Avv. Antonio Tanza - Vicepresidente ADUSBEF


Vai ai contenuti

Menu principale:


testo 3 04

Anatocismo e Usura > Testi sentenze 2004/2010 > Sentenze 2004

IV

SENTENZA n. 1736/03 –

n. 4016 Cron e n. 2165 Rep



TRIBUNALE CIVILE DI LECCE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice Istruttore del Tribunale di Lecce, GOT Patrizia Daniela SCARPA, in funzione di, Giudice Unico, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile nr. 2484/97 R.G. tra: Arch. Massimo DE MARCO e Arch. Giovanni LONOCE rappresentati e difesi dall'avv. Antonio TANZA e dall'Avv. F. FAZZALARI, del foro di Roma, come da mandato a margine dell'atto di citazione in opposizione a Decreto Ingiuntivo;

OPPONENTI

CONTRO

Rolo Banca 1473: Spa in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv. Francesco e Giuseppe PICCINNI

RESISTENTI

OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo.

CONCLUSIONI:

Per gli opponenti. l'avv. A. TANZA e l'Avv. F. FAZZALARI chiedono, la nullità del decreto ingiuntivo opposto, l’invalidità e la nullità dei singoli contratti di apercredito oggetto, del rapporto tra; parti attrici e la banca, nonché. la condanna della convenuta alla restituzione delle somme indebitamente riscosse e al risarcimento del danno. derivante dalla illegittima segnalazione alla Centrale dei Rischi;, nonché al risarcimento del danno derivante dalla false notizie fornite in narrativa dei ricorso ingiuntivo al fine di ottenere la clausola della provvisoria esecuzione, con vittoria di spese competenze ed onorari.

Per l'opposta, gli avv Francesco e Giuseppe PICCINNI chiedono il rigetto dell'opposizione e la condanna degli opponenti:al pagamento delle somme. di cui all'opposto decreto oltre agli accessori, con vittoria di spese giudiziali.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 3 ottobre 1997 il Tribunale di Lecce emetteva decreto ingiuntivo n. 705/97 (1960/97 R.G.), su ricorso di Rolo Banca 1473 S.p.A con il quale ingiungeva a Massimo DE MARCO e Giovanni LONOCE il pagamento delIa somma di lire 33.072.010, oltre agli interessi: legali a decorrere dal l' luglio 1997 fino al giorno del soddisfo, derivante dallo scoperto di c/c n.- 2052, acceso in data 18 ottobre 1990, nonché il pagamento di spese, diritti e onorari della procedura, monitoria. Detto decreto veniva regolarmente notificato alle parti in data 21 ottobre 1997.

