica accortezza di effettuare la necessaria conversione, onde procedere alla loro liquidazione. Opinare di converso vorrebbe dire precludere richieste di accertamento giudiziale e condanna nel periodo di circolazione in lire per il sol fatto dell'ingresso dell'euro!
" f) sull'eccepita prescrizione. L'eccezione de qua, in primis, è stata tardivamente proposta ed è, pertanto, da ritenersi inammissibile e come non proposta. Inoltre, trattandosi di indebito oggettivo su fonte contrattuale (contratto sociale e contratto associativo) il periodo non è certo quinquennale, ma decennale. Qualora ex adverso volesse assumere che, in considerazione della tipologia di responsabilità aquiliana, il termine per l'estinzione del diritto è di 5 anni, non sfuggirebbe, anche in questo caso, alla censura d'infondatezza. Infatti, la responsabilità extracontrattuale, nel senso di attività da atto illecito, ben può innestarsi nell'ambito della responsabilità contrattuale, caratterizzandosi unicamente per l'ampiamento del danno anche al nocumento non prevedibile, ma non certo per modificare, a vantaggio dell'inadempimento danneggiante, il termine prescrizionale nel senso di ridurlo.

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Alla luce di quanto dedotto, la domanda deve essere accolta, con condanna alle spese di lite della banca convenuta, da distrarsi in favore dei sottoscritti procuratori che, all'uopo, si dichiarano antistatari.
Con osservanza.
Lecce, lì 7 settembre 2005.

Avv. Antonio Tanza
Avv. Antonio Pimpini



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