Con atto di: citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, ritualmente notificato, i sigg. Massimo DE MARCO e Giovanni LONOCE convenivano in giudizio Rolo Banca 1473 S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore dinanzi a codesto Tribunale per ivi sentire accogliere le seguenti formulate conclusioni:' " Voglia il Sig. Pretore di Lecce, respinta ogni altra istanza in accoglimento dei motivi su esposti: PRELIMINARMENTE emettere preventiva ordinanza a di revoca della illegittima provvisoria esecuzione ex art. 649 c.p. ordinare alla Banca di depositare gli Originali o almeno copia dei contratti originali, sia principali che collegati, a delle eventuali modifiche ed allegati, nonché copia di tutti gli estratti conto sino ad oggi, unitamente al rendiconto della gestione ai sensi dell'art. 1713 c.c. Sospendere il giudizio ex art. 18 7 del Trattato CEE per la decisione in via pregiudiziale sui seguenti quesiti o su quelli altri ritenuti dal Pretore: a) se le disposizioni negli artt. 85 e 86 del Trattato conferiscano ai singoli diritti tutelabili di fronte ai giudici nazionali,b ) se le condizioni generali di apertura di credito n conto corrente applicate ex recepto dalla totalità delle banche italiane nei rapporti con la clientela e risultanti dall'azione di coordinamento fra le banche stesse svolta dall'ABI costituiscano un'intesa ai sensi dell'art. 85 n. 1 del Trattato ed, in particolare, una decisione di associazione d'imprese; c) se, in caso di risposta affermativa ai quesiti sub a) e b) la dichiarazione di nullità ex art 85, n. 2, dei contratti tipo risultanti dall'azione di coordinamento tra banche italiane svolta dall'ABI, possa avere effetti sulla validità dei contratti "a valle" stipulati dalle singole banche con i singoli clienti sulla base dei modelli contrattuali predisposti dall'ABI e notificati da questa alle banche aderenti per una loro generalizzata adozione e, in vaso di risposta affermativa a quest'ultimo quesito, quali possano essere tali effetti sui contratti "a valle " dell' intesa vietata, o quali criteri debba utilizzare il Giudice nazionale per individuare i suddetti effetti alfine di -decidere circa la loro applicazione ai medesimi contratti stipulati tra banca e cliente; d) se, nell'ambito del settore bancario, le imprese bancarie aderenti all'ABI in grado, grazie alla situazione di potenza economica che detengono nel loro complesso, d i comportarsi, con riguardo alle condizioni contrattuali, in modo indipendente nei confronti dei concorrenti e soprattutto nei confronti della clientela, possano essere considerate nel loro insieme detentrici di una posizione dominante collettiva ai sensi dell'art. 86 del Trattato; e) se costituisce abuso, ai sensi dell'art. 86 Trattato, l'adozione, da parte di una o più imprese bancarie in posizione dominante, di una clausola contrattuale nei rapporti con la propria clientela che consenta alla/e suddetta/e impresa di fissare unilateralmente il tasso d'interesse (prezzo del servizio) e di variarlo, pure unilateralmente, in funzione dell'andamento del mercato monetario, senza che, peraltro, sia consentito al cliente di conoscere né il tasso che gli viene applicato dalla banca all'atto di stipulazione del contratto, né le successive variazioni del tasso stesso (clausole,, usi di piazza); j) se, nel caso di risposta positiva ai precedenti quesiti, il giudice nazionale possa trarre dall'accertamento della violazione dell'art. 86 Trattato la conseguenza della nullità in ordine a talune clausole, in ipotesi abusive, inerenti ai rapporti contrattuali "verticali" fra le imprese in posizione dominante e la loro clientela o, più in generale, quali effetti giuridici possa il giudice nazionale decidere di applicare ai suddetti rapporti contrattuali in caso di accertata violazione dell'art. 86 o quali criteri debba lo stesso giudice nazionale utilizzare per individuare tali effetti giuridici sui -contratti posti in essere dall'impresa dominante con i suoi clienti. L DICHIARARE NULLO il decreto ingiuntivo opposto o in subordine revocarlo con tutte le conseguenze di legge; 2. DICHIARARE l'invalidità e la nullità dei singoli contratti di apertura di credito oggetto del rapporto tra parte attrice e la banca, particolarmente in relazione alla determinazione e applicazione degli interessi, dell'anatocismo e dei costi, e, di conseguenza, RIDURRE lo stesso in base ai risultati del ricalcalo che verrà effettuato in sede di CTU tecnico-bancaria e sulla base dell'intera documentazione relativa al rapporto di apertura di credito. 3. DICHIARARE l'invalidità di ogni altra obbligazione ad esso connessa, 4. DETERMINARE a mezzo CTU, che sin d'ora s'invoca, il Costo Effettivo Annuo dell'impugnato rapporto bancario (TEG) ed in virtù dell'invalidità delle convenzioni contrattuali RICALCOLARE l'ammontare delle somme a credito, ed a debito delle parti sulla base dell'intera documentazione (dalla formalizzazione negoziale ad oggi) e DETERMINARE l'esatto dare-avere tra le parti, CONDANNANDO, in via RICONVENZIONALE, nell'ipotesi di indebito pagamento di somme da parte attrice, la banca alla restituzione delle somme indebitamente riscosse, oltre interessi legali maturati dalla data della riscossione. 5. CONDANNARE la banca al risarcimento dei danni derivante dall'illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi della effettiva posizione debitoria, che verranno quantificati nel corso dell'istruttoria ed in difetto secondo equità. 6. CONDANNARE la banca al risarcimento dei danni derivante dalle false notizie fornite nella narrativa del ricorso ingiuntivo al fine di ottenere la- clausola della provvisoria esecuzione, e dalla illegittima iscrizione ipotecaria, che verranno quantificati in corso dell'istruttoria ed in difetto secondo equità. 7. CONDANNARE la banca al pagamento delle spese e competenze di giudizio».

Si costituiva in giudizio Rolo Banca 1473 S.p.A., in persona dei legale rappresentante pro tempore, a ministero del rispettivo procuratore processuale, con comparsa di costituzione e risposta datata 30 dicembre 1997, nella quale formulava le seguenti conclusioni: « 1) rigettare l'opposizione avversa, in quanto infondata in fatto ed in diritto ed ispirata ad intenti chiaramente dilatori e defatiganti, 2) confermare il decreto ingiuntivo opposto, legittimamente emesso e, per l'effetto, condannare gli opponenti al pagamento in favore della Rolo Banca 1473 SpA della somma ingiunta oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria, 3) in accoglimento della spiegata riconvenzionali, condannare gli opponenti al risarcimento di tutti i danni subiti dall'Istituto di credito in epigrafe a seguito dell'intestato giudizio; con vittoria di spese, diritti e onorari».

All'udienza di prima comparizione, tenutasi in data 26 gennaio 1998, il Giudice autorizzava le parti al deposito di memorie ex art. 170 cpc.

La causa veniva rinviata all'udienza del 01 giugno 1998 in cui le parti venivano autorizzate al deposito di memorie ex- art. 183 c.p.c., ritualmente depositate.

All'udienza del 02 marzo 1999 le parti venivano ammesse al deposito di memorie ex art. 184 c.p.c., che ritualmente depositavano.

All'udienza del 19 ottobre 1999 rassegnate le conclusioni, la causa andava in decisione con i termini di rito per il deposito delle memorie conclusionali e di replica.



MOTIVI DELLA DECISIONE

Il presente giudizio riguarda una materia di particolare attualità, a causa sia dei recenti mutamenti normativi e giurisprudenziali in tema di contratti bancari, sia della situazione di crisi in cui versano molte delle aziende costrette a ricorrere al credito. Questo G.I. è stato posto di fronte ad una citazione contenente una contestazione globale della prassi delle, banche italiane ed ha cercato di ricondurre la causa agli aspetti specifici del rapporto tra le parti.

Primo problema è quello di individuare la normativa applicabile al rapporto. A, questo proposito, va operata una distinzione _tra i contratti di c/c aperti prima dell'entrata in vigore della legge 152 del 1992 (9 luglio 2002) e quelli aperti successivamente. Per i primi deve farsi riferimento alle norme del codice civile ed alla vecchia legge bancaria del ‘36/ ’38, mentre agli altri deve applicarsi, oltre al codice civile, la legge sulla trasparenza ed il nuovo T.U.b.- Corte di Cassazione, più volte espressasi sull'argomento, esclude l'applicazione di detta recente normativa (1992) ai rapporti sorti in un periodo anteriore: Un tema di contratti bancari, nel regime anteriore alla entrata in vigore della L 17 febbraio 1992 n. 154, e del successivo t.u. sulla disciplina bancaria -che introducono norme nuove, a carattere non retroattivo, in tema di trasparenza bancaria, vietando, tra l'altro, espressamente il rinvio agli usi di piazza - la convenzione relativa agli interessi è validamente stipulata, in ossequio al disposto dell'art. 1284, comma 3, c.c. (che è norma imperativa, la cui violazione determina nullità assoluta ed insanabile), quando il relativo tasso risulti determinabile e controllabile in base a criteri in detta convenzione oggettivamente indicati e richiamati. Pertanto, una clausola contenente un generico riferimento alle "condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza" può ritenersi valida ed univoca solo se coordinata alla esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi interbancari, nel rispetto delle regole di concorrenza e non anche quando tali accordi contengano riferimenti a tipologie di tassi praticati su scala locale e non consentano, per la loro genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano- inteso fare concreto rifierimento" (ex pluris Cassazione civile, sez. 111, 18 aprile 200 1, n. 5675). Nel caso in esame il rapporto bancario è sorto il 18 ottobre 1990 e, dunque, non è applicabile la normativa della c.d. trasparenza bancaria

Gli attori opponenti hanno contestato l'art. 7, comma 3, del contratto di apertura dei conto corrente, nella parte in cui determina gli interessi "salvo patto diverso, alle condizioni praticate usualmente dalle 1 aziende di credito sulla piazza", per indeterminatezza dell'oggetto dell'obbligazione accessoria.

L'eccezione è fondata.

Secondo Cass. Civ., Sez. 1, 23 settembre 2002 n. 13823; Cass. Civ., Sez. 1, l' febbraio 2002 n. 1287, Cass, Civ., Sez. 1, 28 marzo 2002 n. 4490 e Cass. Civ., Sez. 1, 21 giugno 2002 n. 9090 Cass. Civ., Sezione III 18 aprile 2001, n. 5675; Cass. Civ., Sez. In, 21 novembre 2000 n. 15024; Cass. Civ., Sez. 1, 19 luglio 2000, n. 9465; Cass. Civ., Sez. 1, 14 gennaio 1999 n. 348; Cass. civ., Sez. 111, 21 settembre 1998, n. 9448; Cass. civ., Sez. 1, 23 giugno 1998 n. 6247; Cass. civ., Sez. 1, 11 maggio 1998, n. 4735; Cass. civ., Sez. 1, sentenza 8 maggio 1998, n. 4696; Cass. civ., Sez. 111, 9 dicembre 1997, n. 12456; Cass. civ., Sez. 1, 29 novembre 1996, n. 10657; Cass. civ., Sez. 1, 13 marzo 1996 n. 2103; Appello Lecce, 9 febbraio 2002; Appello Lecce 22 ottobre 2001, Appello Lecce 6 febbraio 2001 (ed a prescindere dall'applicazione delle recenti leggi sulla trasparenza, le quali, comunque, vietano il rinvio agli usi bancari), il rinvio "alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza" contrasta con l'esigenza di detenninabilità attraverso criteri prestabiliti. Infatti è notorio che da circa quindici anni gli accordi di cartello tra le banche contengono diverse tipologie di tassi, e non costituiscono parametro centralizzato e vincolante -anche, l'applicazione del prime - rate sostanzialmente rimessa alla discrezionalità degli istituti, come risulta dal documento ABI per il periodo 1990 - 1995, prodotto dalla convenuta. Inoltre la formula `salvo patto contrario" ingenera il dubbio sul carattere precettivo, e quindi sull'esistenza della clausola. La determinazione secondo gli usi salvo patto contrario può costituire una direttiva generale, ma non la regola del caso concreto, nel quale "il patto contrario" c'è (sicché il richiamo alla prassi ordinaria non ha senso) oppure non c'è (sicché non ha senso la clausola di salvezza).

Pertanto, ex art. 1284, comma 3, c.c., al rapporto si applica il tasso legale di interesse.

Altro problema, sollevato dagli opponenti, è quello dei c.d. giorni valuta che, secondo la difesa, non sono altro che un espediente usato dalla banca per allungare fittiziamente i giorni solari del prestito dell'utente (quindi aumento degli interessi debitori in favore della banca), decurtando al contrario i giorni in cui l'utente deposita il denaro (quindi diminuzione degli interessi creditori in favore dell'utente). La sottile tecnica fu compresa pienamente per la prima volta dal Tribunale di Milano, con la sentenza del 22 marzo 1993, ove si evidenziava come l'obbligo della forma scritta imposto dall'art. 1284, comma 3, c.c. si estende anche alle pattuizioni relative alla decorrenza della valuta (relative, cioè, alla data a partire dalla quale vengono imputati gli interessi a debito ed a credito sul conto del cliente), poiché dette pattuizioni si risolverebbero in una modifica dei saggio di interesse applicato sui saldi attivi e passivi. Pertanto, la mancanza di espressa pattuizione di detti ulteriori interessi ultralegali (poiché vanno a maggiorare gli interessi ultralegali, per cosi dire, principali) comporta l'assorbimento degli stessi nel calcolo di tutti gli interessi ultralegali non specificatamente convenuti nel tasso legale applicato all'intero rapporto. Pertanto alla banca, salvo prova diversa, ed m mancanza di previsione contrattuale che riconosca dei bonus di valuta, deve riconoscersi valuta pari al giorno in cui è stata effettuata l'operazione. Senza contare che le banche, informatizzazione fin dagli anni '80, eseguono tutte le operazioni in tempo reale.

Anche la contestazione attorea dell'obbligo di pagamento della "commissione di massimo scoperto", rattenuta dalla convenuta ma non espressamente prevista in contratto, va accolta.

Nel contratto prodotto non sono previste le "commissioni di massimo scoperto trimestrale": non lo troveranno poiché non sono previste in contratto, né è esplicato il loro particolarissimo metodo di calcolo. L'art. 7, comma 1, dei contratti prodotti parla di interessi e commissioni liquidate a fine anno: nessuna traccia delle commissioni di massimo scoperto trimestrale. A tal proposito Corte d'Appello di Lecce, 6 febbraio 2001, ha osservato: "Quanto alla commissione di massimo scoperto e alle valute, cui hanno riguardo specifiche censure degli appellanti, va rilevato quanto segue. La commissione di massimo scoperto, che trova causale giustificazione nella specialità del rapporto di finanziamento, è dovuta soltanto se espressamente convenuta e nella misura pattuita". Nel contratto de quo manca ogni pattuizione in merito e, dunque, non è dovuta.

Gli attori opponenti hanno poi contestato il 31 comma dell'art. 7 del contatto, laddove stabilisce che gli interessi dovuti dal correntista producono a loro volta interessi nella stessa misura, ed il 2° comma dove prevede la capitalizzazione trimestrale dell'interesse. Invero la clausola che consentiva l'anatocismo, come i previsto all'art. 7 del richiamato contratto di conto corrente, è certamente nulla laddove è pacifico che: "La clausola di un contratto bancario, che preveda la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, deve reputarsi nulla, in quanto si basa su un uso negoziale (ex art. .1340 c.c.) e non su un uso normativo (ex art. 1 ed 8 delle preleggi al c.c.) , come esige l'art. 1283 c.c., laddove prevede che l'anatocismo (salve le ipotesi della domanda giudiziale e della convenzione successiva alla scadenza degli interessi) non possa ammettersi, «in mancanza di usi contrari». L'inserimento della clausola nel contratto, in conformità alle c.d. norme bancarie uniformi predisposte dall'ABI, non esclude la suddetta i nullità, poichè a tali norme deve riconoscersi soltanto il carattere di usi negoziali non quello di usi normativi "(Cass. Civ., Sez. 1, 11 novembre 1999, n. 12507). Detto principio risulta, oramai, consolidato nella Giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione: Cassazione Civile, Sez. 1, 1 ottobre 2002, n. 14091; Corte di Cassazione, Sezione 1, 28 marzo 2002 n. 4498; Corte di Cassazione, Sezione 1, 28 marzo 2002 n. 4490;Corte di Cassazione, Sezione 1, febbraio 2002 n. 128 l; Corte di Cassazione , Sezione 1, 11 novembre 1999 n. 12507; Corte di -Cassazione Sezione III .,30 marzo 1999 n. 3096; hanno affermano la nullità dell'anatocismo nei contratti bancari. Infine n on appaiono convenute e descritte in contratto neppure le spese forfettarie applicate dalla banca. Invece, i sul punto della presunta decadenza da mancata contestazione dell'estratto conto, va sottolineato che, come evidenziato da una ormai consolidata Giurisprudenza, l'eventuale approvazione, ancorché ripetuta, di estratti conto, ex art. 1832 c.c. (applicabile al conto corrente bancario in forza del richiamo operato dall'art. 1857 c.c.) rende incontestabili le annotazioni in conto,, derivanti dalla mancata impugnazione, nella loro realtà effettuale, ma non comporta la decadenza da eventuali eccezioni relative alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori (contratto ed altre pattuizioni) da cui dette annotazioni derivano (cfr. tra le tante Cass. 14 maggio 1998, n. 4846). L'azione di nullità è imprescrittibile (cfr. art. 1422 c.c.), mentre l'azione di ripetizione delle somme è soggetta alla prescrizione decennale a decorrere dalla chiusura del rapporto (Cass. Civ. 9 aprile 1984, n. 2262).

Gli attori lamentano la violazione degli artt. 85 ed 86 del Trattato CEE: la questione è stata già risolta negativamente dalla Giurisprudenza Comunitaria e va rigettata. Prive di valore e di pregio sono anche le altre contestazioni circa l'erronea segnalazione alla Centrale dei rischi, tenuto anche conto che le somme ingiunte sono state pagate, anche se con riserva di ripetizione, e che la segnalazione è venuta meno.

Per le ragioni innanzi esposte il decreto opposto va revocato, compensando integralmente le spese di giudizio.

P.Q.M.

1 . Revoca il decreto (opposto) n. 705/97 (1960/97 R.G.), dichiarandone l'inefficacia dello stesso a tutti gli effetti;

2. dichiara la nullità della clausola contrattuale n. 7 delle "Norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e servizi connessi" come richiamate nel contratto 18 ottobre 1990 allegato in atti, nella parte in cui detta clausola prevede interessi ultralegali, ed interessi anatocistici;

3. dichiara che gli interessi primari dovuti dagli opponenti alla Banca, in relazione al contratto di conto corrente n. 2052 erano e sono quelli legali semplici;

4. dichiara che nulla era ed è dovuto alla Banca dagli opponenti per commissione di massimo .scoperto trimestrale, per c.d. giorni valuta e spese forfettarie non previsti e regolamentati in contratto;

5. rigetta la domanda relativamente alla richiesta di risarcimento del danno da erronea segnalazione a -Centrale dei rischi, in quanto sfornita di prova;

6 rigetta la domanda riconvenzionale, in quanto sfornita di prova;

7. compensa interamente le spese del presente giudizio tra le parti.

Lecce 14.4.2003 Il Giudice

Patrizia Daniela SCARPA

V

Sent. n. 310/2004

R.G. 257/1999





REPUBBLICA ITALIANA



IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



La Corte di appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto – Sezione Unica Civile – composta dai Signori:

1) Dott. Giuseppe Lanzo - Presidente-

2) Dott. Antonio Marsano - Consigliere-

3) Dott. Riccardo Alessandrino - Consigliere-

ha pronunziato la seguente



SENTENZA



nella causa civile in grado di appello iscritta al N. 257 del Ruolo Generale delle cause dell’anno 1999, riservata per la decisione all’udienza di trattazione del 3/3/2004



TRA



C.D. nato a XXX il XXX, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. XX dal quale è rappresentato e difeso, il tutto in virtù di mandato a margine dell’atto di appello

-appellante-

BANCA POPOLARE DI PUGLIA E BASILICATA, soc. coop. a r.l., con sede in Matera alla Via Timmari, risultante dalla fusione tra laBanca Popolare di Taranto e Banca Popolare della Murgia di cui all’atto per notaio B. di XXX in data XXX in persona del V.Presidente Dott. M.G., elettivamen-te domiciliata in Taranto alla Via XXX presso lo studio dell’Avv. XXX dal quale è rappresentata e difesa insieme con l’Avv. Prof. XXX, in virtù di delega in calce alla copia notificata dell’atto di appello

-appellata-

All’udienza di trattazione, i procuratori delle parti hanno così concluso:

IL PROCURATORE DELL’APPELLANTE:

“Piaccia all’Ecc.ma Corte di Appello adita, respinta ogni contraria istanza, ritenere fondati i motivi suesposti col presente gravame e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accogliere la domanda attrice in quanto fondata in fatto e diritto.

Con conseguenziale vittoria delle spese ed onorari dei due gradi di giudizio”.

IL PROCURATORE DELL’APPELLATA:

“Piaccia all’Ecc.ma Corte di dichiarare inammissibile o di respingere l’appello proposto con atto notificato il 30 novembre 1999, avverso la impugnata sentenza del Tribunale di Taranto – sez. II – , di cui trattasi, questa confermando in ogni sua parte, e respingendo tutte le domande ex adverso proposte. Con vittoria di spese, competenze ed onorari del presente grado di giudizio.

In via subordinata ed istruttoria si chiede ammissione di prova testimoniale sul seguente capitolo : “vero che sin dal 1992 nei locali di tutte le filiali della Banca Popolare di Taranto sono stati sempre esposti al pubblico i fogli sintetici ed analitici sulle condizioni e tassi praticati alla clientela”. Testi, con riserva di indicarne altri in un prefiggendo termine: XXXXXXXXXX.



SVOLGIMENTO DEL PROCESSO



Con atto di citazione ritualmente notificato C.D. conveniva in giudizio la BPPB onde sentir dichiarare la nullità e/o annullabilità e/o la inefficacia dei contratti di c/c intercorsi con il suddetto istituto ed accertare l’esatto ammontare del saldo finale del c/c intestato ad esso C.D. che chiedeva la restituzione di quanto indebitamente percetto dalla Banca. Radicatosi il contraddittorio la Banca convenuta chiedeva respingersi le pretese del C.D. perché tutte infondate, sicché con sentenza in data 30/9/1999 il Tribunale di Taranto in composizione monocratica rigettava la domanda, regolando le spese secondo la soccombenza. Della pronuncia si duole C.D. con il proposto gravame nei termini di cui in epigrafe; resiste la BPPB la quale ha chiesto il rigetto dell’appello riservato sulle trascritte conclusioni in esito ad una consulenza tecnica ammessa ed espletata in questo grado di giudizio.



MOTIVI DELLA DECISIONE



In relazione a quanto oggetto della prima censura, e vale a dire la violazione dell’art. 50 D. Lgs. 385/93, va qui riconfermato – secondo un costante indirizzo di questa Corte – che la norma in parola consente l’emissione della ingiunzione ex art. 633 c.p.c. sulla base dell’estratto conto previsto dagli artt. 1857 e 1832 c.c. autocertificato dalla Banca creditrice. In un giudizio di cognizione piena, quale quello odierno, è irrilevante che le risultanze non siano state rese note al correntista, atteso che è jus receptum che la produzione in giudizio costituisce trasmissione dell’estratto ai sensi dell’art. 1832 c.c. onerando il correntista delle specifiche contestazioni al fine di superare l’efficacia probatoria della produzione (cfr. Cass. 00/12169). Nella specie anche la seconda censura risulta ininfluente ai fini della decisione, posto che la documentazione esibita ha consentito lo svolgersi della dialettica processuale e l’adozione di una consulenza volta a documentare il dovuto alla stregua delle pattuizioni: per altri versi la questione della impugnativa del c/c da parte del cliente appare superata dalla circostanza che la relativa regolamentazione si applica alla impugnativa di singole partite e non già dei rapporti obbligatori complessivi nascenti dal c/c (Cass. 98/4846).

Va quindi affrontato il rilievo della nullità della clausola di determinazione degli interessi per relationem con riferimento alle condizioni su piazza e alle oscillazioni del mercato finanziario e valutario che il primo giudice ha ritenuto di respingere perchè ancorata a dati obiettivi. Va qui riconfermato che la più recente giurisprudenza (Cass. 23/9/2002 n. 13823 e Cass. 20/8/2003 n. 12222) ritiene sufficiente il riferimento per relationem solo ove esistano vincolanti discipline sul saggio d’interesse, restando esclusa la validità di un richiamo al tasso praticato su piazza (e anche al più generico addirittura criterio delle oscillazioni del mercato finanziario e valutario), e nulla rilevando la mancata contestazione degli estratti conto periodici. E’ noto infatti che sin dalla sentenza del 6/11/1993 n. 11020 il giudice di legittimità insegna che la pattuizione di interessi ultralegali deve essere provata con atto scritto ad substantiam, cui non può supplire l’approvazione ancorché ripetuta degli estratti conto, trattandosi di documenti che non sono espressione di un patto negoziale, al punto che pure la clausola inserita normalmente nelle condizioni di contratto (che prevede interessi a tasso ultralegale) secondo parte della dottrina potrebbe essere colpita da nullità parziale, ove non risulti che il debitore l’ha specificamente approvata dopo averne inteso e accettato in pieno il contenuto. Orbene, se la forma scritta ad substantiam non è l’unico modo in cui può individuarsi la pattuizione di interessi ultralegali, purtuttavia (cfr. Cass. 10657/1996) è necessario che le parti abbiano indicato e accettato criteri predefiniti o elementi estrinseci che siano oggettivamente e aritmeticamente individuabili, il che nella specie è escluso essendovi nelle pattuizioni un richiamo generico e inconferente senza gli altri necessari riferimenti (cfr. altresì la relazione di consulenza a pag. 3).

In tema poi di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi passivi del c/ c per il cliente, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 425/2000, con cui è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione dell’art. 76 Cost., la norma contenuta nell’art. 25, III co. d. lgs. 4/8/99 n. 342 di salvezza della validità degli effetti (fino all’entrata in vigore della delibera CICR di cui al II co. del medesimo art. 25) delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, dette clausole restano disciplinate – secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo – dalla normativa anteriormente in vigore alla stregua della quale esse sono da considerarsi nulle perché stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c. (cfr. Cass. 02/4490; Cass. 03/12222). Ed infatti tali clausole hanno fonte nelle norme cd. bancarie uniformi, le quali non costituiscono uso normativo, ma uso negoziale e quindi non danno luogo al fenomeno dell’inserzione automatica ai sensi dell’art. 1374 c.c. (Cass. 02/8442). In questo contesto, per affermare che l’anatocismo, sotto forma di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dai clienti della banca, sia ricollegabile ad un uso normativo, non rileva che se ne faccia applicazione tra istituti di credito e clienti, perché questo attiene al piano contrattuale e serve a far emergere solo l’uso negoziale; ma è necessario che via sia la convinzione o la consapevolezza di attuare una regola di rilevanza giuridica e che di tale convinzione siano portatori tutti i contraenti operanti in un determinato settore (opinio juris ac necessitatis), in modo che vi sia l’idea da parte loro che l’anatocismo derivi da una disciplina cogente e non dalla forza contrattuale di una delle parti, che imponendo la clausola degli interessi anatocistici induca la controparte ad accettarla in mancanza di alternative. Così la Cassazione ha rilevato che l’esistenza di un uso normativo non si trae solamente dalla circostanza che le banche tradizionalmente inseriscono nei contratti la clausola di interessi anatocistici, giacché proprio tale prassi porta ad escludere che si tratti di un uso normativo: cosicché va dichiarata nulla la clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi e l’applicazione di ulteriori interessi su di essi, non potendo valere in contrario la circostanza della mancata contestazione da parte di debitori degli estratti conto periodicamente inviati avendo sul punto chiarito la S.C. (Cass. 11/3/96 n. 1978) che esso rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti soltanto sotto il profilo contabile e non sotto quello della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano. La relazione di consulenza tecnica svolta in questo grado di giudizio è in linea con i principi qui sopra richiamati sicché ritiene la Corte di aderire alle conclusioni del CTU tecnicamente formulate e logicamente fondate: va solo qui specificato che si ritiene di aderire alla prima delle due ipotesi di lavoro che prevede l’esclusione dal computo della commissione di massimo scoperto per il periodo considerato, per il quale non vi è stata alcuna specifica pattuizione contrattuale; la Banca appellata va quindi condannata a restituire all’appellante la somma di Euro 41.096,00 (cfr. pag 3 e 11 della relazione) oltre gli interessi legali a far tempo della domanda dovendosi presumere la buona fede dell’accipiens (Cass. 98/1293) e mancando la prova contraria a fornirsi dal solvens e vertendosi in ogni caso in materia sottoposta più volte al vaglio della Corte regolatrice e del giudice delle leggi.

In mancanza di prova relativa non è accoglibile la domanda del maggior danno ex art. 1224 c.c., producendo la richiesta di restituzione dell’indebito interesse solo dalla domanda ed essendo l’art. 2033 c.c. norma parzialmente derogatoria all’art. 1224 c.c. (Cass. 95/10884).

Le spese del primo grado possono integralmente compensarsi atteso il tempo della pronuncia gravata e della controvertibilità all’epoca della questione; quelle di questo grado seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Lecce – sez. dist. di Taranto – , pronunciando sull’appello proposto da C.D. nei confronti della BPPB avverso la sentenza del Tribunale di Taranto in data 30/9/99, così provvede:

1) accoglie l’appello ed in riforma dell’impugnata sentenza condanna la appellata a pagare all’appellante la somma di Euro 41.096,00 oltre interessi legali dalla domanda;

2) compensa integralmente tra le parti le spese del primo grado di giudizio e condanna la appellata a pagare all’appellante quelle di questo grado liquidate in XXX di cui XXX per esborsi ivi comprese quelle di consulenz, XXX per diritti, XXX per onorari, oltre accessori.



Così deciso in Taranto il 16/6/2004

Leggi le altre sentenze


Torna alla pagina iniziale



Questo sito è di proprietà dello Studio Legale TANZA | antonio.tanza@gmail.com

Torna ai contenuti | Torna al menu